60 anni fa, era il 1964, Sandro Nisivoccia e Regina Senatore misero in scena il primo spettacolo del Teatro Popolare Salernitano, omaggiando William Shakespeare.
Per tale occasione si terrà un GALA di TEATRO presso la Sala Parrocchiale della Chiesa "Santa Maria Madre della Chiesa. La Sala sarà inaugurata e prenderà il nome
Con “Penelope” di Marco
Balma si torna a parlare della donna, argomento mai esaurito, perché la
questione femminile è sempre di prepotente attualità. Il viso di Vanessa
Leonini, adattamento del testo e regia, simile ad una maschera greca, di
quelle che si ritrovano ogni tanto negli scavi archeologici, è sulla scena a
fissare il pubblico, in modo quasi accusatorio, a raccogliere pensieri per dare
vita al drammatico atto unico, nella penultima serata del 15esimo Festival Nazionale
Teatro XS città di Salerno.
Il viso statico di
Penelope, per un buon lasso di tempo, resta immobile, l’attesa deve essere
introiettata, il pubblico deve sentirsi coinvolto da questa sospensione, che è
poi la caratteristica della donna più paziente della storia epica di Omero.
Dietro di lei, seduta su di una panchina, c’è buio, note musicali dolorose,
silenzio, quasi ad attendere rassegnazione, adattamento, accettazione,
tolleranza. La Penelope della Compagnia degli Evasi di Castelnuovo Magra
(Sp), vivaddio non è come Omero ce la tramanda, potenza dei tempi, ma una
donna che vuole per sé amore, rispetto, diritto di essere felice, autonomia di
decidere per il proprio destino e il proprio corpo, non solo, ma anche la
capacità di lottare per sconfiggere stereotipi che la vogliono fragile e
limitata perché, si sa le donne non vanno in guerra e non sono abbastanza
forti.
La mente va da sola
(N.D.R.) al primo romanzo di Oriana Fallaci del 1962 “Penelope alla guerra”,
appunto, che è un’esortazione a ribellarsi alle convenzioni imposte
dalla società e a vivere fino in fondo le proprie passioni, anche quando la
scelta ci porterà ad amare “chi non lo merita, quasi che questo fosse l’unico
modo per ristabilire l’equilibrio perduto del mondo”.
Si, una distrazione di
genere ed una considerazione che ancora oggi, noi donne si ha bisogno di
rappresentazioni forti, per accendere interesse ed opposizione. Intanto Vanessa
Leonini con un gruppo di prefiche, tutte in nero, danzano con passione e
recitano in coro lemmi a favore di tutte le donne. Un insieme perfetto di movimenti
sincronici che portano al parossismo i sentimenti raccolti ed espressi.
“Come batte il cuore di
una donna, cosa vuole il cuore di una donna, cosa chiede il cuore di una donna,
come soffre il cuore di una donna. Il cuore diuna donna sa combattere, sa
essere leggero. Se quel cuore è il cuore di Penelope, da quel cuore possiamo
molto imparare.”
Sono le frasi che
compongono le lamentazioni del coro e danno la spinta alle riflessioni su
quanto ancora c’è da combattere per acquisire diritti naturali
E così la domanda: quanto
tempo dovrà ancora passare prima che l’attesa finisca? E quanto ancora prima
che Penelope/donna possa essere una persona libera da schemi autoritari? E
quando uno spettacolo così bello ed articolato farà storia dietro le spalle
dell’altra metà del cielo?
La striscia di Gaza entra
prepotentemente nel nostro quieto pomeriggio teatrale, del 7 Aprile e ci
sobbalza la vita. Il “nooooooo” urlato da Akram, con quanto fiato ha in gola,
attraverso il riquadro, che funge da finestra, nello scantinato pieno di
oggetti alla rinfusa, avvia la storia che si ascolterà con sentimenti diversi
ma anche avversi.
La storia di per sé è
ridotta all’essenziale e dopo l’urlo feroce, Akram rientra nello scantinato,
trascinandosi dietro un soldato che ha preso come ostaggio e comincia la lotta,
se ucciderlo o meno.Nulla si sa dei due
uomini che si avvinghiano come serpenti, a volte sovrasta l’uno, altre volte
l’altro, ma sempre come due acerrimi nemici, di fazioni opposte. La guerra che
sta proprio sotto i nostri piedi, la ritroviamo al nostro fianco, con tutte le
implicazioni possibili, per cui Akram medico è rimasto in Palestina per poter
curare la propria gente, mentre Rinan abbandona la sua terra d’origine per
andare oltre la striscia
E Gaza con le sue stragi
giornaliere, con gli orrori inimmaginabili, con uomini che più non ricordano
l’umanità, ci avviluppa in un’aria opprimente, claustrofobica, priva di
atmosfera pura e limpidi cieli, ma solo fumo provocato dagli scoppi, con
l’odore acre delle bombe. Scorre il tempo e nello scantinato buio, senza
spiraglio di salvezza, avvolto da una colonna sonora che simula l’atroce dolore
di un popolo infelice, si consuma una tragedia familiare oltre il dramma collettivo
della striscia. Akram e Rinan sono fratelli, quest’ultimo ha ucciso i suoi
genitori perché considerati nemici. Un tuffo al cuore, alla rivelazione e non
si aspetta che l’esito finale che arriverà, com’è giusto che sia.
Tempismo drammaturgico o
solo intuizione che “Oltre la striscia” può funzionare teatralmente, essendo la
guerra appartenerci più di quanto possa sembrare?Il pezzo è stato scritto nel 2014 da un
giovane e promettente napoletano, Fabio Pisano, classe 1986 ed ha tutti
gli elementi in sé per essere un piccolo capolavoro di antica tragedia. Così all’interno della drammaturgia si assiste
ad una guerra nella guerra che poco ha a che fare con l’ostilità reale. Entrano
in gioco altri punti di vista, secondo me (N.D.R.) con la lotta che stanno
vivendo. E riflettiamo: è vero che Akram non ha scelto, non ha lasciato la
striscia, continuando ad esercitare la professione di medico per la sua gente,
mentre Rinan ha preferito andare via per realizzarsi come soldato ed ancor più come
libero innamorato. La sua donna colpita nella striscia non viene salvata da
Akram, che, a sua difesa, non la riconosce e Rinan per vendetta, uccide i suoi,
i loro, genitori, riconoscendoli, a sua discolpa, come nemici. Un po' riduttivo,
sicché il valore sacro della guerra, che pure c’è, si copre di un bieco
delitto, ma tant’è oltre la striscia, la via è senza ritorno, scampo non c’è e
così sarà.
Una regia attenta,
puntuale, carnale e vitale, come ampiamente si conviene all’età dei due giovani
e prestanti attori, Stefano Sandroni e Lorenzo Ravera, spasmodici ed
inquietanti nella loro performance artistica, sapientemente sorretta da una
colonna sonora, ora tragica, ora elegiaca, ora mesta, ora intrisa di lamenti,
tre d’union tra la scena ed il pubblico, è stato l’elemento in più
Ad un ottimo Pinuccio
Bellone, regista di spiccata bravura, attento ad ogni passaggio della
narrazione, fino al tocco finale della caduta degli aquiloni e quindi della
caduta dell’infantile innocenza dei due fratelli, che il Festival XS ha
imparato a conoscere nel tempo, va tutta la mia stima teatrale ed umana
La Corte dei Folli di
Fossano (CN) ha partecipato, precedentemente a tre edizioni del Festival
vincendole tutte e più precisamente:
Edizione 2015 con
"Piccoli crimini coniugali" di Eric-Emmanuel Schmitt;
Edizione 2018 (decennale)
con "Tango" di Francesca Zanni;
Edizione 2019 con
"Nel nome del padre" di Luigi Lunari.
Si bandisce il IV° concorso fotografico dedicato ad
Antonio Serritiello.
Il concorso fotografico giunto alla sua quarta
edizione, voluto da Maria Serritiello per ricordare il caro fratello Antonio,
ha lo scopo di mantenere viva la sua memoria nel territorio che l’ha visto
operante e partecipe, rivolgendola a quanti hanno conosciuto e amato la sua
onestà, laboriosità, attaccamento alla famiglia ed al valore sacro
dell’amicizia.
Tema
LA GIORNATA PERFETTA
Ispirandoci alla filosofia dello scrittore napoletano
Raffaele la Capria racchiusa nel libro "La bella giornata", che dice:
“Ciascuno di noi aspetta la bella giornata
legittimamente, tutta la vita.
Anzi, è la volontà stessa di vivere.
... È la causa della vita, quell'attesa:
una speranza che noi nutriamo,
altrimenti l'esistenza sarebbe inutile viverla.”
Il tema scelto per questo quarto concorso lascia ampio
spazio ad interpretazioni libere e creative.
Inviaci le foto che rappresentino la tua ideale
"Giornata perfetta"
Nei giorni scorsi, al
Teatro Ridotto di Salerno, all’interno della rassegna Che Comico 2023/2024,
direttore artistico Gianluca Tortora, è stata presentata una cab commedia
gradevolissima. In scena Ettore Massa e Massimo Carrino in “Giornalisti quasi
disoccupati”. Il pezzo è tutto incentrato a cercare, per non essere licenziati
dal giornale, dove lavorano i due articolisti, di far passare fake news per
fatti reali, il tutto condito da una vena ironica, che ha divertito molto il
pubblico.
Idee semplici, grande
affiatamento, buona professionalità e garbata capacità di porgere situazioni
già espresse con delicata e mai aggressiva comicità, magari facendo il verso a
personaggi più famosi, televisivamente parlando, ma con una ironia mai saccente,
che fa divertire prima loro stessi e poi il pubblico. La loro schiettezza è naïve
tanto da divertirsi loro stessi con mal celate ridarole. Niente di speciale è’
vero, ma sono sinceri e fanno di una loro normalità comica il momento vincente
dello spettacolo. Serenità ironica, la loro che li trasforma in comici tranquilli
della porta a fianco senza mai scadere nel clamore del linguaggio scurrile, se
non becero che i tempi attuali hanno sdoganato con disinvoltura. Comici
semplici, ma grande affiatamento ed indiscussa capacità professionale, per una
ironia semplice, di una serata sicuramente riuscita piacevole.
Gli altri due incontri,
previsti per l’annata comica 2023/2024, si terranno nel Teatro delle Arti, per
concludere degnamente la selezione comica di quest’anno.
Si sa, la vanità è donna e
non vi rinuncia neanche Ianara, una lazzara di razza pura, che si appresta a
cucinare un povero giacobino prigioniero, trattenuto nella sua misera casa. Ricoperta
di stracci che fungono da vestiti, scigliata e furiosa, si esprime, infatti,
con rabbia e con toni che polverizzerebbero qualsiasi corda vocale, la sua no (brava
l'attrice), per tutto il tempo dell’ora di rappresentazione.
La lingua, un dialetto
stretto, con parole perse nel tempo, ma che hanno una musicalità
incontrovertibile. La pièce gira tutt'attorno, non al dover trovare un
pentolone di proporzione esagerata, dove far affogare il prigioniero e dare,
così, al libero sfogo al cannibalismo, praticato da tutti i componenti della
famiglia, come fatto usuale, ma all'insoddisfazione della donna per il suo
stato di soggezione a quel marito che di umano ha solo la fisicità. Abbrutita
da una vita scadente, oltre misura, da gravidanze, cinque, sopportate suo
malgrado, ingabbiata da una da fatica giornaliera dell’ordine la casa, della
cucina, del lavaggio dei panni e dell’accudimento dei suoi chiassosi ed
ineducati figli, ha qualche sogno inespresso, eh sì, quando passa dinanzi al
piccolo specchio, appeso al muro, inspiegabilmente, del suo tugurio. Intanto il
povero giacobino, legato, imbavagliato attende la sorte malevole che gli tocca,
incassando calci e pugni dalla donna che non riesce a trovare un recipiente
adatto per la sua cottura, anzi lamenta che è troppo massiccio e che tirargli
il collo le fa specie.
Intanto, la cultura e le
buone maniere, lavorano, in prima battuta tutto a vantaggio del giacobino, che su
di esse pensa di fondere la salvezza. Forse è anche questo il messaggio tra le
righe dell’autore, che la conoscenza batte la forza bruta
dell’ignoranza, malgrado come va a finire la rappresentazione. Saldamente resto
attaccata a quest’ idea (N.D.R.) che rende accettabile questa pièce, abbastanza
inconsistente, che si rafforza solo quando Ianara racconta la favola di “Ficuciello”,
attingendo con disinvoltura alla tradizione orale, in lingua dialettale, a
lui che si finge bambino tutt’orecchie per
ingannarla. Il baciamano, poi, che porge alla donna, ormai convinta di aver
abbattute le distanze sociali in sol colpo, è l’inganno che meglio gli sia
riuscito, ma non gli rende salva la vita.
“Il Baciamano” portato in
scena dal GA D di Pistoia, per la prima volta all’XS di Salerno,
con i due interpreti: Lucia Del Gatto e Gennaro Criscuolo, il secondo
anche regista dello spettacolo, hanno reso efficace l’esibizione, coadiuvato
dai suoni scelti da Marina Criscuolo e dalla scena e costumi curati
dallo stesso GAD. Eccezionale Lucia Del Gatto ad aver prestato
quanto fiato avesse in corpo e tutte le sfaccettature della sua gola, per dare
vita ad una Ianara che più lazzara di così non si poteva impersonare. Discreto
quanto disinvolto il giacobino, una figura posto proprio per dare lustro al
baciamano della sguaiata popolana. Quanto al dialetto, così perfetto, usato
senza alcuna inflessione toscana, se ne capisce la ragione, la Ianara in
questione è nativa di Torre del Greco.