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domenica 26 marzo 2017

Presentata al Caffè dell’artista di Salerno dal Dott.re Geppino Lauriello “La Notte di San Bartolomeo”



Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Presso la Sala Moka di Salerno, sita in Via Diaz, il 20 marzo scorso, alle ore 18, l’associazione culturale il “Caffè” dell’Artista che, ogni lunedì, propone un tema di ascolto ai soci, ha presentato un interessante studio del dott.re Giuseppe Lauriello, Primario Emerito di Bronco- pneumologia al Da Procida di Salerno, scrittore e studioso del mondo antico. Il tema scelto per la dotta conferenza, illustrata da una serie di diapositive e filmati, è stato “La notte di San Bartolomeo”, passata alla storia con la riassuntiva espressione “Parigi val bene una messa”, pronunciata da Enrico di Navarra e risalente alla fine del '500, periodo in cui la Francia era devastata da una terribile guerra civile, conosciuta come la “Guerra dei tre Enrichi": Enrico di Guisa, Enrico III e appunto Enrico di Navarra. Nel trattare l’argomento il relatore non soltanto ha esposto la sanguinosa vicenda con l’efficacia delle immagini e la crudezza dei filmati, ma ha magistralmente narrato gli antefatti del massacro e l’inquietante contesto storico in cui è maturato, sottolineando come l’orrenda carneficina sia nata da quelle truculente e fanatiche guerre di religione che imperversarono e insanguinarono l’epoca. Con pochi, suggestivi tocchi sono state inquadrate le figure dei protagonisti: Caterina de’ Medici, Carlo IX, Enrico di Navarra, Enrico di Guisa, la Margot e le angosciose ‘nozze di sangue’ tra Enrico di Navarra e Margherita di Valois. L’accattivante conferenziere, che ha un seguito di ascolto notevole, accostando vicende di ieri e vicende di oggi, ha voluto, soprattutto, porre in risalto alcune analogie con gli attuali misfatti terroristici, che hanno seminato di tanti morti innocenti, i vari luoghi d’Europa. Un appuntamento, quello del Dott.re Geppino Lauriello, al Caffè dell’Artista, tradizionalmente seguito, le sue performance piacciono per il dotto contenuto e l’affabulane modo di porgerle.
Maria Serritiello
 

Porta chiusa di J.P. Sartre con la Compagnia “La terra Smossa”, terzo appuntamento al Festival Teatro XS di Salerno

 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Terzo appuntamento al Festival Teatro XS di Salerno con "Porta chiusa" di J.P. Sartre, un atto unico scritto nel 1944 e presentato al Teatro Genovesi, dalla Compagnia Teatrale " La Terra Smossa" di Gravina di Puglia, che ha saputo tenere viva l'attenzione degli spettatori, per circa 100 minuti. Sulla scena si muovono 4 personaggi: il cameriere, Garcin, Estelle ed Inès, il posto dove approdano uno ad uno è l’inferno. Il luogo appare strano, privo di finestre e specchi, dominato da un fondale diafano di cellofan, che lascia trasparire un corridoio lievemente illuminato e attraverso il quale, gli attori si presentano sulla scena sbucando da un ampio tubo-canale, posto in primo piano sulla sinistra. La scena si completa con una scultura metallica, una panca di legno, messa frontalmente e tre sedie, dello stesso materiale e di apparente diverso colore, sistemate di sbieco, infine un pulsante schizzinoso è collocato a terra, nel caso si dovesse utilizzarlo per chiamate.
Una sorta di cantilena, Victima paschali laudes di Ennio Morricone, ancestrale e fanciullesca, invade il luogo d’azione e preannuncia l'inizio di operazioni tenebrose, che di lì a poco avranno luogo. Un gioco di luci sinistre, rosseggianti e scure, dominano il nero delle pareti. Non s’intravede nessuna porta, se non l'orificio rossastro del tunnel-canale, dal quale per primo, carponi, sbuca Garcin che in tempi sfalsati sarà raggiunto da Ines ed Estelle. Alto, distinto, con un bianco panama a coprirgli il capo ed un vestito dello stesso colore, appare sorpreso che ad introdurlo nel luogo infernale sia un cameriere in divisa perfetta e che non si scorga nessuna traccia di catene, fiamme ed oggetti di torture. Nell’immaginario collettivo, da vivi, è ciò che si crede e non scorgendovi nessuna traccia, si sente sollevato. Quando il trio è definitivamente composto e comprendono che la loro sorte è compiuta cominciano a delinearsi, attraverso anche violenti scontri, le loro personalità ed i loro peccati. Garcin è brasiliano e durante la seconda guerra mondiale ha disertato e nella vita familiare è stato infedele alla moglie fino a condurla al suicidio. Inès è lesbica e ha sedotto la sua amante inducendola ad uccidere il marito, che per giunta era anche suo cugino. Esthelle è una donna della buona società che per soldi ha sposato un uomo anziano e lo ha tradito con uno più giovane. Frutto della loro relazione è un figlio, che la donna non esita ad annegare, provocando l’uccisione dell’amante. Durante tutto il dramma delle loro confessioni, Inès manovra e controlla le opinioni degli altri due ed è l’unica che non nasconde il proprio crimine, né permette agli altri di fare altrettanto. Infine, il cameriere che li ha introdotti, non si conosce se questa mansione la svolga per scelta o per punizione, di certo, si apprende che lo zio è il capo cameriere.
Questo è il tessuto del dramma su cui vanno ad insinuarsi discussioni serrate, ostinatamente cerebrali, simboli e consapevolezza che “l'inferno sono gli altri”. Ogni parola va ben pesata, come ogni sistemazione degli oggetti in scena, ad esempio la differenza espositiva, che sussiste tra la panca e le sedie, rende l'una, una condivisione dello spazio e dei pensieri, le altre un rinchiudersi nella propria identità personale, facendo a gara ad accaparrarsi la postazione più conveniente che sta a sottolineare una continua alternanza di egoismo esasperato e un'urgenza necessaria di rispecchiare il proprio sé in quello degli altri. Una considerazione va fatta sul tunnel da cui vengono espulsi i tre personaggi e che è paragonabile al canale del parto, divenendo così anche il canale del trapasso. Una chiara metafora che apre al falso della vita, il primo, mentre il secondo all' assenza, come recupero dei ricordi. Canale, dunque, centrale, sebbene defilato scenograficamente, a testimonianza della fatale fragilità dell'essere umano, sempre sull'orlo degli eventi. L'inferno che ospita i tre malcapitati non è altro che il mondo dei ricordi, unica realtà dell'esistenza stessa, costruito, vita vivendo, con drammi e sconfitte. Uno zigzagare disordinato, talvolta tragico, talvolta sensuale, mai dolce o elegiaco, tra i ricordi di ognuno e che porta, gli stessi, alla consapevolezza di desiderare la riapertura del canale, mai parossisticamente chiuso, senza avere ormai la forza di uscirne. La condanna dell’inferno non sono le fiamme e le catene ma il loro guardarsi dentro senza giustificazioni.
Operazione coraggiosa da parte della Compagnia pugliese “La Terra Smossa” nel presentare, in tempi caratterizzati da troppa leggerezza e superficialità, un pezzo così duro e cerebrale che testimonia amore per il teatro e disponibilità al sacrificio professionale. La sapiente regia di Gianni Ricciardelli ha condensato in 100 minuti, un’opera che non ha mai distratto l’attenzione, le opportune luci date in scena da Teresa Cicala ed i passaggi musicali: folding excerpt :  brano inedito. St Louis Blues: di Edmond Hall & WC Handy, main theme 2046: di Shigeru Umebayashi, film intitolato  2046, scelti dallo stesso regista, hanno reso, oltre modo, fruibile il dramma. Bravo il cameriere, Ronny Tinelli, dalla voce metallica di un perfetto automa e gli occhi sbarratamente fissi, un record il suo, nel non sbattere le ciglia. Incisivo nella parte di Garcin, Leo Coviello, che ha scolpito il personaggio, con il fisico asciutto, roso dal pentimento, con la mimica del corpo, anche sensuale, con la voce, perfetta in tutte le sfumature di tono e con l’efficace prova di memoria. Grande impegno e tensione dei sensi, di Inès, Maria Pia Antonacci, bruna, capelli ribelli, che ha prestato il suo corpo e la recitazione, all’immagine di Eva tentatrice. Molto ben caratterizzata, la figura di Esthelle, Stefania Carulli, che nascondendosi dietro un’immagine diafana e capelli color dell’oro, ha dato fiato ad una recitazione elegante, quale il suo ambiente e struggente nei passaggi sulla sua colpa.
Maria Serritiello
 
 
 
 

Alla libreria Internazionale di Salerno incontro con il poeta Franco Arminio

 
di Maria Serritiello
 
Giovedì 16 marzo, alla Libreria Internazionale di Salerno, il poeta Franco Arminio, da Bisaccia, nell’Irpinia Orientale, ha presentato la sua ultima fatica dal titolo “Cedi la strada agli alberi”. Poesie d’amore e di terra. Lui è uno strenuo difensore dell'altra città, ovvero di quella realtà di paesi dimenticati e desertificati, che, tuttavia, riforniscono e vivificano esperienze e vita alla città vera propria. Il poeta, con particolare riferimento ai paesi collinari e montani, che sono discosti dalle tante città, si propone di restituire visibilità e credibilità, proprio a quella realtà che la spinta evolutiva vuole annullare. Invita, il poeta, a far riscoprire, all'uomo del nostro tempo e a disvelare all’interno di sé i valori dimenticati della propria biologia infantile, della sensorialità primigenia e della sacralità ancestrale, scelte che la globalizzazione, in nome del presunto sviluppo, vorrebbe che si facesse. Roberto Saviano di lui dice “E’ uno dei poeti più importanti di questo paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato», citando un suo passo: «Venticinque anni dopo il terremoto dei morti sarà rimasto poco. Dei vivi ancora meno»
Nella nota d’avvio si legge che la prima volta, come scrittore, di Franco Arminio, fu in un pomeriggio di gennaio, del 1976, appena sedicenne, usando la penna rossa e un’agenda di finta pelle, trovata nell’osteria del padre. In quegli anni scrisse senza sosta, riempiendo 18 sacchetti della spazzatura e due casse di legno che il nonno aveva trasportato dall’America. In seguito continuò a scrivere con l’uso del pc e ciò gli rese facile il fare ed il disfare, per la composizione dei versi, che non sono frutto di un’azione spontanea ma curati con insistenza ed attenzione. Paesologo, unico in Italia, è direttore artistico della manifestazione “La Luna e i Calanchi”, che si tiene, nel mese di agosto, ad Aliano, in provincia di Matera, il paese dove fu confinato lo scrittore Carlo Levi, “Parlo dei paesi perché ad un certo punto mi sono reso conto che erano un po’ al mio stesso punto: creature in bilico, col buco in mezzo”
Riappropriandosi della biologia sensoriale “Abbiamo bisogno di contadini/ di poeti, di gente che sa fare il pane/ che ama gli alberi e riconosce il vento...”, e avvalendosi degli eoni precedenti al contatto della madre terra, l'individuo, sostiene, potrà, calendarizzare tempi e contatti con essa, provando ad avvicinarsi alla felicità, o ad essere contento senza motivo, perché sereno e soddisfatto per l'equilibrio raggiunto con se stesso e con gli altri. Così il grido di solitudine dell'individuo, si trasforma in una coralità estesa e partecipata, propria del cosmo. Una riscoperta della biologicità, la sua, che trova forza e sostegno nelle conquiste delle neuroscienze, ad esempio il darwinismo neurale di Gerald Edelman, così come le conclusioni, altrettanto, attuali sul libero arbitrio, dove la biologicità è intesa come sensorialità allargata alla sacralità e alla materialità cosmica “Concedetevi una vacanza/intorno a un filo d’erba,/concedetevi al silenzio e alla luce/alla muta lussuria della rosa”.
Moderno guru della vita contadina o di quella vissuta momento per momento, si fa portavoce credibile ed accattivante di un’esistenza che debba rinnovare certi valori del passato perché possa fondare tutta la propria esistenza su di una filosofia recuperabile ed ancora possibile. Una sorta di rivoluzione copernicana dove sia l'uomo, con le proprie scelte, e non la società globalizzata, ad indirizzare l’esistenza sulla base di una filosofia e di una consapevolezza del sé cercata e trovata nel corso della propria vita. Sensorialità e conoscenza, dunque, per individuare le tante fonti di serenità e felicità senza mai dimenticare l’essere polvere. Franco Arminio non è certamente l'unico, né il primo a lanciare SOS alla comunità tutta, ma di certo è una voce forte, precisa, e sincera, soprattutto attuale: “Non servono/i mestieranti dello sdegno/, i mercanti del frastuono/. Per raccontare certi luoghi ci vogliono la poesia/, il teatro, il canto”. Sembra che le parole siano un flusso continuo, nemmeno pensato o appena uscito dal forno caldo della sua panificazione. Ma non è così! La comprensione facile dei suoi versi non deriva da una composizione sciatta, trascurata, ma è frutto di un lavorio ricercato, inseguito perché possa offrire purezza ed eleganza al verso. Colto fino all'inverosimile impana, nel crogiolo dei suoi sensi, le parole e le presenta fragranti, fumanti e fresche nel piatto della pagina. Serafico e gentile lascia trasparire tutte le asperità e le sconfitte dell'esistenza di tutti gli uomini senza alcuna drammaticità sicché tutto viene ricondotto nell'albero di una umanità dolente. Romano Battaglia, Robert Frost, Virgilio i nomi che più da vicino restituiscono la lettura dei suoi versi, ma è un falso apparentamento, Franco Arminio, rimane unico nel tracciare certe immagini, pure, impietose, franche e reali.

Maria Serritiello
 
                             
 
                                 

Sul lungomare di Salerno il “Chocolate Day”, quattro giorni di dolcezza

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Fonte :www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Ultimo giorno, domenica 19 marzo 2017, dei quattro in programma, per addolcire la giornata che racchiude tre festività, ossia la ricorrenza di San Giuseppe, la festa del papà e la domenica dedicata al Signore, con il Chocolate Day di Salerno. Un tratto dello splendido lungomare della città è stato allestito da tanti stand con le più gustose delizie di marrone scuro in esposizione. La manifestazione è stata organizzata dalla CLAAI (Confederazione Libere Associazioni Artigiane Italiane), in collaborazione con Tanagro Legno Idea e patrocinata dal Comune di Salerno e dalla Camera di Commercio di Salerno, gli stand sono aperti ininterrottamente dalle ore 10,00 alle 24,00 e l’ingresso è libero. Tanti i maestri cioccolatai provenienti da varie parti della penisola: Sicilia, Veneto, Campania, Molise, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Calabria e presenti sul tratto più bello ed assolato della città, per dare luce e colore all’oro nero in esposizione.
Il cioccolato è un alimento derivato dai semi dell'albero del cacao, la pianta ha origini antichissime, più di 6000 mila anni fa ed i primi a coltivarla, intorno all’anno mille a.C., furono i Maya. Una leggenda, azteca, narra di una principessa che, lasciata sola, dal suo sposo, partito in guerra, fu messa a guardia di un smisurato tesoro. All’arrivo dei nemici la principessa si rifiutò di rivelarne il nascondiglio e fu per questo uccisa; dal suo sangue nacque la pianta del cacao, i cui semi sono amari come la sofferenza, ma forti ed eccitanti, come le virtù della ragazza.
Oltre a saggiare la tentazione del cioccolato, il cui richiamo, ad ogni banco è simile a quello usato dalle sirene per Ulisse, si può assistere alla fattura di cioccolato artigianale con la Ciokofabbrica, ovvero l’unica fabbrica itinerante del cioccolato in Europa, che mostra la fattura, vera e propria, del cibo degli dei, dimostrazione curata dal cioccolatiere Fausto Ercolani della città di Deruta. Vari laboratori per grandi e piccini sono stati al centro di questi 4 giorni di leccornie, ma il top si raggiungerà, domenica, alle ore 19,00, per l’insolito connubio tra cioccolato e vino. A proporre il singolare accostamento è il maestro artigiano cioccolatiere, Russo Giuseppe da Modica. Il vino da abbinare alla delizia, fatta cioccolato, è quello delle Cantine di Giuseppe Apicella, della Costa d'Amalfi di Tramonti (Sa), preferito dal sommelier Andrea Moscariello. Degustazioni, quelle del Chocolate Day di Salerno, esaltanti le eccellenze del territorio, che vanno sempre più promosse, per combattere le sofisticazioni del mercato fuori controllo.
Maria Serritiello
 
 

Addio a Mago Zurlì l'icona magica e televisiva dei bambini per 50 anni


 Fonte :Ansa.it Spettacolo
 

A giugno avrebbe compiuto 90 anni. Una vita con lo Zecchino d'Oro

E' morto il 23 marzo scorso a Milano Cino Tortorella, l'ex mago Zurlì che per tanti anni ha legato il proprio volto e la propria attività allo Zecchino d'oro. A giugno avrebbe compiuto 90 anni. Autore e regista, era anche appassionato ed esperto di enogastronomia. 

 A Cino Tortorella, nato a Ventimiglia, si legano 'album dei ricordi' famosi nella storia musicale dello Zecchino d'Oro, di cui fu promotore nel 1959 (da '44 gatti' a 'Popoff', da 'Le tagliatelle di nonna Pina' e 'Il coccodrillo come fa?'). La storica rassegna di canzoni per l'infanzia, dal '61 in onda all'Antoniano di Bologna, fu ideata in realtà da Tortorella due anni prima, su richiesta del Salone del bambino, alla Triennale di Milano, ma ebbe il lancio quando nacque la collaborazione con la Rai (e l'allora funzionario Umberto Eco) e con i frati bolognesi. Lo Zecchino ha portato il conduttore nel guinness dei primati nel 2002, perché ha presentato lo stesso programma per il maggior numero di anni. Una collaborazione che si è interrotta a fine anni Duemila per un contenzioso che lo vide contrapposto in particolare all'allora nuovo direttore (ora ex) dell'Antoniano, fra Alessandro Caspoli. In Rai Tortorella ha ideato 'Chissà chi lo sa?', trasmissione andata in onda per 12 anni e portata al successo da Febo Conti, il 'Dirodorlando' e 'Scacco al re', ed è stato anche colonna portante dell'emittenza privata, prima a Telealto milanese , poi Antenna tre

 Nei primi anni Novanta ha realizzato 'Bravo bravissimo', condotto da Mike Bongiorno. Significative anche le sue esperienze nella letteratura all'insegna dei più piccoli: ha pubblicato libri di fiabe e ha collaborato con periodici per ragazzi, come 'Topolino' e 'Il Corriere dei Piccoli'. Nel suo nome è nata l'associazione onlus 'Gli Amici di Mago Zurlì', che persegue finalità di solidarietà operando nell'informazione e nella didattica, a tutela della salute e dei diritti civili dei bambini.

 
 
 
 

 

domenica 19 marzo 2017

A mio padre

Ogni anno in questo giorno, già di prima mattina , in attesa che mi svegliassi, mio padre vociava per casa dicendo "Il frittellaio, il frittellaio" con accento spiccatamente toscano. A Firenze vi aveva lavorato per 30 anni. Ecco, così mi piace ricordarlo oggi ed ogni volta che ricorre San Giuseppe e la festa del papà.


Capitano, mio capitano


                        Cuore di Papà per i tuoi figli.

          Per te queste due  viole mammole, tu ne comprendi il  

                    perché,  fratellino adorato



Auguri Papà Jace Serritiello

 
Auguri Papà Jace i tuoi cuccioletti saranno grandicelli!!!!
 

sabato 18 marzo 2017

Eduardo: “Oggi più che ieri per un domani migliore”, con la Compagnia dell’Arte, conclude la stagione “Che Comico 2016-2017”





Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello


Ridotto di Salerno, direttore artistico Gianluca Tortora, ci ha pensato La Compagnia dell’Arte, con uno spettacolo inusuale per il Tempio della Comicità. Sabato 11 e domenica 12 marzo, nelle consuete due serate, il pubblico ha assistito ad un originale omaggio tributato al grande “Eduardo”, a trent’anni dalla sua morte.

 Eduardo: “Oggi più che ieri per un domani migliore”, questo il titolo dello spettacolo, per la regia del bravo Antonello Ronga ed interpretato da: Mauro Collina, Martina Iacovazzo, Federica Buonomo e Vincenzo Triggiano, vuole essere un insieme dell’opera eduardiana, divenuto patrimonio culturale e linguistico di riferimento. Molte delle sue parole, infatti, usate nelle sue commedie, sono diventate lessico familiare in ogni casa. Chi almeno una volta non ha citato la famosa frase di Lucariello, rivolta a suo figlio Nennillo e tratta da Natale in casa Cupiello “Te piace o presepe?” ed il figlio prontamente “No, nu me piace” oppure parole come “ciofeca”, per indicare il caffè di Concetta e “calimma” per indicare il poco calore corporeo nelle case gelate. I termini del grande drammaturgo sono un patrimonio, da lui lasciato, come frutto di esperienza passata, per affrontare con consapevolezza il futuro, sicché le opere del grande Eduardo sono un vademecum per capire che traccia seguire.

 Lo spettacolo si è dispiegato, per circa due ore, tra il mondo eduardiano, come un piacevole itinerario, un affondo appropriato nella maggior parte della sua opera, con collegamenti, mai forzati, ma sempre uno incollato all’altro, traendone un eccezionale copione. Le parole prendono “vita e forma” attraverso la perfetta recitazione degli attori, l’assoluta sincronia vocale e quella dei corpi, i veloci cambiamenti dei costumi in scena, avvolti e stravolti da un ammasso di panni coloratissimi e stesi a vari livelli. Ad essere ben attenti s’individuano ad una ad una le opere e le poesie che hanno intrecciato il copione, ad iniziare dai famosi versi “O ragù”, “Io vulesse truvà pace”, “Allora bevo”, “Si t’ò sapesse dicere”, per continuare con le commedie: Natale in casa Cupiello, Non ti pago, Questi Fantasmi, Gli esami non finiscono mai, Pericolosamente, Vincenzo De Pretore, Filumena Martorano, Le voci di dentro, Napoli milionaria.

A rendere gradevole lo spettacolo è, certamente, la bravura dei quattro attori, tutti salernitani, così capaci a scambiarsi i ruoli, i vestiti e l’espressività facciale, ad essere sincronizzati nella pantomima iniziale od ogni volta che serve il corale, nonché la capacità degli stessi a muoversi, senza essere goffi, in uno spazio ristretto quale quello del Teatro Ridotto. Il collante, però, che ha mantenuto l’insieme di tutto lo spettacolo è la singolarità della lettura, così originale dell’abile regista Antonello Ronga, che ha voluto consegnarci, ad un futuro che verrà, un pregno e sapiente passato. La particolare composizione del testo gli ha fruttato, anche, un secondo posto al concorso nazionale di particolari sceneggiature e la possibilità di esibirsi, nel mese di aprile, a Roma, dove sicuramente l’opera godrà di tutto lo spazio scenico di cui ha bisogno per consentire le digressioni elegiache, care al grande Eduardo. Una nota di merito va anche alla scelta delle musiche, tratte dalla colonna sonora del film “Train de vie” scritta dal talentuoso musicista e compositore bosniaco Goran Bregović.
Maria Serritiello
 
 

sabato 11 marzo 2017

Vincenzo Comunale, vincitore del Premio Charlot 2016 al Ridotto di Salerno.




 Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Lo incontro nel camerino del Ridotto, prima dell’inizio dello spettacolo ed è subito simpatia. Faccia pulita, occhi vivaci, sorriso comunicativo, barba e baffetti che gli ombreggiano il viso. Si presenta bene ed è sollecito a comporsi e ad indossare la giacca al mio apparire, un gesto che denota un’innata classe per un giovanotto di appena 21 anni. Eh sì, Vincenzo Comunale è giovanissimo, ma ha già al suo attivo la partecipazione come autore e monologhista a “KomiKamente”, uno spettacolo live di nuovi comici che provano sketch e monologhi inediti, ha vinto per due anni consecutivi, il 2013 ed il 2014, il “Premio Massimo Troisi” e contemporaneamente arriva in finale al “Festival Bravo Grazie” concorso per comici, provenienti da tutta Italia. Nel 2016 vince il Premio Charlot, Città di Salerno, sbaragliando tutti gli altri concorrenti. Vincenzo Comunale non è solo un bravo cabarettista ma è anche un diligente studente, infatti frequenta il terzo anno del Dams di Roma, per le discipline del cinema, della televisione e dei nuovi media.  Sabato 25 e domenica 26 febbraio ha portato in scena, al Teatro Ridotto, il suo secondo spettacolo, dal titolo “Sono confuso ma ho le idee chiare” che non è un controsenso, perché lui le idee ce l’ha bene in mente sono gli altri che lo gettano in confusione. Il monologo è piacevole, vivace, intelligente e con delle puntate culturali che rivelano la base dei suoi studi. Insomma Vincenzo Comunale è il buon figlio che vorresti avere, bravo, intelligente e pure divertente. Si presenta sul palco in maniera informale e da subito cerca di stabilire un contatto emozionale con il pubblico. Lo fa bene, tant’è che alcuni dei presenti duettano in semplicità con lui. E’ fatta, gli spettatori sono tutti dalla sua parte, si divertono, sottolineando con l’applauso ogni sua sagace battuta. I temi trattati, sia pure dei classici sono impostati in maniera personale: la famiglia, la sua nascita, originale il video, i cartoni animati, la televisione, la pubblicità ed il lavoro. Divertente è la considerazione che a lavorare per i McDonald’s, siano tutti giovani laureati e messi nei posti cardini a seconda della loro specializzazione. Bravo a costruire i testi dei suoi monologhi e ad essere il regista dei suoi spettacoli. Due serate al tempio della comicità, in cui la risata è stata anche meditativa, perché le cose dette sono tratte dalla vita che conduciamo e che Vicenzo osserva con diligenza, per trarne monologhi originali.

Maria Serritiello
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“Zelig Lab On The Road” diverte al Delle Arti di Salerno


                     locandina Marte e Gianluca
 Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Zelig Lab On The Road Made Salerno, lo scorso 4 marzo, ha presentato un divertentissimo spettacolo, al Teatro delle Arti, anziché al Ridotto, dove solitamente si tiene il laboratorio, per l’affluenza numerosa degli appassionati del genere. Lo spettacolo, messo su dai comici, che da tre anni seguono lezioni per migliorare le loro performance, si è mutato in un vero e proprio evento, con tanto di presentatore, Vincenzo Albano e, ospiti eccellenti, Marta e Gianluca, dallo Zelig di Milano. Il perché di questo laboratorio a Salerno, strappato a Napoli e che è l’unico per tutto il Meridione, ma ve ne sono nove in tutt’Italia, è presto detto e cioè tende a formare, in modo professionale, il cast da mandare successivamente allo Zelig di Milano. I fautori di questa piacevolissima iniziativa sono da ricercare in Gianluca Tortora, già direttore artistico della rassegna annuale di successo “Che Comico” e in Alessio Tagliento, da Milano, umorista e autore televisivo italiano, curatore del professionale dei cabarettisti. Un succulento aperitivo, primo dello spettacolo, approntato nei dettagli nella Sala Peppe Natella, è stato offerto dal Villapiana Country House di Coperchia, predisponendo alla socializzazione e al buon’umore.

Chiamati da Vincenzo Albano, cabarettista tarantino, che vive a Milano ed è stabile nella trasmissione per eccellenza “Zelig”, si presentano sul palco a fare il loro numero, Gabriele Rega (finalista al Premio Charlot 2016), con le sue riflessioni sui centri commerciali, Salvatore Gisonna, un acuto monologhista, conosciuto dal vasto pubblico per la partecipazione a Made in Sud, Giovanni Perfetti (il ladro gentiluomo che si emoziona per la miseria altrui), Michele Ventriglia, con un ripetuto mantra “ho paura di aver paura, Luca Bruno sempre in cerca di un lavoro qualsiasi, Manuel Mascolo, che fa suo il detto popolare “le donne belle non mi fanno niente, in amore vince chi fugge ed ancora Vincenzo Comunale,  (vincitore del Premio Charlot 2016), con le sue acute osservazioni sul quotidiano,  Francesco D’Antonio, risultato quarto nella trasmissione Eccezionale Veramente, gara tra comici su La7, che ancora si chiede il perché non accettare caramelle dagli sconosciuti, divieto raccomandatogli dalla madre, Peppe Gallo, che dice di fare il netturbino, solo perché si è abituato ai rifiuti delle ragazze che incontra, Dani Bra, romano, schietto ed immediato nel suo monologo di sfaccendato, Tiziana Gallo, unica donna nei panni di una psicologa per i casi più gravi tra i comici presenti, infine l’impareggiabile Andrea Monetti, anzi il Don Andrea, il prete che possiede tutti i difetti che non possono e non devono appartenere a chi indossa l’abito talare. Una scarica di energia positiva provoca il suo monologo oltre alle risate piene. Insomma due ore circa di show, filate via in scioltezza ed in allegria, ravvivate da sketch di alcuni artisti, che novelli non sono più, sia perché da molto tempo calcano le scene di teatri regionali e nazionali e sia per aver partecipato alle trasmissioni dei media nazionali. Nella seconda parte della rappresentazione, come già lo scorso anno, un gradito ritorno al Delle Arti, direttamente dallo Zelig di Milano, Marta e Gianluca, ospiti d’onore della serata. L’esibizione dei due artisti fa salire di tono lo spettacolo per la quantità di personaggi da loro caratterizzati. La coppia ben assortita fa il verso a chi s’incontra al buio, lo speed date, per conoscere e cercare il partner adatto. Gli sketch, molto divertenti, sono serviti al pubblico con eleganza e bravura, Gianluca, pacato, tutto humor all’inglese, regge bene all’urto di una prorompente Marta, in alcuni passaggi molto simile all’indimenticata Anna Marchesini. Battute lampo, con un’intrinseca comicità “Ciao sono Vittoria di Monopoli, ciao io Pareggio al Risico” “Ciao come ti chiami? Gioia Tauro e tu? Vibo Valenza” oppure “Cosa disse Gesù nell’ultima cena? Prendete anche i ticket?”, suscitano risate a raffica. Gli applausi ripetuti, all’indirizzo di tutti, testimonia che lo spettacolo è stato ben confezionato ed ha soddisfatto e dilettato il pubblico. Che il laboratorio continui, per il successo di tutti i partecipanti.

Maria Serritiello
 
 

Al Teatro Genovesi di Salerno “Questa immensa notte” con Gli Amici di Jachy, di Genova


questa immensa notte

Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

“Questa immensa notte”, il secondo pezzo teatrale in concorso al nono Festival Nazionale del Teatro XS Città di Salerno, è stato rappresentato, il 5 Marzo 2017, presso il Teatro Genovesi, dalla compagnia “Gli Amici di Jachy” di Genova, per la regia di Paolo Pignero. L’Autrice Chloe Moss, di Liverpool, classe 1976, è una giornalista e blogger che con l’opera “Questa immensa notte”, portata in scena per la prima volta nel 2008 al Soho Theatre, ha vinto a Londra l’importante premio “Susan Smith Blackburn Prize”, conferito ogni anno ad un testo di nuova drammaturgia inglese.

Da subito, il testo si preannuncia duro, spietato e disperato, né l’aiuta la scenografia, un monolocale ridotto all’essenziale, con un arredamento del tutto arrangiato. Piove a dirotto e per tutta la durata, circa un’ora e venti, non smetterà.  In questo angusto spazio si muoveranno due donne, vomitando tutto ciò che non va in loro, come l’amara esperienza del carcere, le vite perse, l’affetto mai sicuro e nulla di concreto a cui aggrapparsi, se non la confortante amicizia che ne è nata tra di loro.  Mary, la padrona di casa, vive da sola, si veste in maniera trasandata, capelli tirati malamente su da una pinza e dalla quale sfilano molte ciocche alla presa, trucco sfatto e giubbottino di pelle nera, che indossa per andare a lavorare. Quando torna a casa, scende dai tacchi e calza ciabatte infradito con tutti i calzini. Sciatta, tatuata da ogni parte ed ondulante si trascina dal divano alla sedia, mangiando poco ma in compenso bevendo tanto, guarda la tv priva di sonoro, tanto non le interessa alcun programma. Nella casa predomina il silenzio e se non fosse per la pioggia che scroscia sui vetri, si direbbe disabitata. In una di queste sere, prive di senso, bussa, alla porta di Mary, Loredana, appena uscita dal carcere, intabarrata in una tuta grigia ed un informe impermeabile beige, almeno di una taglia in più, con una borsa da palestra sotto braccio, contenente i suoi miseri effetti personali. Si abbracciano contente di essere entrambe libere dai legacci del carcere. Loredana non sa dove andare e a Mary risulta ovvio invitarla a restare. Dopo il primo entusiasmo, che le induce a pensare di poter uscire dal baratro in cui sono precipitate, usando ogni mezzo, l’alcol, la musica, il ricordo di una qualche felicità, cominciano i problemi per andare avanti e il gluone che dovrebbe garantire la vicinanza e l'affetto tra le sue protagoniste sembra frantumarsi e decadere, per mancanza di prospettive e motivazioni. L'esile fiammella amicale battuta dai venti malefici delle droghe, delle sconfitte, della depressione e della infeconda e pregiudizievole ignoranza a stento resiste. Nel loro legame si combinano complesse dinamiche, esse sono amiche, sì, ma anche madre (Loredana) e figlia (Mary), c’è un rapporto sentimentale tra loro, ma anche conflitti molto forti, dettati dall’egoismo di una convivenza forzata. E poi tante bugie imbarazzanti, Mary, per esempio, non lavora in un bar ma fa la vita in strada, che mettono a nudo le loro anime e finiscono per farle scoppiare. Eccole, in una discussione accesa vengono a galla tutte le laceranti ferite che si portano dentro, l’abbandono della madre, lo sfruttamento di vari scioperati, l’alcol, per Mary, le pillole antidepressive, l’uccisione, il carcere, il rifiuto del figlio Benny, per Loredana.  La notte fa da testimone alle due anime derelitte, avviluppate dalla paura di ogni male del mondo di fuori, ben rappresentato dalla pioggia, mai catartica, ma sempre a far da ostacolo insormontabile con l'esterno, con l'insostenibile pesantezza dell'oscillare tra l'essere e il non essere. Storia apparentemente senza storie, che tuttavia consente all'autrice di imbastire un dialogo forte e struggente, duro e commovente, lucido e onirico, costruttivo e lacerante. E la notte, questa infinita notte, è lo spartito entro il quale si dipana la vita delle due, vita che per certi versi ricapitola le fasi della notte con una sorta di preludio dolce, che cede il passo al sonno Rem, seguito dai picchi ormonali preannuncianti il risveglio. Riviviscenza che al giorno dà speranze e alle due donne la certezza che da sole possono farcela. Ottima la resa delle due interpreti: Manuela Mazzola e Ornella Sansalone, recitazione spontanea, senza forzature ma naturale nel dialogo “Che hai provato ad uccidere? Chiede Mary “E’ stato facile” risponde Loredana. Commovente il ballo tra di loro ascoltando la musica dei ricordi e del loro incontro, come è struggente il pianto gridato da Mary “Voglio la mamma”, nel quale si ravvisa tutta la sua fragilità. Faccio mia (ndr) una battuta del recitato “Non tutti possono essere fortunati”. Il tempo del dialogo ha avuto la durata giusta e le battute fluide, anche se con qualche accento genovese di troppo. Bifasica la scelta delle musiche, a brani decisi e freddi si sono accostati pezzi  dolci e nostalgici. Buona la scelta e la direzione di Paolo Pignero.

Maria Serritiello
 
 

Alla terza edizione del “SalerNoir Festival Le notti di Barliario” 2017 Diego de Silva presenta Maurizio de Giovanni


 

Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

A preannunziare l'arrivo di Maurizio de Giovanni, una brevissima considerazione-aneddoto nei riguardi dell'ospite per eccellenza della prima giornata del “SalerNoir Festival le Notti di Barliario” 2017, da parte dello scrittore abruzzese Romano De Marco, che lo ha preceduto nella presentazione del suo libro. De Marco, spontaneamente, ha voluto focalizzare un tratto della personalità dello stesso, di certo meno e poco conosciuto, che si identifica nella sua bontà d'animo e nella sua disponibilità di venire in aiuto a chi si trova a disagio e che si estrinseca, spesso, in modo anonimo e sempre con empatia e spontaneità. Davvero un bel gesto essendone stato lui stesso il diretto interessato, ma fa talmente parte del personaggio che, quasi commosso, ha ritenuto di doverlo fare. Plauso alla sua onestà e tanto più alla dote di de Giovanni.

Quando appare nella capiente sala del Museo Diocesano di Salerno, riempita come un uovo dai fan, l’applauso scrosciante si è fatto sentire corposo e prolungato e lui non si sottrae all'abbraccio ed all'affetto dei suoi fan salernitani che, all’inizio della sua avventura di scrittore, superavano di gran lunga quelli di Napoli. Nessuna meraviglia se tutti erano là per lui, l’autore di tanti libri di successo, del commissario Ricciardi, che opera in una Napoli degli anni trenta e del commissario Loiacono, quello dei Bastardi di Pizzofalcone, entrato in tutte le case italiane, attraverso la serie televisiva di Rai 1. Al tavolo, a riceverlo, lo scrittore salernitano Diego De Silva, altra gloria del patrimonio letterario internazionale, amico fraterno e profondo conoscitore del personaggio e della sua scrittura, nonché acuto e lucido esperto della letteratura contemporanea. Sarà perché predilige il Maurizio de Giovanni dei Bastardi di Pizzofalcone, sarà perché la sua capacità di offrire dall'interno di scrittore, una prospettiva molto più efficace e precisa, vicina alla realtà dell'animo dell'autore, certo è che la sua lettura dell'opera “de Giovanniana” rimarrà nella mente dei molti spettatori, che affollavano la sala, come una delle più dilettevoli “Lectio magistralis” ascoltate. E se lo scopo della letteratura è migliorare la conoscenza delle cose del mondo, lui ha fatto conoscere, come meglio non si può, il mondo e la bravura di de Giovanni. Con aria pacata, la voce bassa, quasi sussurrata, Diego de Silva ha posto l’accento sulla sua capacità di amore verso i propri personaggi, il suo attaccamento alla città di Napoli, la sua capacità di plasmare e far apprezzare come esseri veri e autentici i personaggi, sia pure nelle loro manifeste ed esibite imperfezioni, nella sua capacità di saper comunque e sempre riannodare i fili di un flusso continuamente cangiante, nato dai personaggi stessi  e nella sua infinita pazienza nel tenere a bada il cavallo focoso e bizzarro della sua Napoli. Senza farsi mai prendere la mano dalla stessa città, usando la sua arte sopraffina, per glissare su aspetti spinosi e abbandonandosi a liriche, cromatiche, digressioni paesaggistiche, mai fini a se stesse, ma vergate da un amore sconfinato per la sua terra e da una attenta disamina delle mutate condizioni mentali e sociali di quel mondo, che tanto gli sta a cuore. Tutto ciò, espresso da Diego de Silva, con un linguaggio puntuale, preciso, fluido, rigoroso e perché no, carico di tanto sapere letterario. Ne è venuta fuori una prospettiva di certo diversa e benefica per tutti, ma non per questo complicata o astrusa, anzi, asciutta, stringata, esclusiva, interessante e precisa, gettando nuova e più obiettiva luce sull'opera di De Giovanni. E’ riuscito, inoltre, con l’erudizione che lo contraddistingue, a focalizzare la mente degli spettatori sulla difficoltà che comporta non solo lo scrivere, ma anche l’elaborare bene un romanzo, qualunque sia il suo genere e quali siano le asperità e le fatiche che, strada facendo, s’ incontrano, ancora di più se il libro e il suo autore, hanno volontà di uscire dalle sicurezze di un orticello, grande quanto il proprio condominio, e proporsi ad un pubblico più sofisticato e cosmopolita.

Maurizio De Giovanni ascolta sorridendo l’amico, contento di essere a Salerno e tra persone che lo ritengono un proprio patrimonio personale. Ringrazia, poi, de Silva, accanito lettore dei suoi libri e cita quella parte del “Giovane Holden”, nel quale si dice che chi legge l’autore preferito amerebbe conoscerlo di persona e chiamarlo ogni volta che se ne ha il desiderio, bene a lui è concesso. E’ ben felice, inoltre, di presentare a Salerno i suoi “bastardi”, mai mostrati prima e di parlare di alcuni punti in cui è stato in disaccordo con la produzione Rai. Quando ha iniziato a scrivere di “Ricciardi” ad un certo punto il personaggio gli è sfuggito di mano e lui lo ha rincorso per tre anni, in effetti era il commissario a scrivere di se stesso. I “bastardi”, invece gli sono capitati per caso, usciti dalla sua creatività difettati, avendo due gravi problemi, l’uno è che ognuno di loro ha compiuto un qualcosa che non andava fatto, spezzandosi la carriera, l’altra è il giudizio severo dello specchio, in cui ogni mattina i bastardi si riflettono e con il quale devono fare i conti. La faccia che si porta in giro non è la stessa che rimanda la superficie luminescente, la mattina, i difetti sono visibili per quelli che sono e non trovano giustificazione. A Maurizio i “Bastardi” piacciono molto, perché sono delle persone normali, che vanno guardati senza pietismo, ma accettati senza un severo giudizio, tanto a condannarsi ci pensano loro. Quello stare insieme, mano a mano, riesce a farli riappropriare dell’onorabilità perduta e del desiderio di fare squadra, sia in senso lavorativo che amicale. Maurizio è un grande affabulatore, l’arte della parola è cosa facile per lui, sicché tutti i personaggi si presentano ad uno ad uno, da lui descritti, visibilmente nella sala del Museo Diocesano ed anche la Napoli con luci ed ombre e situazioni diverse, è prepotentemente esibita.  Ma l’acme tra il pubblico, un solo sguardo, un solo respiro e uniche emozioni in circolo, si raggiunge, quando, come ogni volta, lasciando il podio, che fra poco lo vedrà vincitore del primo premio del “SalerNoir Festival le Notti di Barliario” 2017, legge, da interprete, un pezzo del suo romanzo. La voce è bassa, raccolta, ovattata, con le giuste pause, i toni opportuni e la musicalità del verso che incanta, quando pronuncia Ciao amore sono a casa”. Silenzio, ad occhi bassi, entra nel personaggio, concentrandosi per alcuni secondi sul testo che leggerà tra poco. Ed eccole le parole amorose, sincere, semplici, dette e ridette a sua moglie, per oltre trent’anni, al suo rientro dal servizio, riponendo le chiavi all’ingresso. Va avanti Maurizio con l’impeto di chi quella creatura l’ha creata e la offre in dono ai suoi lettori, cosicché ognuno, rientrando a casa possa portare nel suo immaginario, oltre alla più bella dichiarazione d’amore, con tutte le varianti sul tema “Ciao amore sono a casa”, anche la voce dello scrittore. La standing ovation che ne segue, per te, Maurizio, ci sta tutta.
Maria Serritiello
 
 
 
 

Per tre giorni a Salerno “Il SalerNoir Festival Le notti di Barliario




Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Per tre giorni a Salerno “Il SalerNoir Festival Le notti di Barliario”

Per tre giorni, dal 2 al 4 marzo, Salerno accoglie i maggiori scrittori italiani di giallo e noir con “Il SalerNoir Festival Le notti di Barliario”. Il nome scelto per contraddistinguere le giornate salernitane dalle altre che affollano la penisola, è stato bene appropriato. Barliario, infatti è la leggendaria figura di medico ed alchimista salernitano, studioso di testi di magia della tradizione araba, che si dice abbia costruito in una sola notte, con l’aiuto dei demoni, l’acquedotto medioevale “Il Ponte dei Diavoli” per l’appunto, usando la sconosciuta ogiva. L’opera imponente e diabolica fa ancora la sua bella mostra, nella città, in Via Arce. La kermesse è alla sua terza edizione ed è stata ideata dall’associazione “Porto delle nebbie” in omaggio a George Simenon e costituita qualche anno fa dai salernitani: Piera Carlomagno (Presidente), Brunella Caputo, Sabrina Prisco, Massimiliano Amato, Corrado De Rosa e Marcello Ravveduto. L’evento è organizzato in collaborazione con le Fondazioni Carisal e Copernico e con il patrocinio del Comune di Salerno.

Il SalerNoir si spalma nella parte antica della città, scegliendo luoghi carichi di suggestione e di storia in cui ha ruotato, con la sua magia, Barliario, come il Museo Diocesano, la Galleria Cerzosimo, l’Osteria Canali e il Convento di San Michele. Le giornate vanno avanti con presentazioni e incontri con le scuole, con reading e performance, con cene tra gli autori, ma anche con la mostra fotografica “Dodici Nere” dell’eccellente fotografo salernitano Armando Cerzosimo e non è finita, a conclusione delle tre serate, un concerto degli Electric Ethno Jazz Trio con Stefano Giuliano, Domenico Andria e Pietro Ciuccio. Le novità del genere noir e giallo, grazie a bravi scrittori, sono presentate al pubblico, dagli stessi autori: Maurizio de Giovanni, Valerio Varesi, Romano De Marco, Stefano Tura, Sara Bilotti, Gabriella Genisi, Roberto Centazzo, Katia Tenti, Gianluca Campagna, Vincenzo Maimone, Mariano Sabatini, Massimo Carlotto. Il reading teatralizzato è curato da Brunella Caputo, per accompagnare la presentazione dell’antologia “I delitti della gelosia”, di cui essa stessa è autrice, assieme, tra gli altri, alla salernitana Tina Cacciaglia e al bolognese Fabio Mundadori. Lo scrittore padovano Matteo Strukul, invece, espone la storia dei “Medici” agli allievi del liceo Tasso e del liceo De Sanctis, che hanno partecipato alla scorsa edizione con uno scritto o un racconto a tema. Il vincitore, tra le due scuole, riceverà un premio offerto dalle Fondazioni Carisal e Copernico. Ed ancora per gli allievi ed appassionati, lo scrittore abruzzese Romano De Marco ha tenuto lezioni di scrittura creativa.  Tutti i passi che accompagnano le presentazioni delle opere degli autori sono lette da Brunella Caputo, Teresa Di Florio e Letizia Vicidomini, mentre i vari incontri sono presentati da Massimiliano Amato, Piera Carlomagno, Alfonso Conte, Federica Belleri, Antonio Lanzetta, Rocco Papa, Stefania De Caro e Corrado De Rosa. All’interno del Festival si possono usufruire anche di visite guidate, come quella al convento di San Michele, condotta dallo scrittore salernitano Carmine Mari e l’altra, da Cristina Prisco, al famoso Crocifisso, presso il Museo Diocesano, dinanzi al quale Barliario, pentito, stette genuflesso per tre giorni, fino a che non ottenne il perdono.

Novità di SalerNoir, edizione 2017 è l’istituzione di due riconoscimenti per gli scrittori di un genere che va sempre più affermandosi presso il pubblico. Il Premio “Attilio Veraldi”, in omaggio allo scrittore napoletano, padre del giallo italiano, conferito allo scrittore padovano Massimo Carlotto, per la figura, da lui creata, dell’investigatore Marco Buratti, “l’Alligatore” ed il “Premio Barliario” un tributo alla carriera, ben assegnato a Maurizio de Giovanni. Infine un riconoscimento dallo sponsor di turno, pasta Antonio Amato, è opportunamente assegnato a Gabriella Genisi, scrittrice barese, per la passione gastronomica e che anima il commissario al femminile, Lolita Lobosco.

Maria Serritiello
 
 

 

 

 

 

venerdì 10 marzo 2017

Allerta meteo: forte vento, chiudono i parchi a Salerno

                     allerta meteo forte vento chiudono i parchi a salerno
 
 
 
Fonte:Ottopagine.it
Redazione Salerno
 
L'amministrazione comunale ha comunicato in una nota che in considerazione dell’allerta meteo diramata dalla Protezione Civile, è stata disposta, in via precauzionale per la giornata odierna, venerdì 10 marzo, dalle ore 15.00 e per le successive 24/30 ore, la chiusura al pubblico dei parchi cittadini.
 
Si prevedono, infatti, forti venti che potrebbero determinare rischi in particolare per le alberature ad alto fusto. Nei giorni scorsi in città diversi arbusti sono stati danneggiati dalle forti raffiche di vento che si sono abbattute su tutta la provincia, disagi fortunatamente che hanno causato solo danni materiali e nessun ferito.
 
 
 
 
 

Torna a parlare di Salernitana lo storico presidente del Club granata Aniello Aliberti

 
Fonte: SalernoNotizie.net
 
Torna a parlare di Salernitana lo storico presidente del Club granata Aniello Aliberti che, ospite della trasmissione Zona Mista in onda su TvOggi Salerno, analizza il momento storico della squadra granata soffermandosi sulla sua gestione targata Lotito-MezzaromaSotto la sua gestione Aliberti ha regalato ai tifosi alcuni dei momenti più belli della storia ed in televisione ha toccato molteplici tematiche, spaziando dalla più stringente attualità fino agli indelebili ricordi della sua presidenza granata.
“Da quanto ho sentito in questi anni, Tavecchio mi sembra il meno adatto a rappresentare il calcio italiano che nel tempo non è cambiato granché con scandali a raffica, calcioscommesse e quant’altro. Lotito presidente della Lega di Serie B? Non ci credo, è pur sempre il presidente di una squadra di Serie A”.
Interpellato sulla questione multiproprietà, Aliberti è stato chiaro: “Non è un problema, conta prima la promozione. Una soluzione la si troverebbe sicuramente. Il rapporto di Lotito con la tifoseria? Lotito è ‘distratto’ dalla Lazio, Salerno meriterebbe un po’ più di attenzione, passione e calore. La città avverte evidentemente un po’ di distacco tra squadra e società. Se accetterei ruoli societari alla Salernitana? Mi potrei limitare a consigli o suggerimenti, nessun incarico ufficiale”.
Aliberti – come riporta tuttosalernitana.com – ha poi continuato: “Se io dovessi scegliere tra Lazio e Salernitana sceglierei senza dubbi la Salernitana. Credo che nessuna piazza d’Italia riesca a darti emozioni del genere, spenderei tutta la mia vita per riempire quello stadio. Come si riempie l’Arechi? Non solo coi risultati, ma anche con l’amore. L’affetto familiare che si era creato durante la mia presidenza è importante da ricreare. Davvero degli splendidi ricordi, undici anni che non si cancellano facilmente”.
Mezzaroma ha riferito che per la Salernitana ci vogliono circa 20 milioni di euro: “Mi sembra una cosa esagerata. L’unica cosa che abbia un valore oggi è il titolo in Serie B che tra l’altro non si vende ma che varrebbe 6/7 milioni. Per la mia valutazione non credo che ci sia ne un grande patrimonio calciatori nè un grande settore giovanile”. 
Rosina? Un giocatore che mi è sempre piaciuto. Andrebbe gestito in una certa maniera, è un ottimo giocatore. Non ho provato a rilevare la Salernitana dopo il fallimento Lombardi perché non era ancora il momento, le mie vicende andavano ancora sistemate. La mia sofferenza per quello scippo non è mai andata via. Se potessi tornare indietro cosa cambierei? Non rifarei certi errori, ma avrei reso la Salernitana più forte e intoccabile. La Salernitana doveva rimanere dov’era e avere la possibilità, al pari delle altre squadre, di proseguire il suo cammino senza subire quella penalizzazione scandalosa”.

giovedì 9 marzo 2017

Così il Sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli, onora le donne nella giornata dell'8 marzo

 
 
La proposta del Sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli in occasione dell'8 marzo
 
"Dedicheremo alcune strade della città a figure femminili". È questa la proposta annunciata dal sindaco di Salerno Vincenzo Napoli per celebrare le donne in occasione dell'8 marzo. L'amministrazione comunale di Salerno, oltre ai progetti degli assessorati competenti, e a quanto di concreto già fatto, intende promuovere una iniziativa per la toponomastica cittadina.
Sulla scorta di un impulso dato dalla pres...idente della Camera, Laura Boldrini raccolto dal presidente Anci, Antonio Decaro, sarà inoltrata alla commissione toponomastica una serie di indicazioni per fare in modo che ci sia un adeguato numero di strade simbolicamente dedicate ed intestate a donne.
 
Inoltre - aggiunge il primo cittadino - sto seguendo il recupero di uno spazio degradato che ora diventerà un bel giardino nel quartiere Europa, che verrà intestato all'8 marzo e sarà arricchito da una scultura di alto valore simbolico donata da un gruppo di ceramiste. Sarà un giardino dedicato alle donne e alla loro presenza alta nella società. L'otto marzo è una ricorrenza simbolica da rispettare, ma non deve diventare un cerimoniale stanco e banale che si esaurisce col dono di una mimosa. La battaglia si pone nelle istituzioni, nella società, nel mondo del lavoro. La donna si valorizza con la sua forza e non tollera paternalismi. Noi dobbiamo essere presenti con atti concreti e fattivi. Vedremo nei prossimi anni se sono stati fatti i doverosi e necessari passi avanti".
 
 

mercoledì 8 marzo 2017

Il Personaggio Napoli


A Salerno nasce una chiesa green che cattura lo smog come un bosco







Userà una pittura fotocatalitica che assorbe l'inquinamento. Un "cappotto" supercoibentante schermerà caldo e freddo. Il progetto è finanziato dalla Cei con 4,5 milioni di euro
 
 
Fonte: Repubblica.it Ambiente
di Antonio Cianciullo
 
Una chiesa green. Che cattura l’inquinamento e si circonda di alberi. Costruita con i materiali della tradizione e la tecnologia del futuro. Sorgerà a Salerno, per ospitare i fedeli dei quartieri Torrione e Sala Abbagnano, grazie a un finanziamento della Cei (Conferenza episcopale italiana) di 4,5 milioni di euro.

La nuova chiesa di S. Giovanni e S. Felice in Felline, un progetto di Overtel e Centola&Associati, sembra studiata per la nuova legge contro il consumo del suolo (che per la verità non riesce a decollare): l'impatto ambientale è ridotto perché si occupa meno terreno lasciando spazio alle essenze della macchia mediterranea; una vernice fotocatalitica permette di imprigionare lo smog; è prevista l’installazione di celle fotovoltaiche per compensare il consumo energetico della parte dell’edificio destinata all’oratorio.
 
"Su 11 mila metri quadrati di terreno solo mille verranno coperti dalla nuova struttura, il resto sarà destinata a una piazza botanica che resterà aperta 24 ore su 24: ulivi, cipressi e un gruppo di palme prenderanno il posto del parcheggio asfaltato che attualmente occupa l’area", spiega Luigi Centola, l’architetto che ha ideato il progetto. "Vogliamo creare una chiesa ecocompatibile costruita con tecniche e materiali tipici dell’architettura mediterranea tradizionale: nell’impasto del cemento che tiene la struttura gli inerti sono costituiti da lava, pomice e lapilli, una reinterpretazione del bugnato storico in basalto o piperno di palazzi e chiese campane. La struttura del tetto è in legno. Le finestre sono incassate e coperte da vetri specchianti che le rendono quasi invisibili".

A completare il quadro degli interventi, un "cappotto" supercoibentante servirà a schermare freddo e caldo, mentre la cupola ad apertura elettronica creerà un effetto camino che d’estate permetterà di lasciar uscire dall’alto l’aria calda facilitando la ventilazione naturale. La vernice fotocatalitica produce invece l'effetto bosco: 100 metri quadrati di superficie sono equivalenti, dal punto di vista della cattura degli inquinanti, a 100 metri quadrati di alberi di alto fusto. I 1.200 metri quadrati di superficie compenseranno le emissioni medie prodotte da 200 auto in un anno.Oltre a un miglioramento della funzionalità (la chiesa attuale è piccola e fatiscente) è evidente l’aspetto simbolico del recupero. Una scelta in linea non solo con lo spirito dell’enciclica Laudato sì, ma anche con una rivisitazione moderna del rapporto con la natura condivisa da varie fedi. Tanto che il Marocco ha lanciato il piano per la realizzazione di 600 moschee verdi (con fotovoltaico, solare termico e led) da realizzare entro il 2019. E analoghi progetti sono in corso
in Medio Oriente, dalla Giordania all'Arabia saudita