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domenica 31 gennaio 2016

'Orsi Polari' si tuffano nel Po




Fonte: ANSA.it

A Torino la 117/esima edizione del tuffo più gelido d'Italia

Un tuffo nell'acqua gelata del Po.

  Si rinnova anche quest'anno, a Torino, il tradizionale cimento invernale. La manifestazione, nata nel lontano 1899, è stata organizzata dalla Rari Nantes Torino. La nuotata degli impavidi 'Orsi Polari' dal Circolo Canottieri Caprera. Sportivi e non, giovani e meno giovani, tra i quali anche qualche bambino e persino degli ultraottantenni. Tutti armati di costume, ciabatte, accappatoio e... tanto coraggio. Per riscaldarsi, una volta asciutti, non poteva mancare il vin brûlé, bevanda calda a base di vino.



Francesco Nuti maltrattato e umiliato dal suo badante: 'Ho paura'








Fonte: Ansa.it

La citta di Prato e tutto il cinema italiano sotto choc. L'attore e regista Francesco Nuti ora 'ha paura' dopo essere stato maltrattato, umiliato e picchiato dal suo badante, un georgiano.
La vicenda è stata ricostruita dalla procura della città toscana che indaga per maltrattamenti ed è scaturita da un racconto del sostituto del badante, un assistente dell'attore che sostiene di aver assistito ai maltrattamenti. A portare l'accaduto a conoscenza della procura è stato il fratello del regista, Giovanni Nuti.  Nel procedimento il gip di Prato ha disposto l'allontanamento del badante georgiano dall'abitazione. L'interrogatorio si svolgerà fra 10 giorni. Durante l'indagine, Francesco Nuti, ha avuto un incontro con il sostituto procuratore Antonio Sangermano per essere ascoltato come vittima e durante il quale ha scritto in un biglietto la frase "Ho paura". Secondo quanto accertato dalla procura, i maltrattamenti sarebbero andati avanti da almeno un anno, ovvero da quando la madre del regista - disabile dal 2006 - non abitava più con lui. A cavallo tra il mese di dicembre e gennaio un ragazzo africano chiamato a sostituire il badante (che di lì a poco sarebbe dovuto partire per una vacanza), ha potuto osservare i maltrattamenti nel suo periodo di affiancamento. Il ragazzo ha raccontato ciò che ha visto alla figlia del fratello del regista, Margherita, che assieme al padre Giovanni non ha esitato a denunciare. Ieri, al ritorno dalle vacanze, all'uomo è stato immediatamente notificato l'atto del giudice per le indagini preliminari che dispone l'allontanamento dalla casa di Nuti.


 
 


Franco Cerri festeggia i 90 anni suonando



Fonte :Ansa.it

Si è esibito non con colleghi storici ma con formazioni recenti

"Posso solo dirvi grazie!": garbato e modesto come sempre, a dispetto di una carriera che l'ha visto brillare con Chet Baker, Gerry Mulligan e Lee Konitz fra i tanti, ieri sera Franco Cerri ha abbracciato i 1400 milanesi presenti al Teatro Dal Verme per festeggiare i suoi '90 anni suonati'. Da Largo Cairoli fino quasi a Corso Magenta si sono formate due lunghe code per prendere parte a uno degli eventi culturali dell'anno, un tributo che forse non a caso si è svolto a pochi passi dal luogo in cui negli anni '50 fu aperta la Taverna Mexico di via San Giovanni sul Muro, club centrale per la generazione di jazzisti milanesi che ha avuto Cerri fra i capofila. Ma il festeggiato non ha scavato nella nostalgia: benché ad aprire la serata sia stata un perla delle teche Rai, un estratto da 'Sabato Sera' del 1967 in cui Cerri e Mina interpretano 'Corcovado', il compleanno in musica di ieri è stato un tributo all'artista attuale. Nel primo tempo infatti si è sentita una delle sue formazioni recenti (con Luca Garlaschelli, Tony Arco e Alberto Gurrisi) che dopo classici come 'Brasil', 'Volare' o 'Parlami d'amore Mariù' ha ospitato per un brano anche il giovane Alessandro Usai, ex studente dei Civici Corsi di Jazz di Milano definito da Cerri "il miglior chitarrista uscito dalla nostra scuola". Dopo un tributo al piano a solo dell'amico Enrico Intra e un intervallo in cui Cerri ha abbracciato le persone più care come Eugenio Finardi, che collaborò anche con il compianto figlio Stefano, la serata è ripartita dalle interviste di Nanni Zedda a colleghi e sodali come George Benson, Dario Fo, Fabio Concato e Ottavio Missoni, ciascuno con una testimonianza sull'importanza del chitarrista milanese come pioniere, talento e ambasciatore jazz. Lo show è ripartito da un pianista amatoriale d'eccezione, Piero Angela: "Conosco Franco Cerri dal 1946 - ha ricordato - andavo in bici con un amico al locale in cui suonava e ci appostavamo sul retro per ascoltare perché non avevamo i soldi per pagare il biglietto". Collega di divulgazione televisiva, sebbene in ambiti e tempi differenti, Angela ha interpretato al piano 'My Funny Valentine' prima di esibirsi in duetto con il festeggiato. Tornando al presente Cerri ha convocato il quartetto con Stefano Bagnoli, Riccardo Fioravanti e Dado Moroni per eseguire un set dall'ultima fatica discografica, 'Barber Shop Vol II', tra standard come 'Take the A Train' e perfino 'Roma nun fa la stupida stasera', curiosamente tornata nel teatro milanese tre mesi dopo il coro intonato da Francis Ford Coppola. Prima dei saluti finali, Nanni Zedda ha cantato 'Route 66' con il quartetto: "Franco è un pezzo inestimabile della cultura italiana - ha detto - come Pompei non possiamo permetterci di dimenticarlo". A chiudere la festa, prima di uno spontaneo coro di 'Tanti Auguri' giunto dagli spalti, è stata un'orchestra diretta da Luca Missiti di 22 studenti dei Civici Corsi di Jazz, il percorso di studi promosso dallo stesso Cerri, che ha omaggiato il maestro con un suo brano

venerdì 29 gennaio 2016

Giuseppina Gallozzi in concerto presso l’Archivio di Stato di Salerno



Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Presso l’Archivio di Stato di Salerno, Largo Abate Conforti, in collaborazione con l’Associazione Culturale Cypraea, sezione di Salerno e Provincia, il 27 gennaio, si è esibita in concerto la pianista Giuseppina Gallozzi, essa stessa presidente dell’Associazione suddetta. Il programma eseguito dalla pianista è di raffinata scelta:

J.S. Bach Suite francesi n°5 in sol maggiore BWV 816

Allemanda –Courante-Sarabanda-Gavotta-Bourrè-Louvre-Giga

 
W.A.Mozart Sonata in Do maggioreKV330

Allegro moderato-Andante cantabile-Allegretto

L.V. Beethoven Sonata in Mi bemolle maggiore op 81a “Les adieux”

“L’addio”. Adagio –allegro

 “L’Assenza” Andante espressivo-attacca

“Il Ritorno” Vivacissimamente

I pezzi sono stati eseguiti in maniera perfetta ed interpretati con la passione di chi ha fatto della musica un suo credo. Scorrono veloci le mani sulla tastiera e da essa la musica si fa emozione per chi l’ascolta La bravura della pianista è nota come le doti interpretative ed ascoltarla è stata una vera carezza dell’anima, soprattutto per il dolcissimo pezzo di Bach: Sarabanda, di una dolcezza infinita, per essere distratti subito dopo dalle note vivaci, una cascata, di Mozart. La musica, poi, di Beethoven, descrittiva, dettagliata, hanno trasportato l’ascoltatore in un’atmosfera ultraterrena, dove il rumore non vi arriva ed è pace per l’udito. Il bis che è succeduto al caloroso applauso, meritatissimo ha soddisfatto la platea. Ad averne di pomeriggi così!

Giuseppina Gallozzi, concertista, è Presidente dell’ Associazione Culturale Cypraea di Salerno e Provincia

L’Associazione Culturale Cypraea, fondata nel 1983 in Penisola Sorrentina da Cecilia Coppola, docente di lettere classiche, scrittrice e pittrice, dà la possibilità a giovani di tantissime nazioni dalle Americhe all’Europa, dall’Asia all’Africa di incontrarsi, di confrontarsi e divenire portavoce di messaggi di pace nel rispetto dei popoli, di amore per la tutela della natura e di conoscenza e di fusione della storia delle loro civiltà.

Maria Serritiello
 
 
 

 




Maurizio De Giovanni alla libreria Feltrinelli di Salerno per la presentazione di “Cuccioli”



                                                 (Foto Maria Serritiello)

Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
L'hanno atteso in tanti, già da un'ora prima da quella fissata, le 18,30, nello spazio presentazione della libreria Feltrinelli, sul corso principale di Salerno, il 21 gennaio scorso. E lui non si è fatto aspettare, è arrivato puntuale, alto, occhi verdi, per niente affaticato, sorriso rassicurante e salutando quasi ognuno personalmente Il “lui” in questione è Maurizio de Giovanni, lo scrittore di gialli tra i più noti in Italia e non solo, i suoi scritti, infatti, sono tradotti attualmente in 7 paesi: Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Russia, Danimarca, Stati Uniti e presto saranno anche una serie tv. Lo scrittore, a Salerno, è di casa, lo dice lui stesso a Brunella Caputo, attrice e regista che lo intervista e presentando l’ultima sua fatica “Cuccioli”.  Ed ha tantissimi estimatori, fin dal suo esordio, tanto da battere in lettori Napoli.

Personalmente (N.D.R.) ricordo una delle sue prime presentazioni, al Piccolo Teatro del Giullare, chiamato dal Porto delle Nebbie, l’associazione di giallisti salernitani, presieduto da Piera Carlomagno, giornalista e scrittrice, quando esordì col dire “Io non ci volevo venire…” non perché non avesse piacere a stare là, ma perché considerava i suoi scritti non il fenomeno che sono diventati, lui che aveva iniziato a scrivere per gioco,  per uno scherzo approntatogli da alcuni amici buontemponi. E’ tornato sempre, invece, accolto con tanto affetto e partecipazione, sì da fargli considerare Salerno, tappa inserita comunque nei suoi tour, prendendosi un giorno di ferie, perché, come afferma, oltre il discorso commerciale, c’è il cuore.

La sua, più che la presentazione di “Cuccioli” è stata una bella chiacchierata, intrattenuta sia con Brunella Caputo che, leggiadra come una gazzella, lo intervista, sia con il pubblico, suo vecchio amico, che vuole conoscere i propri beniamini raccontati da chi li ha immaginati. Nei suoi scritti, non è tanto il colpevole ad interessarlo, quanto il perché dell’azione nefasta e lo fa tanto bene che ci si affeziona anche ai personaggi negativi. E’ affascinante ascoltarlo, è un grande affabulatore, il tono basso della sua voce è perfetta quando parla delle sue creature, inserite in una Napoli che non viene mai nominata ma di cui si percepiscono i suoni, gli odori, le voci, le credenze, le tradizioni e lo fa con dovizia di particolari tanto da avvertirne le presenze. Il senso del dolore, il Gelo, il Buio, ed ora i Cuccioli, così come gli altri, sono libri scritti con i cinque sensi, percepibili nella lettura e per questa ragione restano tanto impressi.

 Napoli è femmina, così la definisce nei Cuccioli, una femmina dai mille volti, un crogiuolo di emozioni, di sensazioni che variano da quartiere a quartiere e spesso anche all’interno dello stesso vicinato. Lui che è napoletano fino all’osso percepisce ogni sfumatura della città, ogni contraddizione della sua gente, è innamorato e come tale si comporta. Come non volergli bene!

Si concede, gli piace dare la sua anima a chi lo legge e lo fa in maniera totale, duettando, da vero maestro, su di un intero capitolo del libro, con Brunella Caputo, talaltro sensibile interprete di splendide regie teatrali dei suoi scritti a Salerno e a Roma.

Ecco, l’atto creativo dei Cuccioli ha iniziato la sua marcia trionfale, esso si estenderà, come le altre volte, a macchia d’olio nelle vendite, varcherà i confini, si mescolerà a tanti altri odori, colori e linguaggio, perché Maurizio è uno scrittore lirico, verace e di cuore, che non tralascia di coinvolgerlo nemmeno quando ha a che fare con i trucidi assassini.

Maria Serritiello 
 
 

 

lunedì 25 gennaio 2016

Antonella Cilento-Maurizio de Giovanni, a Napoli scintille tra scrittori



Fonte: R.it
di Conchita Sannino ( scritto parziale)

Doveva accadere prima o poi, non essendo quello degli scrittori specie nell’Olimpo napoletano - il più pacifico dei mondi possibili. Così scoppia la bufera tra Maurizio de Giovanni, autore del celebrato commissario Ricciardi e della serie sui Bastardi di Pizzofalcone (da cui si sta girando in questi giorni la fiction con Alessandro Gassmann), e Antonella Cilento, finalista allo Strega 2014 con “Lisario o il piacere infinito delle donne”.

De Giovanni si confida su Facebook col suo vasto popolo di ammiratori. E scrive: «Su segnalazione di un amico, leggo in un libro: “Il diavolo abita a Napoli. Se non l’avete notato è perché si moltiplica nell’occhio dei suoi abitanti, si nasconde dentro le gobbe, le gambe storte, gli arti meccanici. Ha le dita degli impiegati di banca, cui fa spesso credere di essere scrittori, muove le grinfie dei ricchi sagliuti, degli smaltitori di rifiuti tossici, (...) degli assassini, dei camorristi” ».

Tutto tratto da “Bestiario napoletano” della Cilento. Ma De Giovanni non lo cita e dopo una fiera difesa del suo ex impiego in banca e dei vecchi compagni (“Nessuno tra i celebrati autori che ho incontrato in questi anni ha più dignità ed è più rispettabile di tutti quei colleghi che incontravo assonnati in un piccolo bar”), sfodera quel sarcasmo che il suo tratto morbido e generoso difficilmente tradisce. “

Prima, mi sono divertito. Poi ci ho pensato, e la cosa mi ha reso davvero triste - scrive de Giovanni - Triste perché dev’essere terribile dover vivere in una città che si odia tanto. Triste perché dietro parole come queste c’è tanta sofferenza per le copie non vendute, le sale semivuote, la gente che non ti riconosce per strada, i premi non vinti e le fiction che non verranno mai tratte dai libri, per il conto asfittico e per le lingue in cui non si sarà mai tradotti, a fronte della consapevolezza di essere bravissimi, Veri Scrittori”.

La Cilento, interpellata da Repubblica, cade dalle nuvole. «Ma la mia era una frase ironica. E poi non è mica l’unico, ci sono altri artisti e scrittori usciti dal Banco di Napoli, una fucina». Per esempio? «Peppe Lanzetta. Ma non perdo tempo con una polemica. Poi il libro è uscito un anno fa, bello che digerito... ». ..


PER QUANTO MI RIGUARDA SU FB HO SCRITTO CHE L'ATTACCO A MAURIZIO E' TUTTA INVIDIA , LUI E' DIVERSO PERCHE'  SCRIVE CON IL CUORE  E SALERNO LO AMA ANCHE PER QUESTO, OLTRE ALLA SUA INDUBBIA BRAVURA . NON TI CURAR MAURI', NON TI CURAR'...(maria serritiello)

domenica 24 gennaio 2016

Arnoldo Foà il centenario, festa per tutto il 2016






 


Fonte : Ansa Cultura

Era nato a Ferrara il 24 gennaio, primo evento serata a Roma

 
Considerato da Giorgio Strehler uno dei cinque grandi attori italiani della seconda metà del '900, Arnoldo Foà, nato a Ferrara nel 1916, avrebbe compiuto 100 anni  il 24 gennaio. Sarà celebrato lungo tutto il 2016 con una serie di iniziative promosse e sostenute dalle istituzioni ed accolte dalle città a lui più care per ricordarlo e per dare la possibilità a chi non l'ha conosciuto di avvicinarsi ad un personaggio dell'arte e cultura italiane che ha attraversato la storia del nostro Paese, dalla guerra alla discriminazione razziale, dai successi straordinari in teatro alle battaglie per la nascita del sindacato degli Attori.
Il primo evento sarà una serata speciale a Roma in cui gli artisti che lo hanno amato assieme alle figlie e alla moglie Anna lo porteranno ancora una volta in scena in teatro, con la leggerezza e lo stile che sempre lo hanno caratterizzato.
Nato a Ferrara il 24 gennaio del 1916, comincia la sua attività in teatro piuttosto presto, a 17 anni, dopo aver frequentato a Firenze una scuola di recitazione. Ma non sono esperienze appaganti e per questo opta per il Centro sperimentale di cinematografia a Roma. Nel 1938, l'anno delle Leggi razziali del fascismo, Foà in quanto ebreo deve abbandonare il Centro e, per lavorare, è costretto ad usare nomi falsi (tra cui 'Puccio Gamma') e a ricoprire saltuariamente il ruolo del sostituto di attori malati. Riesce così a lavorare nelle compagnie più prestigiose: Cervi-Pagnani-Morelli-Stoppa, Ninchi-Barnabò, Adani-Cimara, Maltagliati-Cimara.
Nel 1943 si rifugia a Napoli, dove diventa capo-annunciatore e scrittore della Radio Alleata PWB: spetta a lui - quasi una vendetta della storia - la comunicazione dell'armistizio con gli Alleati, l'8 settembre 1943. Nel 1945, finalmente libero da persecuzioni, riprende con il teatro, interpretando, per la compagnia del Teatro Eliseo di Roma, 'La brava gente' di Irwin Shaw. Da lì la sua carriera riprende sempre più intensa; da 'Delitto e castigo' e 'La luna è tramontata' diretti da Visconti, a 'Enrico IV' con Ruggeri. Si impone per l'asciutta modernità, la sobrietà di gesti e intonazioni, in spettacoli come 'Anna per mille giorni', 'Detective Story', 'Lazzaro'.
Fa compagnia con Andreina Pagnani ('Ma non e' una cosa seria'), Lea Massari ('Due in altalena'), Lea Padovani ('La stanza degli ospiti'). Tra le sue prestazioni pi? originali 'Fiorenza' di Thomas Mann, interpretato negli anni '80 per la Festa del Teatro di San Miniato. Ma lo stesso è molto attivo nel cinema, in tv e in campo radiofonico: il suo esordio del '45 con 'Un giorno nella vita' di Blasetti per poi interpretare circa altre cento pellicole. Fra queste 'Processo' di Orson Welles, 'I cento cavalieri' di Cottafavi, 'L'uomo venuto dal Kremlino', al fianco di Anthony Quinn.
Sono stati però la radio e la televisione - grazie anche alla sua caldissima voce - ad imporlo al grande pubblico. Alla radio, prima nei panni del simpatico Capitan Matamoro, poi con 'Arcobaleno', trasmissione di attualità, ed infine come protagonista del 'Faust'. Alla tv, in una serie di teleromanzi: nonno in 'Piccole donne', ma anche 'Capitan Fracassa', zio tiranno e strozzino in 'Nicola Nikleby', ruggente capitano dell''Isola del tesoro', il bieco Sir Daniel in 'Freccia rossa'.
Memorabili alcuni suoi recital, da quelli dedicati alla poesia, a cominciare dalla 'Divina Commedia', sino a quello con Milva, del '65, su 'Canti e poesie della liberta''.
Foà si è cimentato anche come drammaturgo con 'Signori buonasera' e 'Il testimone', di cui è stato il regista. Dal 2002 ha realizzato alcuni cd di una collana con registrazioni di brani di poeti e filosofi, commentati da musiche appositamente create e un cd di poesie scritte da lui stesso. Nel 2008 con l'editore ferrarese Corbo Editore ha pubblicato un romanzo scritto durante gli anni trascorsi all'estero (Joanna.
Luzmarina), e con Sellerio ha nel 2009 pubblicato la sua 'Autobiografia di un artista burbero'.
Nel 1994, a 78 anni, in polemica col fisco e con l'Italia, dopo aver venduto tutto, Foà si era si ritirato alle Seychelles, a fare la vita del pensionato. Ma ritorna alcuni anni dopo. In tempo per sposarsi (per la quarta volta) nel novembre del 2005 a quasi 90 anni con la sua ultima compagna Annamaria Procaccini, poco più che quarantenne
 
 

sabato 23 gennaio 2016

Giovedì 14 gennaio il C.C.C. Luigi Francavilla, un covo di jazzisti

Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Si è trasformato in un covo di jazzisti, giovedì 14 gennaio, il C.C.C. “Luigi Francavilla”, di Via Lungomare Colombo 23, laddove la parola covo sta a significare una parata di grossi calibri della musica più libera che esista: il jazz.
A turno si sono esibiti: Il Trio Leo Aniceto, con Leo Aniceto al piano, Domenico Andria al contrabbasso e Giampiero Virtuoso alla batteria, mentre per la jam session, Marco De Domenico (piano), Carmine Viscido (contrabbasso), Gennaro Rinaldi (batteria), Fabrizio Spisto (sassofono), Fulvio marino (sassofono), Bruno Marino (tromba). Un’estemporanea musicale ad altissimo livello, considerato i nomi saliti in pedana, e con le improvvisazioni dei virtuosi ad insonorizzare il tempo. Tante le persone presenti in sala, quasi una riunione di vecchi amici che si ritrovano per condividere una passione grande, per cui pacche sulle spalle, abbracci di condivisione ed esagerato bisogno di suonare. Incredibile come la musica faccia da richiamo per molti di loro, un collante a cui nessuno si sottrae, arrivano a frotte, anche a sera inoltrata, con il loro strumento sotto al braccio e con l’unico desiderio di esserci per suonare. E così nella serata di giovedì scorso il C.C.C. Luigi Francavilla si è trasformato nel centro della musica jazz a Salerno, un mini “Cotton Club”, dove le note si sono estese fino a notte inoltrata e senza che nessuno avesse voglia di abbandonare la sala. La serata ha avuto successo, oltre che per la buona musica, anche per il gustoso cibo, consumato in allegra convivialità e preparato dal ristopub il “Delirium”, retto da Francesco Stanzione e la moglie Antonella,  coadiuvati, nelle serate del centro, da Armando. Ogni giovedì, assicura il Presidente Giovanni Paracuollo, egli stesso strumentista (tromba) d’eccezione, si ripeteranno queste belle serate, dense di musica e di canto.
 Ascoltare Leo Aniceto al piano, il trascinatore di questa ed altre serate, dono per i presenti, si comprende come possa la sua passione dall’animo trasferirsi direttamente sui tasti del pianoforte, la musica che ne segue è di raffinata esecuzione. A far da controcanto agli strumenti non sono mancate le voci, i due fratelli Simonis, per esempio, Valter, il cui canto, accompagnandosi con la chitarra, rimanda alle ballate americane alla Bob Dylan, mentre la voce di Francesca, duttile ed evocativa, ricorda, in alcuni passaggi, la calda voce di Billie Holiday. Uno spacchetto, se si riferisce ad un solo pezzo di batteria, ma di pregio, ha visto protagonista il quindicenne Jenny Ranaldi ed a fine serata, per il canto, si avvicenda in pedana la giovane napoletana, Maria Bonincontro, di appena diciannove anni, ma dal futuro certo per il suo genere “black”, il pezzo All of Me, infatti, è del nero John Legend. Prima di chiudere, definitivamente, i battenti sulla particolare serata, Martina Nappi, un jolly per il C.C.C. Luigi Francavilla e pregevole mentore di flauto, ci saluta, con la sua mirabile estensione di voce, cantando “Fly me to the moon” un evergreen di Frank Sinatra.
 
Maria Serritiello
 
 
 

Benvenuti a Port Salerno – città della Florida, fondata dai nostri antenati





Fonte: Citizen Salerno
di Michele Piastrella


Ebbene sì: Salerno non è soltanto il nome della nostra città.

Negli Stati Uniti, esiste un’altra città che porta lo stesso nome. E’ “Port Salerno”, una cittadina di circa 10mila abitanti, situata in una dei più celebri (e frequentati dai turisti) stati americani: la Florida.
Port Salerno (come si vede dalla foto in alto, in questo articolo) gode di un paesaggio mozzafiato, ma deve la sua notorietà alla straordinaria pescosità dell’Oceano Atlantico che la bagna: è, infatti, tra i centri più noti degli Stati Uniti d’America per la pesca in altura. Con questa espressione si intende un tipo di pesca effettuata anche a molti chilometri dalla costa, laddove non si riesce più a scorgere neanche la terraferma. Tale hobby ha reso Port Salerno molto nota, al punto che vi si svolgono i  “World Fishing Tournaments” (Tornei mondiali di pesca d’altura).

Domani, sabato 25 gennaio, si terrà un’altra importante manifestazione, nella città della Florida: è il “Sea Food festival” di Port Salerno, dalle 10 del mattino alle 8 di sera. Una kermesse molto apprezzata nel distretto in cui insiste la località, “Martin County”, visto che l’anno passato è stata giudicata “miglior evento” della contea.
Per questi motivi, presso il molo di Port Salerno sono attraccate numerose barche per la pesca in altura, che hanno reso il porto particolarmente rinomato; così, da qualche anno vi attraccano anche numerosi e ricchi yacht.
Ora, la domanda sorge spontanea. Perché il nome Port Salerno?
La località fino agli anni ’50 si chiamava soltanto Salerno! Dunque, vi erano effettivamente due città con quel nome nel mondo, anche se ben pochi salernitani d’Italia ne erano al corrente. Poi, dal 1960, la Salerno della Florida mutò nome in Port Salerno, proprio per distinguersi dalla Salerno della Campania.

Port Salerno si chiama così proprio perchè fu fondata, negli anni ’20 del ‘900, da emigrati della nostra Salerno. Com’è noto, nella prima metà del XX secolo milioni di meridionali d’Italia emigrarono nelle terre d’America. Tra questi, vi era un gruppo di salernitani, pescatori provetti, che divennero abilissimi nella pratica della pesca d’altura e trovarono, nella zona tra la foce del fiume St.Lucie e l’oceano Atlantico, in Florida, un luogo adatto  questo particolare tipo di pratica. E così, fondarono questa nuova città, che battezzarono con lo stesso nome della loro amata terra d’origine.
Furono dunque i nostri antenati salernitani non solo a fondare Port Salerno, ma a determinarne l’attuale prosperità, attraverso la pratica della pesca in alto mare.
Port Salerno gode di alcuni primati, relativi alla quantità di pesce pescato e alla grandezza di singoli pesci pescati.
Inoltre, da alcuni anni vi si pratica il golf, all’interno di un magnifico parco. La stessa costa fa parte di una riserva protetta.
Chiaramente, Port Salerno beneficia di una posizione molto fortunata, trovandosi in une delle regioni più ricche degli Stati Uniti, a metà strada tra Miami e Palm city.

Lanciamo una proposta: perchè non organizzare uno scambio culturale tra salernitani e “portsalernitani”, rievocando la figura di quei comuni antenati che fondarono negli anni ’20 la città americana?

Michele Piastrella
www.citizensalerno.it


Addio Antonella Steni, scanzonatissima regina del varietà


Fonte:Globalist.it
di Francesco Troncarelli

Una grande protagonista della tv in bianco e nero, celebre la coppia con Elio Pandolfi. La scomparsa ignorata dai media

Brava, molto brava, versatile, brillante, veramente irresistibile, questo era Antonella Steni, grande protagonista del varietà declinato in tutte le sue forme, teatrale, televisivo e radiofonico. Se ne è andata anche lei in questo 2016 maledetto che si sta delineando giorno dopo giorno, annus horribilis per l'arte e la cultura in generale.

La cosa poi che immalinconisce ancora di più in questa notizia triste, è che la sua scomparsa è stata totalmente ignorata dai media. Non ne ha parlato e scritto nessuno, dando un ulteriore senso di sgomento a una perdita così importante per il mondo dello spettacolo. Le grandi testate che fanno opinione l'hanno ignorata, chi on line ha liquidato in poche righe la notizia dopo tre giorni, ha pure sbagliato foto. Uno scandalo che fa riflettere sulla mancanza di memoria e conoscenza imperanti.



Se non fosse stato per il breve ma commosso saluto di Umberto Broccoli nella sua rubrica a "Uno mattina", il silenzio sarebbe stato tremendamente assordante, comunque colpevole, a cominciare da quello di Mamma Rai, matrigna ingrata verso una delle sue figlie più acclamate e apprezzate che aveva fatto parte del nucleo degli artisti fondatori dell'emittente di stato.

Quella schiera di attori con anni di gavetta alle spalle nei teatri di rivista su e giù per lo Stivale che si trovarono a battezzare ed accompagnare i suoi programmi. Antonella Steni era una di questi, spesso e volentieri presente in trasmissioni d'intrattenimento del piccolo schermo come della radio.

Franca Rame, Raffaele Pisu, Antonella Steni

Eclettica e simpatica, aveva il senso dell'umorismo innato come quello della scena, che non bella, dominava ugualmente per carisma e verve. Capelli cotonati come si usava negli anni del boom, occhioni vivacissimi, voce squillante e intonata, la Steni era una protagonista vera e verace, che insieme ad un altro "mostro" del palcoscenico come Elio Pandolfi, ha formato una coppia fra le più travolgenti e di successo nazionalpopolare.

Undici anni di riviste e copioni firmati dal genio del settore, Dino Verde, che portavano la gente a teatro e bloccavano gli spettatori davanti al piccolo schermo. Al Sistina c'era la fila per il loro "Scanzonatissimo", primo esempio di satira politica e di costume che dalla radio approdava in teatro e che fu replicato per altre stagioni insieme all'astro nascente Alighiero Noschese. Poi i "Compromessi sposi" e le loro scenette dei Siculissimi", sorta di sit-com ante litteram dove i due nei panni di siciliani da macchietta, prendevano in giro tutto e tutti.

Gorni Kramer, Antonella Steni, Marcello Marchesi, Lina Volonghi, Elio Pandolfi

Registrata all'anagrafe di Montefiascone come Antonietta Stefanini il 3 dicembre del 26, ma romana d'adozione, per tre decadi, dal Cinquanta al Settanta, la Steni, è stata una presenza fissa e attesa della programmazione radiotelevisiva e teatrale, non disdegnando caratterizzazioni felici nel cinema in film come "Il Tigre" con Gassman e in tutti quelli di Al Bano (musicarelli da super incassi), sino all'emblematico "Ultimo capodanno" di Marco Risi.

Successivamente con la matutità e col cambio nelle produzioni televisive, ha fatto molto teatro, spesso in compagnia con Riccardo Garrone, sino ad arrivare, a completamento di una carriera partita e cresciuta nella leggerezza, all'interpretazione sul palcoscenico di Edith Piaf, nella piece "L'Hymne à l'Amour" firmata da Carlo Vizzani, a dimostrazione non solo di un eclettismo formidabile ma di una padronanza della scena enorme.

Elio Pandoli e Antonella Steni

Per tutto questo ignorare la sua morte è stata una mancanza grave. E' come se fosse uscita dalla scena della vita per una seconda volta. Antonella Steni, la donna che scomparve due volte, ecco, buttandola sulla farsa, genere di cui è stata maestra insuperabile, questo potrebbe essere stato un titolo di uno spettacolo degno di lei, della sua comicità, della sua bravura.

Scanzonatissima Antonella sei stata una grande e il pubblico lo sa, accetta questo doveroso ricordo come l'ultimo applauso per una carriera da primadonna.

 

 


      

lunedì 18 gennaio 2016

Al Teatro La Ribalta la Compagnia di Roma “I soliti Dispetti”



 
 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Il 15 gennaio scorso, ospiti del Teatro La Ribalta, sito a Salerno in via Salvatore Calenda 98, si è esibita la Compagnia “I soliti dispetti”, provenienti dalla Capitale, in una commedia brillante dal titolo “Un Delitto tira l’altro”. La pièce, liberamente ispirata all’opera teatrale, “Il clan delle vedove” di Ginette Beauvais Garcin, è stata rielaborata da Barbara Torre che ne è anche la regista.
 La commedia, articolata in due atti, appartiene al teatro d’evasione, divertente in più punti e parla di tre amiche, due di esse già vedove e la terza, lo è da appena poche ore, in circostanze quanto meno grottesche, il mal capitato marito, infatti, è morto per una caduta accidentale dello sciacquone, precipitato rovinosamente sulla sua testa. Rose è inconsolabile, amava il marito e ne elenca, in una sorta di elogio funebre, tutte le sue virtù. Le amiche, Ernestine e Francine, fanno di tutto per alleviare il suo dolore, vanno e vengono dalla sua casa, stazionano nel salotto, mangiano pasticcini e affrontano in tono ironico ed arguto la condizione vedovile, conversando divise tra rimpianti e disincanti. Ad interrompere la piacevolezza delle conversazioni salottiere e lo stato di vedovanza condiviso, ci pensano, a turno, estranei che rivelano la doppia vita del “santo uomo”, costellata da amanti, da omosex e figli illegittimi, per sfociare in inevitabili quanto spregevoli ricatti. L’oggetto del desiderio, per tutti i pretendenti, è la villa al mare a Saint Malò, in Bretagna, dove Rose andava malvolentieri, ma che ora è diventata una bella fonte di reddito. Dopo il primo e comprensibile sbandamento, accantonato il dolore, nel ripensare alla vita d’ingenua innamorata, stringe senza esitazione, con le sue amiche, solidarietà di vedove(!), un patto mortale, per mezzo del quale riuscirà, in un sol colpo a liberarsi dei pretendenti ed a godere dell’eredità con le sue fedeli amiche.
La commedia leggera e divertente, per i colpi di scena che si susseguono, c’introduce piacevolmente nel soffice mondo al femminile, dove l’astuzia, in questo caso sinistra, riesce a svolgere un ruolo importante, sia per la sopravvivenza, che per l’inizio di nuova vita, una volta eliminato l’ingombro maschile. Le tre donne, sedute in salotto, tra the e pasticcini, un cambio d’abito, un’intera sfilata, tutti molto belli, colorati e particolari ed un bonario pettegolezzo, riescono a mantenersi l’eredità, a fare a meno di un uomo ed a progettare un futuro di felicità. Un bel messaggio all’indirizzo femminile, se non fosse per il metodo, decisamente, scorretto.
Molto spontanea l’interpretazione dei vari personaggi, ad iniziare da Angela Mantella (Rose), per continuare con Patrizia Giancotti (Suzette), Paola Verdecchia (Francine) e Beppe Paternosto (Alain), l’unico uomo in questo universo di donne, costretto, per finzione scenica, ad essere dell’altra sponda. La recitazione di tutti è stata molto disinvolta, ognuno si è sentito a proprio agio nella parte ricevuta, tanto da rendere buone caratterizzazioni. Così è stato anche per Maura Boncristiani, perfetta, nella parte di chi sfoga sul cibo le proprie insoddisfazioni, così come nell’amica bonaria e pettegola. Ha retto bene la scena, impegnandosi con spigliata briosità, tanto da guadagnarsi la nomination, insieme a Paola Verdecchia, come migliore attrice, da una giuria giudicante, presente in sala. Sapiente la regia di Barbara Torre, per l’assemblaggio, la scelta delle musiche e l’ideazione del testo.
“Un delitto, tira l’altro” ha avuto (N.D.R.) il pregio particolare di riunire in sala, per applaudire Maura Boncristiani, da Roma, la sua famiglia salernitana, che non vedeva da tempo. Si sono trovati, così, ovvero ritrovati, zie, cugini e nipoti, per riallacciare un legame di sangue un po’ sbiadito dal tempo. Un bel selfie di famiglia, non c’è che dire.
L’Associazione culturale teatrale La Ribalta, istituitosi nel 2003, ma già attivo nel settore dal 2000, nasce con lo scopo di promuovere attività di carattere culturale d'ampio raggio: dal teatro, al cinema, all'uso delle nuove tecnologie. Il très d'union, tra le diverse specialità, è rappresentato dall'esigenza di sperimentare nuove forme d'espressione, secondo la logica intermediale, che è alla base dello scenario comunicativo attuale. In particolare l'Associazione si occupa della gestione e organizzazione di diversi laboratori socio-teatrali, si pone l'obiettivo di sollecitare iniziative di studio, ricerca, dibattito, formazione e aggiornamento culturale nel settore dello spettacolo, nella convinzione che tale attività costituisce servizio necessario ed indispensabile alla comprensione dei fenomeni culturali delle aree metropolitane e periferiche e favorire pertanto una maggiore conoscenza ed interpretazione sociale.
 
Maria Serritiello
 
 
 

Chicco Paglionico un salernitano a Zelig passando per l’Ikea



Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Per due sere consecutive il 9 ed il 10 gennaio scorso, il Teatro Ridotto, tempio della comicità cittadina, ha ospitato il cabarettista salernitano, Chicco Paglionico, con il suo spettacolo “Dov’è l’uscita”. A dire il vero mancava proprio un comico nostrano in passerella, per i tanti napoletani, prevalentemente, visti sfilare. Ed eccolo in scena tra gli oggetti, conosciutissimi dell’Ikea, la sua croce e delizia lavorativa, da cui ha desunto tutti gli sketch comici che gli hanno dato la notorietà. Di statura media, massiccio, con una prematura calvizie, ha solo 31 anni, un sorriso comunicativo ed una parlantina spigliata, con la quale infila una dopo l’altra tutte le défaillance   dei clienti Ikea. Per quattro anni, ora non più, ma con le grandi distribuzioni ha avuto sempre a che fare, ha lavorato all’Ikea, il contenitore della sua comicità. Appena diplomatosi da ragioniere all’Amendola di Salerno, si trasferisce al nord per lavoro e lo trova alla grande scatola blu che tutti abbiamo imparato a conoscere, con i suoi omini in giallo, aiuto per le scelte. Francesco è il suo vero nome di battesimo, ma a casa, in particolare la sorella, l’hanno sempre chiamato Chicco, un diminutivo che non disdice, anzi lo rende morbido e rassicurante. Ha sempre fatto cabaret, mi dice (N.d.R.) nell’intervista che precede lo spettacolo, la sua formazione comica risale a quando ha svolto in estate il ruolo di animatore nei villaggi turistici, una grande scuola che l’ha formato a tenere la scena ed a relazionarsi con il pubblico. Nel 2011 partecipa ai provini- laboratorio Zelig di Napoli, è un successo, per cui dal 2012 al 2014 è ospite fisso di Zelig, la trasmissione più nota della comicità italiana. Ormai il posto fisso all’Ikea è andato, gasato e popolare decide di dedicarsi stabilmente al cabaret che pratica con successo. Nella primavera del 2014, istituisce, con i Villa Perbene, il trio costituito da Francesco D’Antonio e Andrea Monetti, un laboratorio tutto dedicato alla comicità, tenuto al Teatro Arbostella, nell’omonima zona residenziale della Salerno orientale. Da venerdì 16 gennaio parteciperà al laboratorio Zelig on the road Salerno, al Teatro Ridotto, dove giovani promesse e comici già affermati, provano, assemblano, sperimentano e costruiscono nuovi pezzi comici. Le due serate di Chicco, al Ridotto, sono state accolte favorevolmente dal pubblico che non ha lesinato l’applauso. Durante lo spettacolo, Chicco Paglionico parla a raffica ma anche con le giuste pause, il linguaggio è semplice, tuttavia si appoggia a contenuto, le situazioni descritte sono episodi di vita quotidiana, per questo condivisibili. Emana simpatia immediata, sia quando setaccia i vari reparti della famigerata Ikea, sia quando azzarda ironia sul suo fisico in carne. Prima di chiudere lo spettacolo Chicco ci regala un di più, una comica rassegna stampa, che diverte molto e che lascia il gusto di una bella risata.

Maria Serritiello
 
 
 

Al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno “La doppia vita dei numeri” di Erri De Luca per la regia di Brunella Caputo



Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Fino al 17 gennaio prossimo, al Piccolo Teatro del Giullare, è di scena “La doppia vita dei numeri” per la regia di Brunella Caputo. La pièce teatrale, scritta da Erri De Luca, è la situazione la più desiderata da chi ha perso tutti gli affetti più cari e si trova a dover festeggiare, da solo, l’ultima notte dell’anno. Non è che sia, una situazione tanto peregrina, succede più di quanto si possa immaginare, accade dietro ai vetri di una finestra chiusa o alle tante pareti che nascondono, oppure dinanzi ai nostri occhi, che non vogliono vedere, sì perché la solitudine, nella festa più chiassosa dell’anno, non piace a nessuno. Si dà il caso, allora, come Nella doppia vita dei numeri, che un fratello ed una sorella, senza un nome, di età imprecisa, in una casa surreale e buia, con mobili essenziali, un tavolo e due sedie ed una finestra ben disegnata, stagliarsi al centro della stanza, trovarsi nella condizione di totale d’isolamento e passare da soli la notte di San Silvestro. Ogni tanto lo squillo del telefono, precisamente tre volte, risuona sinistro ed amplifica il vuoto intorno ai due. E’ sempre lei a rispondere, ad imbastire una breve conversazione di circostanza, lui non ha voglia di salutare ed augurare la buona fine ed il buon principio a nessuno. L’abbandono si fa sempre più pesante e le parole, se dette, sono scarne, rievocative di fatti e di una realtà dolente: Sarajevo, Monstar…Eppure lui è uno scrittore di parole ne ha tante a disposizione, saprebbe comporle e scomporle a piacimento, ma resta in silenzio, urtato dall’attesa di questo count-down, il rituale inutile di ogni anno
Mi urta i nervi la mezzanotte. Per convenzione è diventata più desiderata, che so, delle undici. E poi non mi piace aspettare l’arrivo di un’ora. Non è un treno e non ho nessuno da aspettare, tanto meno i minuti di un orario. Mezzanotte non è cima di niente, non è una vetta da dove si vedono le stelle più vicine. Io poi la salto tutti i giorni a occhi chiusi
Dai vetri della finestra chiusa, l’unica a far da tramite con il mondo esterno, si ravvisano i lampi dei fuochi d’artificio, esplosi ad intermittenza e si odono i botti che la gente in compagnia spara. L’uomo guarda fuori, non parla e lascia cadere ogni tentativo di conversazione che la sorella vorrebbe intrecciare, ma lui è rinunciatario, passivo, giunto a malavoglia dalla donna a passare il Capodanno, cosicché già pensa, trascorsa la mezzanotte, di andare via. E’ lei la più propositiva:
Senti, siamo rimasti noi due, i nostri non ci stanno più. Noi dobbiamo rispettare questo poco di vita che ci avanza. Tu sei solo e pure io. In certi giorni mi serve sapere che ci sei”.
Maldestramente si muove tra le pentole, invocando con urla isteriche, Italia, la domestica morta, colpevole di non farle trovare gli oggetti che cerca. La situazione è paradossale e lo diventa ancor più quando la donna apparecchia la tavola per una giocata a tombola, ma loro sono solo due ed il gioco, perché diverta, ha bisogno di tante persone. Lei non s’arrende e mentre l’uomo è sempre più infastidito, mette in tavola quattro cartelle anziché due, quelle in più, dice, sono per i loro genitori defunti. L’assenza diventa presenza e gli anziani cari, convocati, appaiono per tenere compagnia ai solitari figlioli, sessantenni e senza uno straccio di affettività. Giacché i morti possono scegliere quale sembianza assumere per apparire, essi si presentano giovani, lui un tantino gagà, lei solida e corposa come lo era stata da giovane. Il gioco ha inizio e con esso il richiamo alla memoria di brandelli di vita vissuta insieme, in aggiunta, il figlio, scrittore, sollecitato dalla sorella, inventa nuove storie, metaforiche, suggerite dall’uscita dei numeri. Il caso dirige la fantasia e la nuova narrazione, cosicché dalla sorte, i numeri hanno una doppia possibilità di vita. Il dialogo che ne consegue tra loro è divertente, quasi che la tombola, giocata con i morti, abbia dato quella spinta di vitalità che mancava ai vivi.
Molto bravi gli interpreti: Mimma Virtuoso e Augusto Landi a caratterizzare i personaggi dei due solitari fratelli e le patologie sofferte. Dosate le pause, i silenzi e ricordevole il richiamo di Mimma Virtuoso alla domestica defunta. Buono l’inserimento di Teresa Di Florio, duttile in ogni ruolo, e di Alfio Battaglia ed anche la muta Italia fa la sua figura.
Erri De Luca ha confezionato un testo perfetto, in considerazione che l’animo napoletano non si stacca mai veramente dai propri morti, anzi essi restano per sempre dove sono vissuti, diventando numi tutelari, accanto alla devozione dei santi prescelti a protezione. Le battute sono essenziali, scheletriche, con un retrogusto in lingua napoletana, nelle quali si ravvisa il “sé” dello scrittore. La regia di Brunella Caputo, così intimista nello scavare l’animo, è in piena sintonia con il testo di De Luca, nulla è in eccedenza e tutto è stato sapientemente assemblato, tenuto conto di Virna Prescenzo (Selezione musicale e disegno luci), di Concita De Luca (assistente alla regia) e della grafica di Andrea Bloise.
Per la realizzazione di un elemento scenografico: Scuola di Falegnameria Mario Caputo 
 
Maria Serritiello
 
 
 

A Salerno al Tempio di Pomona “Luci in Avalon” terza edizione Expo d’Arte Contemporanea



Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Il 9 gennaio scorso, a Salerno, presso il Tempio di Pomona, l’antico edificio di epoca romana, dedicato alla dea dei frutti “Patrona pomorum”, che Ovidio descrive con una falce in mano, si è inaugurata la terza edizione dell’Expo d’Arte Contemporanea “Luci in Avalon”. A curare l’evento, all’interno della luci d’Artista, di cui si accende Salerno, è stata l’associazione culturale “Avalon Arte”, presidente Dina Scalera, la cui organizzazione si perfeziona ogni volta di più.  Avalon Arte è una associazione senza scopo di lucro, che s’interessa di Arte in tutte le sue espressioni ed il cui nome la dice lunga, infatti Avalon … è un'isola britannica fantastica dove regnano bellezza, pace ed armonia, le sacerdotesse l'hanno circondata con dense nebbie e solo chi sa credere in lei può vederla. Un mondo fantastico dove regnano bellezza, sentimenti e fantasia, colmo di forme, colori, musica e parole.
33 artisti provenienti da ogni parte d’Italia e dall’estero, sono in esposizione, fino al 16 gennaio, dalle 10,00 alle 12,30 e dalle 17,00 alle 21,00, ingresso libero.
Anna Avossa, Francesco Bartolini, Cinzia Bisogno, Melinda Borysevicz, Calogero Buttà, Tommaso Campagnuolo, Daniela Capuano, Raffaele Concilio, Antonio Cosimato, Gisèle Dalla Longa, Antonietta D’Amico, Mena D’Antonio, Ugo de Cesare, Milena Gallo, Raffaele La Cava, Biagio Landi, Ida Mainenti, Gennaro Pascale, Marco Petillo, Giuseppe Quagliata, Rita Rotunno, Carmela Santi, Elena Savokhina, Arcangela Scalella, Antonio Scaramella, Pietro Sellitti, Paola Siano, Maria Sibilio, Marcello Silvestre, Francesco Tortora, Giuseppe Varuzza, Oriana Vertucci, Rosario Viano.
Clou della serata d’apertura è stato l’assegnazione del Premio Nolava 2015 al maestro salernitano Virginio Quarta, per la lunga e brillante carriera di oltre mezzo secolo. Il maestro, nativo di Taranto ma operante a Salerno dagli anni ’50, è considerato uno degli artisti più rappresentativi dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Di lui hanno scritto  personalità del calibro di Vasco Pratolini e Filiberto Menna, Ferdinando Bologna e Raffaele De Grada, Luigi Compagnone e Domenico Rea, solo per citarne alcuni.
Virginio Quarta, classe 1938, si stabilisce a Salerno con la famiglia all’inizio degli anni cinquanta: dal 1954 al 1958 frequenta il liceo artistico di Napoli, dove studia, tra gli altri, con Eugenio Scorzelli, Guido Tatafiore e Renato Barisani. La sua attività espositiva ha inizio con la partecipazione ad alcune mostre e rassegne nazionali: Giovani pittori salernitani, (1953); Prima Mostra Provinciale d’Arte Giovanile, tenutasi al Centro di Cultura di Salerno (1958); VII Premio Nazionale Biennale di Pittura di Gallarate (1959). Nel 1974 riceve da Carlo Levi il primo Premio Marino Mazzacurati di Teramo, dedicato al disegno; dello steso anno è l’invito alla rassegna Arte Contemporanea ’73, tenutasi al Museo Civico di Bologna. Negli anni ottanta si segnalano numerose mostre personali; alla Galleria Il Catalogo di Salerno (1984, 1988), alla Galleria Il Babuino di Roma (1987, 1988), e le altre tenutesi alla Galleria Il Punto di Ravello (1988). Dagli anni novanta s’interessa alla ceramica, presentando i suoi lavori in alcune personali e nelle edizioni del Premio Nazionale Viaggio attraverso la Ceramica di Vietri sul Mare (2001 e 2003, 2012). Dal 2005 una sua opera è nella Collezione Permanente del Fondo Regionale d’Arte Contemporanea di Baronissi che, 2007, ospita una mostra antologica con opere dal 1960 al 2005. Nel 2011 è presente alla LIV Biennale Internazionale d’Arte di Venezia.“
All’Expo il Maestro è presente con una tela di grandi dimensioni (cm 100x100) dal titolo “Le carezze della sera”
Il premio “Nolava 2015” che consiste in una scultura originale in terracotta, rappresentante l’antica dea Nolava, simbolo dell’associazione culturale è stata realizzata dall’artista Biagio Landi, socio di Avalon Arte.
 
Maria Serritiello
 
 
 
 

All’Eco Bistrot di Salerno il gruppo folk “A Voce d’o Popolo”




Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Prima che l’anno finisse all’Eco Bistrot di Salerno, il particolare locale di Gianluca De Martino, aperto ai giovani di tutte le età, sito in via Lungomare Colombo, si è esibita la formazione folk “A Voce d’o Popolo”. 5 gli artisti: Iole Citro, Angela Genovese, Rosapia Genovese, Gaetano Genovese, Gerardo Genovese, rispetto ai 10 di quando sono al completo, hanno deliziato i presenti, che numerosi sono accorsi per ascoltarli, stando comodamente seduti e gustando le prelibatezze dell’accogliente locale.
La formazione al completo, con anche gli strumenti, è così composta: Gaetano Genovese (voce e tamburo), Guerino Citro (voce e tamburo), Donato Aliberti (voce e chitarra), Rosapia Genovese (sax e grafica), Iole Citro (voce), Angela Genovese (voce), Francesca Aliberti, Eeleonora Citro, Giandomenico Sessa, Bernardina Citro (ballerini).
Il gruppo è nato nell’agosto 2012 ed è formato da giovani, che gravitano nell’area del Comune di Fisciano e Calvanico (Sa), innamorati del canto e della musica popolare. La loro passione li ha condotti a fare ricerca, a migliorare le conoscenze musicali e a far rivivere canti, quelli più precisamente contadini, dimenticati o addirittura sconosciuti. Procedendo alla scoperta di canti “villici” si sono inoltrati in un percorso musicale di pregevole interesse. Le voci sono spontanee e piene di vigore e le versioni arrangiate sono di tutto rispetto e di una peculiarità propria. Dalla sua “A Voce d’o Popolo” ha bravi strumentisti, come Rosapia Genovese, la quale è in perfetta sintonia con lo strumenta e dialoga con il sax come una parte integrante del suo corpo, fiatandogli dentro senza il minimo sforzo. Tutto ciò che il gruppo esegue è godibile, estesa è la voce di Gaetano Genovese che sovrasta la tammorra, dal suono incassato e forte, popolari, senza essere sgraziate, le voci femminili di Iole Citro e Angela Genovese   a fare da controcanto e brave le ballerine, le stesse delle voci, a muovere volute aggraziate nel poco spazio a disposizione. Gerardo Genovese, padre di Rosapia e Gaetano, per la sera dell’Eco Bistrot, ha suonato, di rincalzo, la chitarra e si capisce, attraverso la sua esibizione, la passione musicale dei suoi due figli. I canti attraenti per il loro impianto popolare, vigorosi e addolciti ogni volta che l’esecuzione lo richiede, hanno trasportato, in pieno centro cittadino, della Salerno orientale, il mondo elegiaco della madre terra, unita indissolubilmente alla religiosità che regolava tutta la vita del popolo contadino. Pregevole, quindi, è il lavoro di ricerca a monte dei canti, prodotto dal gruppo e lodevole lo sforzo per la conservazione del patrimonio delle nostre radici, altrimenti perso.
Un’altra serata di successo all’Eco Bistrot di Gianluca De Martino, quella che ha ospitato “A Voce d’o Popolo”. La formula del locale è sapiente, ogni sera, per tutta la settimana, si propongono eventi culturali, tutti di grande rilievo e varietà, acciocché ognuno trovi il proprio interesse. L’entrata è libera, con la possibilità di consumare prelibatezze della casa, cucinate in maniera genuina o di bere solamente.
Il Bistrot è l’evoluzione dell’osteria, in seguito anche piccolo caffè e prende il nome dalla lingua francese.La leggenda metropolitana farebbe derivare il nome dei piccoli locali parigini, dal russo bystro, che significa "rapidamente". Al tempo dell'occupazione russa di Parigi (1814 - 1818) i soldati che non avevano il diritto di bere alcolici e temevano di essere sorpresi dagli ufficiali, dicevano spesso bouistro, bouistro, "rapidamente, rapidamente!" Un'altra interpretazione sull’origine del nome si basa sul fatto che, essendo i soldati russi, occupanti malvisti di Parigi, i camerieri servivano loro da bere molto lentamente e questi irritati gridavano loro “bistro bistro” Il bistrot si afferma in pieno illuminismo e si caratterizza per le frequentazioni di artisti e pensatori.
L’Eco Bistrot di Gianluca De Martino ha qualcosa in più rispetto ai locali del passato o quelli correnti e cioè l’obiettivo di far pensare ad un modo di vivere più sostenibile ed ecologico, nell’interesse del nostro territorio. Lodevole è l’impegno di Gianluca che, dall’aprile 2013, porta avanti non senza sforzi e fatica, il locale così particolare, finanche nella struttura e che se solo si frequenta si comprende quanto sia possibile un discorso eco-culturale, senza essere solamente commerciale.
Maria Serritiello
 
 
 
 

lunedì 11 gennaio 2016

È morto David Bowie, il trasformista del rock





 
 
Fonte: R.it Spettacoli

La notizia arrivata dai profili social ufficiali. Tre giorni fa, l'8 gennaio, aveva compiuto 69 anni ed era uscito il suo nuovo album, "Blackstar"

Tre giorni fa aveva compiuto 69 anni, nello stesso giorno era uscito Blackstar, il suo ultimo album, resterà il suo testamento. Due settimane fa aveva annunciato il ritiro "definitivo e irrevocabile" dai palcoscenici che non frequentava dal 2006. E' morto David Bowie, l'annuncio sul suo profilo ufficiale Twitter e Facebook: "Dopo 18 mesi di lotta contro il cancro se ne è andato serenamente, circondato dalla sua famiglia". La conferma dal figlio, con un messaggio accompagnato da una sua foto da bambino insieme al padre. "Davvero addolorato e triste nel dire che è vero. Sarò fuori dalle reti sociali per un po'. Grande affetto a tutti". Una notizia inaspettata, che ha colto di sorpresa e gettato nello sconforto il mondo intero. Se ne va una delle figure artistiche più celebrate e di maggiore successo della storia della musica.
David Robert Jones - questo il vero nome - nasce a Brixton, Londra, l'8 gennaio del 1947. Il suo primo singolo, Can't help thinking about me, viene pubblicato il 14 gennaio del '66 a nome di David Bowie e The Lower Third.  Nel 1967 l'incontro cruciale per la sua carriera, quello con Lindsay Kemp. Dall'artista apprende i segreti della teatralità, della mimica, dell'uso del corpo, elementi fondamentali della sua personalità artistica che si affermerà attraverso le sue tante "personalità". Il primo tour ufficiale è lo "Ziggy Stardust Tour", iniziato il 10 febbraio 1972 al Toby Jug di Tolworth, 103 date in 60 città, l'occasione per promuovere l'album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, disco venerato che racconta la storia del primo dei suoi alter ego scenici, Ziggy Stardust, un extraterrestre bisessuale e androgino trasformato in rockstar, fra teatro kabuki e fantascienza, che fa di Bowie un portavoce della libertà sessuale. Ma è solo uno dei tanti alter ego di Bowie, da Aladdin Sane al Duca Bianco, una continua reinvenzione di se stesso che gli ha permesso di mostrare varie sfaccettature della sua arte nel corso della sua prolifica carriera. Nel 1973, con uno straordinario concerto all'Hammersmith Odeon di Londra, insieme agli Spiders from Mars, Bowie annuncia la fine di Ziggy Stardust. All'inizio degli anni Ottante è un mito. Uno dei pochi artisti in grado di conciliare rock e teatro, pop e avanguardia, ambiguità sessuale e arti visive, trasgressione e letteratura. Conta su solidi legami che vanno dal rock'n'roll stardom a Warhol e William Burroughs.

Dopo Station to station ('76) e The Thin White Duke ('76), Bowie lascia Los Angeles e si trasferisce a Berlino. Con la collaborazione di Brian Eno registra tre degli album più importanti della sua carriera, Low, Heroes e Lodger. Nella capitale tedesca riesce a liberarsi dalla cocaina e inaugura gli anni Ottanta con una nuova, clamorosa svolta stilistica che gli frutterà il più grande successo commerciale della sua discografia, Let's Dance, un raffinato viaggio attraverso il rock'n'roll, il funky, la dance più elegante. E' il periodo più commerciale di Bowie che spiazza ancora una volta i fan formando i Thin Machine, un quartetto chitarra, basso, batteria che suona un rock durissimo, disastroso dal punto di vista del mercato.

Non si fa mancare le incursioni nel cinema. Dopo piccole apparizioni, il grande successo nel 1976 come protagonista di L'uomo che cadde sulla Terra di Nicolas Roeg. Ma tra le sue interpretazioni si ricordano anche quella in Furyo di Nagisa Oshima del 1983, Absolute Beginners e Labyrinth del 1986 fino a Basquiat di Julian Schnabel del 1996, nel quale ha interpretato il ruolo di Andy Warhol.

Riservato, poco disponibile a interviste, nel 1992 si era sposato con Iman, modella di successo, che da allora gli è sempre stata accanto.  Per celebrare il matrimonio era stata scelta l'Italia, la chiesta americana di St. James a Firenze (ma si erano già sposati con rito civile a Losanna, dopo un fidanzamento che durava dall'anno precedente). Bowie aveva avuto due figli: Duncan Zowie Haywood (nato nel 1971 dal precedente matrimonio con Mary Angela Barnett) e Alexandria Zahra (nata nel 2000), ma considerata sua terza figlia anche Zulekha, nata dal precedente matrimonio di Iman.

Dal 1997 viene anche quotato in Borsa, grazie all'emissione dei Bowie Bonds effettuata offrendo a garanzia le royalties ricevute per i dischi venduti fino al 1993 (circa un milione di copie l'anno). Nel 2007 ha ricevuto il Grammy alla carriera, nel 2008 era stato inserito al 23º posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo Rolling Stone.






domenica 10 gennaio 2016

Alla Ribalta di Salerno" Un delitto tira l'altro"della compagnia" I soliti dispetti" di Roma

 
 

Venerdì 15 Gennaio 2016

alle ore 21,00

                    Teatro "La Ribalta"
           Via Salvatore Calenda, 98 Salerno

La Compagnia I Soliti Dispetti
            Presenta

Un delitto tira l'altro
da un'idea di Barbara Torre


                            Personaggi ed Interpreti 

Paola Verdecchia (Francine)
Patrizia Giancotti (Suzette)
Maura Boncristiani (Ernestine)
Peppe Paternosto (Alain )
Angelo Montella (Rose)
 
Scenografia: Barbara Torre
                 
                                    Regia
                             Barbara Torre




venerdì 8 gennaio 2016

Addio a Silvana Pampanini, esuberante bellezza. L'attrice aveva 90 anni


Fonte:R.it spettacoli

Ricoverata d'urgenza al Policlinico Gemelli di Roma, era stata operata lo scorso ottobre. Veneta di origini, celebre per la sua avvenenza, corteggiatissima, la sua prima grande passione è stata il canto
Silvana Pampanini, 90 anni, è morta dopo un lungo ricovero al Policlinico Gemelli di Roma, dove due mesi fa era stata sottoposta a un complesso intervento chirurgico addominale. Dopo un'iniziale ripresa, tanto da far pensare a un ritorno a casa, sono insorte complicanze che ne hanno interrotto il recupero. I funerali si svolgeranno venerdì 8 gennaio ore 11 presso la Parrocchia Santa Croce in Via Guido Reni 2 Roma. A dare la notizia è l'amico e manager dell'attrice Alessandro Lo Cascio. La notizia delle sue precarie condizioni di salute era stata diffusa lo scorso 25 ottobre dalla presentatrice Barbara D'Urso durante la trasmissione Pomeriggio 5. Paolo Limiti era intervenuto telefonicamente per annunciare che la Pampanini "era al corrente di tutto quello che le stava succedendo".
Nata a Roma il 25 settembre 1925, cresciuta in una famiglia veneta trapiantata da tre generazioni nella Capitale, nipote della celebre cantante lirica Rosetta Pampanini, si è diplomata all'istituto magistrale e al conservatorio musicale di Santa Cecilia. La passione per la musica è l'eredità che le lascia la zia Rosetta. Studentessa 21enne, viene iscritta dalla sua maestra di canto, senza esserne a conoscenza, all'edizione del concorso di Miss Italia del 1946. Non vincerà, poiché la vittoria andrà a Rossana Martini, ma saranno le proteste del pubblico a trasformare il primo posto della Martini in un ex aequo con la Pampanini.

La sua fortuna comincia da qui: sarà infatti proprio il concorso di bellezza più famoso della Penisola a lanciarla nel mondo del cinema: decisa inizialmente a intraprendere la carriera di cantante, la Pampanini inizia come interprete di pellicole musicali. È proprio cantando che ottiene una popolarità crescente, finendo sui settimanali illustrati e i cinegiornali all'epoca vendutissimi. Il padre, contrario alla carriera della figlia come attrice, lasciò successivamente il proprio lavoro e diventanto suo agente.

Nella prima metà degli anni Cinquanta è lei il volto dell'Italia che rinasce dopo la Guerra: più provocante di Sophia Loren e Gina Lollobrigida, il primo passo nel cinema avviene nel lungometraggio Il segreto di Don Giovanni di Camillo Mastrocinque, nel 1947. Diventa anche il simbolo della bellezza italica più rappresentativo nel mondo, accanto a Lucia Bosè e Silvana Mangano. Grazie all'ottima preparazione musicale, nel decennio che va dal 1947 al 1957 registra anche dei dischi, interpretando brani incisi su 78 e 45 giri.

A quel punto le proposte sono numerose: tutti la vogliono, Finisce sul set di commedie come 47 morto che parla (di Carlo Ludovico Bragaglia, 1950) o Bellezze in bicicletta (di Carlo Campogalliani, 1951), dimostrando di riuscire a recitare non solo ruoli della donna fatale ma anche calarsi in personaggi più impegnativi, recitando in storie drammatiche come Processo alla città di Luigi Zampa (1952) e Un marito per Anna Zaccheo di Giuseppe De Santis (1953).

Spezza il cuore a molti illustri uomini: la cronaca rosa racconta di flirt con principi e re, da quello afgano Ahmad Shah Khan a Faruq I d'Egitto, fino a colossi del cinema mondiale come Tyrone Power, Omar Sharif e Orson Welles. Persino Totò pare avesse scritto la celebre Malafemmena per lei, oltre che per la prima moglie Diana Rogliani, in procinto di lasciarlo per sposare un altro. L'unica certezza - lei smentì sempre tutto, parlando di un unico amore, un uomo più vecchio di lei e mai identificato - è che Antonio de Curtis la chiese in moglie incassando un "ti amo come amerei un padre". Lo stesso che provava per l'inseparabile padre-manager che, da sempre gelosissimo della figlia, la "scortava", nel fiore degli anni, per le strade di Cinecittà. In Francia la Pampanini è conosciuta con lo pseudonimo di Ninì Pampan: molti locali parigini, colpiti dalla popolarità dell'attrice sinonimo di sensualità ed avvenenza, vengono così ribattezzati in suo onore; in Giappone l'imperatore Hiro Hito, per riuscire a vederla da vicino, è addirittura pronto a infrangere le regole del più rigido cerimoniale.

Sul grande schermo, la bellezza della Pampanini fa altrettante vittime: la vita di stimati e integerrimi magistrati viene stravolta dall'amore per lei (La presidentessa di Pietro Germi del 1953) e, sempre in onore della sua avvenenza, riceve indulgenza da un altro giudice, Peppino De Filippo, in un altro titolo dello stesso anno, Un giorno in pretura di Steno. Amante dello sport (in Bellezze in bicilette era agile quasi come Fausto Coppi), nel 1955 fa girare la testa anche a Paolo Stoppa e al notoriamente diffidente Alberto Sordi (La bella di Roma di Luigi Comencini).


Nel 1958 diventa regista: realizza un cortometraggio dedicato alla passione che non l'ha mai abbandonata, quella per la musica: si intitola Melodie a Sant'Agata ed è un omaggio a Giuseppe Verdi. Dagli anni Sessanta dirada la sua attività cinematografica. Nel 1964 Dino Risi la dirige ne Il gaucho, il film che chiude, di fatto, la sua carriera al cinema. Due anni dopo, con vent'anni di carriera alle spalle, si ritira per dedicarsi alla cura dei genitori anziani.

Sul set tornerà soltanto nel 1971 per il film a episodi diretto dal regista Mariano Laurenti, Mazzabubù... Quante corna stanno quaggiù? e nel 1983, per un'apparizione nel ruolo di se stessa ne Il tassinaro (1983) di Alberto Sordi. Autrice del libro di memorie Scandalosamente perbene, nel 1998 prende parte al film televisivo di Pier Francesco Pingitore, Tre stelle.