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sabato 30 maggio 2015

Festival Santa Apollonia Salerno 31 maggio-7 giugno 2015 Eventi a Salerno

  

Fonte: Salerno Today
La Redazione


Festival Santa Apollonia Salerno 31 maggio-7 giugno 2015 Eventi a Salerno

Prende il via il Festival di Musica da Camera Santa Apollonia a Salerno. Domenica 31 maggio inizia ufficialmente la seconda edizione del Festival, promosso dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” con la partecipazione del quartetto del Santa Cecilia di Roma. Il 31 maggio a partire dalle ore 19 avrà luogo "Incontri in musica", la prima serata del festival che prende il titolo dallo scambio che avverrà tra il conservatorio Martucci e il Santa Cecilia: a esibirsi saranno il soprano Francesca Manzo con Lidia Fittipaldi al pianoforte, Giorgio Cardiello al corno e Massimo Buonocore al clarinetto e gli studenti della classe di Quartetto del M° Marina Vicari del Conservatorio Santa Cecilia di Roma, Irenè Fiorito (foto) e Misia Iannoni Sebastianini al violino, Claudio Laureti alla viola e Simone Chiominto al cello. Le note del “Kegelstatt” Trio di Wolfgang Amadeus Mozart sanciranno l’incontro e lo scambio tra i due conservatori: Massimo Buonocore al clarinetto, Claudio Laureti alla viola e Laura Cozzolino al pianoforte, daranno vita a questa ricchissima abbondanza melodica. 
 
 





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Un itinerario turistico a Salerno

Cercando notizie mi sono imbattuta in questa descrizione di Salerno, mi è sembrato opportuno riportarla. Le voci che giungono sulla mia città, per pluralismo di scrittura, le accolgo ben volentieri, di mio ho aggiunto due filmati, per esaltarne l'appartenenza che sento fortissima
                                                          (Maria Serritiello)
 
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Un itinerario turistico a Salerno
Fonte La Bussola e il diario
di Claudia Boccini
 
Quando qualche giorno fa ho raccontato ad amici e colleghi che avremmo trascorso un fine settimana a Salerno, i più mi hanno guardato con aria interrogativa: come, a Salerno? E che ci vai a fare, a Salerno? Questi sono solo alcuni dei motivi per cui Salerno è una valida meta turistica:
  • è una città grande abbastanza per non essere noiosa ma non così tanto da perdere la propria personalità;
  •  è facile trovare ritmi lenti, rilassati e fondamentalmente più umani;
  • da Roma si raggiunge velocemente con il treno (e noi con Italo abbiamo speso 25€ a testa per il viaggio di andata e ritorno) e la stazione ferroviaria è proprio nel centro della città;
  • se si alloggia nel centro storico (noi siamo stati al B&B Al Corso) la macchina è totalmente inutile; se poi volete spostarvi lungo la costa, potete utilizzare i funzionali mezzi pubblici, il treno o anche noleggiare una bici o uno scooter;
  • il costo della vita (leggi: alloggio, caffè, brioches, pizze, pasti al ristorante, aperitivi, gelati) è lievemente più basso che nelle città grandi;
  • e poi – ma questo è un motivo importante solo per noi :) –  è la città dove è nato Francesco, che ci ha però vissuto solo tre anni, tant’è che non ricordava nulla della città, tranne i delfini della fontana di Piazza Campo!
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Per troppi Salerno è solo una città a sud di Napoli e a nord di Paestum e del Cilento, tappa quasi obbligata  per raggiungere la ben più nota e blasonata Costiera Amalfitana. Una sobria città di mare che (per fortuna!) non appare spesso sulle pagine di cronaca. Lo stesso portale turistico del Comune, che dovrebbe essere il primo “biglietto da visita” di presentazione della città, è fin troppo tranquillo, senza effetti speciali, senza nemmeno un link ad una pagina Facebook e tanto meno ad un account Twitter o ad altri portali di informazione turistica. Difficile essere attratti da un sito che si presenta in una veste che più istituzionale di così si muore e che nella scarna versione in inglese si limita a fornire qualche cenno sulla storia cittadina e sui monumenti principali. Come se Salerno non volesse pubblicità o non ne avesse bisogno. Perché Salerno è una città che non urla, non strepita, non promette effetti speciali e men che meno vuol vendere mercanzie esotiche spacciandole per preziose. Salerno è una città colta, dove da sempre lo studio e la promozione del sapere sono tenuti in grande conto (ancora oggi l’Università di Salerno-Fisciano è considerata una delle migliori d’Italia), la qualità della vita è buona se non ottima, i ritmi ancora a misura d’uomo e la partecipazione collettiva alla vita cittadina  elevata.
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Un po’ come accade a tante altre città minori d’Italia, sembra quasi che Salerno abbia quasi timore di mettersi in mostra, di “vendersi” ad un turismo votato all’eccesso, amante delle visite mordi e fuggi che servono solo a mettere un segno di spunta sul planisfero, non a comprendere l’essenza di un luogo. Se arrivate a Salerno con il treno, percorrendo Corso Vittorio Emanuele fino ad arrivare nella città si compie un percorso a ritroso nel tempo: man mano che ci si addentra nel cuore della città  i palazzi moderni della metà del Novecento vengono sostituiti dalle abitazioni ottocentesche e settecentesche, a loro volta edificate su fondamenta normanne, longobarde, romane e perfino etrusche. E, a differenza di tante altre città italiane, non solo del sud, è una città incredibilmente pulita: vie, piazze e strade del centro storico, nonostante siano prese d’assalto per le rituali “vasche” (*) pomeridiane e serali, al mattino tornano libere da qualsivoglia minimo rifiuto (a proposito: lo sapete che Salerno è una delle città più riciclone d’Italia e che negli anni scorsi, mentre Napoli e gran parte della Campania soggiaceva alla “munnezza“, Salerno non venne coinvolta per nulla?).
(*) vasche: termine che indica l’abitudine di percorrere ripetutamente il corso cittadino o le vie principali in una sorta di passerella.
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Salerno vecchia è città bellissima e struggente, fatta di vicoli in cui il senso dell’orientamento fa fatica a trovare punti immediati di riferimento, le case mostrano con dignità estrema i segni inflitti dal tempo e nelle piazzette e nei cortili che si aprono improvvisi risuona il suono armonioso del dialetto. Le tante botteghe ottocentesche che si aprono lungo la bella Via dei Mercanti, la spina dorsale della Salerno vecchia, hanno modanature in legno e ferro che sono arrivate intatte fino a noi e la identificano come una città da sempre  mercantile.
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Ci sono bei negozi, a Salerno, non solo quelli globalizzati oramai presenti in tutta Euopa: pasticcerie da golosità estrema, antiche botteghe di merceria, sartorie artigianali, rivendite di cappelli di paglia, negozi di antiquariato. Non potrebbe essere altrimenti, perché gli abitanti di Salerno sono eleganti, di una eleganza innata che va oltre l’abito, fatta di consapevolezza del valore proprio.
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A proposito di carattere dei salernitani: sono aperti, disponibili, ironici e  loquaci quanto basta per far apprezzare il suono del loro accento morbido, distante dalle asperità che talvolta il  dialetto napoletano si porta dietro. Se ad un salernitano chiedete un’informazione per raggiungere una meta turistica, si farà in quattro (ma anche in otto) per cercare di aiutarvi: spesso e volentieri vi accompagnerà di persona e nel frattempo vi racconterà storia, vita, morte e miracoli della città, felice di far apprezzare la sua città a chi viene da lontano e mostra interesse per i suoi trascorsi di regno longobardo. Il rapporto di Salerno con la sua storia remota è continuo, visibile:sul Monte Bonadies che domina Salerno ci sono ancora i resti del Castello di Arechi II, nobile longobardo sceso dal nord Italia per assumere il titolo di duca di Benevento e che, a seguito della la sconfitta dei longobardi ad opera di Carlo Magno, trasferì la sua corte a Salerno, inaugurando un periodo di eccezionale di prosperità della città, in cui le arti ebbero grande sviluppo.
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Grande fama avevano i giuristi di Salerno ma ancor più la Scuola Medica: fondata nel IX secolo e giunta al suo massimo splendore nel XIII secolo, richiamava medici ed allievi dai Paesi del Nord Europa e del bacino del Mediterraneo e vi erano ammessi sia uomini che donne –  la più famosa medichessa fu senz’altro Trotula – che seguivano quello che potrebbe essere definito il precursore dei corsi di laurea in medicina gli allievi della Scuola si impegnavano nello studio della logica per 3 anni e quindi  della chirurgia e dell’anatomia per 5 anni ed erano obbligati ad un anno di tirocinio con un medico esperto prima di sottoporsi ad un esame finale dinanzi al Collegio Medico. Non molto diverso dal corso di studi che ancora oggi segue un futuro medico, no?
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Legata alla tradizione fitoterapica, la città di Salerno ancora oggi da molto valore al verde pubblico ed ai giardini botanici: uno fra tutti è la Villa Comunale, oasi di essenze arboree mediterranee ed esotiche ma ugualmente molto interessanti sono il Parco del Mercatello con la collezione di piante grasse ed il Giardino della Minerva, un giardino dei semplici di rara bellezza (lo abbiamo visitato e ve ne parliamo a breve).
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Durante il week-end in cui siamo stati a Salerno (16-17 maggio 2015)  si svolgeva la manifestazione “Salerno porte aperte”: palazzi, chiese e monumenti sono stati “adottati” dalle scuole cittadine – dalle elementari agli istituti superiori – i cui allievi si sono trasformati in guide e ciceroni: è stata una piacevolissima esperienza, in cui il bello proprio della città campana si è unito al grandissimo entusiasmo (e, va detto, alla grande competenza) dei giovani ciceroni,  spesso emozionati ma sempre orgogliosi. La visita della Pinacoteca provinciale non sarebbe stata la stessa senza l’appassionato racconto degli allievi dell’Istituto tecnico “B. Focaccia”, i Giardini della Minerva ci sono apparsi ancor più belli grazie alla presenza dei bambini della scuola primaria dell’Istituto  Comprensivo “Ogliara” ed alle interessanti notizie che ci hanno fornito i giovani studenti del Liceo Scientifico “Da Procida” mentre un grande grazie va agli allievi della scuola secondaria di I° grado “Rita Levi Montalcini”, che ci hanno accompagnati a conoscere la Chiesa di Santa Lucia De Judaica e quello che una volta era l’antico Ghetto di Salerno.
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Cosa vedere, quindi, a Salerno? E quanto tempo è necessario per conoscere almeno un po’ la città?
Per fare le cose con calma, regalandosi anche una lunga e piacevole passeggiata sul Lungomare ed una (immancabile!) sessione di shopping, sono necessari almeno un paio di giorni: molti di più se volete approfittarne per visitare i dintorni (la Costiera Amalfitana, appunto e poi il Cilento). Di seguito, alcuni dei luoghi turistici e culturali più interessanti della città:
  • il Duomo, fondato su iniziativa di Roberto il Guiscardo nell’XI° secolo, è preceduto da un porticato ed affiancato dall’alto campanile. All’interno sono da vedere gli amboni del XII secolo, caratterizzati da sculture e decori musivi con tessere variopinte. Nel Duomo di Salerno vi è la tomba di Papa Gregorio VII, unico pontefice a non essere sepolto nelle cripte vaticane e il reliquiario con il braccio di San Matteo, a cui la cattedrale è dedicata (Piazza Alfano I, aperta 10-18);
  • il Castello di Arechi, edificato nell’VIII° secolo dal principe longobardo Arechi II (Via Croce – aperto dalle 9.00 alle 14.00 e dalle 16.00 fino ad un’ora prima del tramonto);
  • Palazzo Pinto e la Pinacoteca provinciale, con raccolta di tele della scuola salernitana che abbracciano un periodo che va dal rinascimento al primo novecento; di particolare rilievo le tele del Solimena e della sua scuola. Gli ambienti spesso accolgono mostre temporanee di artisti contemporanei. (Via dei Mercanti, 63 , aperta dal martedì al sabato 9-13 e 16-19; la domenica 9-13.30);
  • il Museo archeologico provinciale, con la raccolta dei reperti archeologici dalla preistoria all’età romana rinvenuti nella provincia di Salerno  e l’esposizione dei manufatti della necropoli etrusca di Fratte (Via San Benedetto 28, aperto martedì-domenica ore 9.00-19.30);
  • Piazza Campo e la fontana dei pesci del Vanvitelli, uno scorcio della Salerno storica, quasi una cartolina tridimensionale;
  • il Museo Diocesano, con opere che abbracciano il periodo che vanno dal medioevo fino al XX secolo. Di rilievo, la collezione di 67 tavolette d’avorio  istoriate con scene bibliche e la collezione numismatica con monete della Zecca di Salerno;
  • il Complesso di San Pietro a Corte,  Chiesa ed insediamenti ipogei: qui il principe Arechi II aveva il suo palazzo, la sua corte e da qui governava i suoi territori. E’ un insieme stratificato di edifici, le fondamenta inglobano un complesso termale di epoca romana poi trasformato in sepolcreto (il complesso è aperto dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 13.00 ed il lunedì dalle 15.00 alle 18.00. Possibilità di visite guidate a cura di volontari del Gruppo archeologico di Salerno);
  • la Chiesa di San Giorgio, il cui insediamento originario risale al IX° secolo, fu parte del convento delle benedettine. Oggi ha un impianto barocco, su progetto del Sanfelice. Importanti e scenografici gli affreschi del Solimena (Via Duomo, 19; aperta dalle 9.30 alle 12.30 e la domenica in occasione di funzioni religiose);
  • la “via della poesia” ovvero vicolo San Bonosio, affrescato con le liriche ermetiche di Alfonso Gatto, poeta contemporaneo nato a Salerno;
  • il Giardino della Minerva, una serie di terrazzamenti da cui si ha una magnifica vista sul Golfo di Salerno. Il Giardino è l’elogio tangibile alla Scuola medica salernitana ed alla sua conoscenza delle virtù erboristiche;
  • il cantiere della stazione marittima, su progetto dell’archistar Zaha Hadid: si intravede la sagoma di quello che diventerà il centro del porto turistico, un edificio che ricorda le linee di un’imbarcazione pronta a salpare.
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mercoledì 27 maggio 2015

I post teatrali di Pinuccio Bellone



Ricerca a cura di Pinuccio Bellone
pubblicata su F.B.

Ogni giorno per tutta la settimana, l'Attore Pinuccio Bellone ci compila una scheda professionale degli attori e registi del passato su F.B, perché la loro conoscenza non vada persa. L'iniziativa mi piace per cui la ospiterò all'interno del blog, corredandola a mia volta.

Oggi la nostra vetrina ospita la stupenda "voce" di CORRADO GAIPA
(Palermo, 13 marzo 1925 – Roma, 21 settembre 1989) è stato un attore e doppiatore italiano.
 
 
 

 Dopo tre anni all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, debuttò sul palcoscenico nel 1946 con la Compagnia Tofano-Zacconi-Bagni-Cortese, interpretando Non te li puoi portare appresso di Hart e Kaufman.
Esordì alla radio nel 1948, con la Compagnia del teatro comico musicale di Roma. Continuò la sua attività radiofonica a... Radio Milano, Radio Torino e con la Compagnia di prosa di Radio Firenze; tra le sue numerose interpretazioni, Il berretto a sonagli di Pirandello(1954) , Miracolo di Manzari (1955), il radiodramma La Venere di bronzo di Merimée (1957), il radiodramma Il genio della montagna di Breitman (1959), Crepuscoli di libertà di Neera (1961), Un mondo mai visto di Lanza (1962), Il nababbo di Daudet (1963), La storia di un furbo di Collodi (1965), Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (1969) e il radiodramma La morte di James Dean di Andersch (1971).
In televisione, Gaipa debuttò nel 1969 con la commedia La rosa bianca, iniziando nel frattempo a lavorare nel cinema anche in veste di attore: tra i film cui prese parte spicca Il padrino (1972), in cui interpretò la parte di Don Tommasino.
Sempre in televisione ha fatto parte del cast dello sceneggiato televisivo del 1973 Napoleone a Sant'Elena, diretto da Vittorio Cottafavi, in cui interpretava il ruolo del I Ministro inglese Lord Liverpool e di Maigret in pensione del 1972, diretto da Mario Landi. È apparso poi in Storie della camorra, sceneggiato televisivo trasmesso da Rai 1 nel 1978, diretto da Paolo Gazzara e nello Sceneggiato Marco Polo (1982) di Giuliano Montaldo, coprodotto dalla Rai, come consigliere del Doge.
È stato attivo anche come doppiatore, dando la voce a Lionel Stander, Eli Wallach, Peter Ustinov, Rod Steiger, Orson Welles, Alec Guinness, Burt Lancaster e Spencer Tracy al quale ha “prestato” la voce nell’indimenticabile “INDOVINA CHI VIENE A CENA?”. Negli anni '60 lavora prima per la Cooperativa Italiana Doppiatori, poi alla Cooperativa Doppiatori Cinematografici, nel 1970 fonda la Cine Video Doppiatori, di cui diventerà voce in esclusiva fino alla scomparsa. È inoltre stato abbastanza attivo per la Disney dove ha doppiato: Il libro della giungla in cui doppiava Bagheera, Troppo vento per Winny Pooh in cui doppiava Uffa in sostituzione di Giorgio Capecchi e Gli aristogatti in cui doppiava Scat-Cat.
Gaipa morì a Roma il 21 settembre 1989, stroncato da un malore. Avrebbe dovuto nuovamente interpretare la parte di don Tommasino per Il padrino - Parte III, e fu sostituito da Vittorio Duse
 
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martedì 26 maggio 2015

I post teatrali di Pinuccio Bellone

 
 
 

Ricerca a cura di Pinuccio Bellone
pubblicata su F.B.

Ogni giorno per tutta la settimana, l'Attore Pinuccio Bellone ci compila una scheda professionale degli attori e registi del passato su F.B, perché la loro conoscenza non vada persa. L'iniziativa mi piace per cui la ospiterò all'interno del blog, corredandola a mia volta.


Iniziamo una nuova settimana di "vetrina" ospitando la grandissima
ELEONORA DUSE (Vigevano, 3 ottobre 1858 – Pittsburgh, 21 aprile 1924) è stata un'attrice teatrale italiana.
Fu una tra le più importanti attrici teatrali italiane della fine dell'Ottocento e degli inizi del Novecento simbolo indiscusso del teatro moderno, anche nei suoi aspetti un po' enfatici.
Nata a Vigevano (sulla casa natale è stata messa una targa) da una famiglia di attori clodiensi (o chioggiotti), crebbe e trascorse l'infanzia tra il nomadismo e il dilettantismo della compagnia girovaga del padre Alessandro Vincenzo Duse (1820-1892) e della madre Angelica Cappelletto (1833-1906), andando in scena fin da bambina. La famiglia Duse era imparentata con un'altra famiglia di attori girovaghi, i Vitaliani. Cugina di Eleonora era Italia Vitaliani. Nel 1862, Eleonora, a soli 4 anni, interpretò la parte di Cosetta in una versione teatrale de I miserabili.
Nel 1878 conquistò il ruolo di prima amorosa nella compagnia Ciotti-Belli Blanes, e appena ventenne fu a capo di una compagnia con Giacinta Pezzana. Alcune memorabili interpretazioni, come Teresa Raquin di Émile Zola, le procurarono presto l'adorazione del pubblico e l'entusiasmo della critica. Nel 1879 entrerà nella Compagnia Semistabile di Torino di Cesare Rossi, dove porterà a maturazione una sua poetica che raccoglieva le eredità del passato ma che insieme rompeva con la tradizione grandattorica della prima metà dell'Ottocento.
È proprio in questo periodo, gli anni ottanta, che la Duse compirà le scelte di repertorio che segneranno il suo percorso artistico e la sua carriera. Un repertorio che le permetterà di esprimere il suo sentimento di crisi rispetto all'epoca di cui faceva parte. Vista la sostanziale assenza di una drammaturgia in Italia (di Giacometti, Giacosa, Torelli, Praga si ricorda un'opera a testa, non molto di più) i testi che sceglieva e prediligeva erano perlopiù le pièce bien faite francesi: moderne, mondane, di forte richiamo per i rinnovati gusti del mutato pubblico del secondo Ottocento; meccanismi perfetti che intendevano confermare le norme e i valori borghesi.
Ma nelle mani della Duse i drammi di Victorien Sardou e di Alexandre Dumas figlio diventavano partiture da smontare per poter essere poi riempite di nuova linfa, del messaggio tutto personale della Duse che quei valori borghesi voleva metterli in crisi, rappresentarli quindi così come nella realtà che la circondava essi si presentavano, non certo confermarli acriticamente. I temi che alla Duse premeva di affrontare erano quelli più spinosi e più rappresentativi della società borghese dell'epoca: denaro, sesso, famiglia, matrimonio, ruolo della donna. Ne usciva il ritratto di una società perbenista ma in realtà ipocrita, luccicante nella vetrina ma marcia nella sostanza, egemonizzata da un dio-denaro regolatore di ogni rapporto umano; un mondo nel quale è impossibile provare delle emozioni sincere.
Emergeva poi l'interiorità femminile così come la Duse viveva la sua: un'interiorità rotta, alienata, nevrotica. Il suo repertorio era moderno e di forte richiamo: dal verismo della Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, dove interpretò Santuzza, ai drammi di Victorien Sardou e di Alexandre Dumas figlio che facevano parte del repertorio della grande attrice francese Sarah Bernhardt. Fra le due attrici nacque presto una rivalità che divise i critici teatrali.
Nel 1881 Eleonora Duse sposò Tebaldo Checchi, attore nella sua compagnia; l'unione, dalla quale nacque una bambina, Enrichetta, si rivelò presto infelice e terminò con una separazione definitiva. Nel 1884 la Duse si legò ad Arrigo Boito, che adattò per lei Antonio e Cleopatra di William Shakespeare. La relazione con Boito restò sempre segreta e durò, fra alti e bassi, per diversi anni: gli incontri avvenivano presso Ivrea al castello di San Giuseppe dimora di un comune amico, Giuseppe Bianchi. In questo periodo, l'attrice frequentò gli ambienti della Scapigliatura, ed il suo repertorio si arricchì anche dei drammi di Giuseppe Giacosa, amico di Boito. Ebbe una relazione con Lina Poletti che durò due anni.
La sua amicizia con Isadora Duncan con la quale si incontrava nelle tournée europee fu molto "chiacchierata". Negli anni novanta, Eleonora Duse portò sulle scene italiane i drammi di Ibsen, Casa di bambola, La donna del mare, Hedda Gabler e Rosmersholm. Quest'ultimo, in particolare, fu da lei ripreso anche al Théâtre de l'Oeuvre di Parigi (1898) con la regia di Lugné-Poe, e in un memorabile allestimento con le scene di Edward Gordon Craig (1906). Nel 1909 Eleonora Duse abbandonò il teatro.
Pochi anni dopo, nel 1916, interpretò il suo unico film, Cenere, tratto dall'omonimo romanzo di Grazia Deledda. Pochi mesi prima di morire compì l’ultimo soggiorno a Viareggio, presso la villa dell'armatore Riccardo Garré, nell'agosto 1923; morì nel corso dell'ultima tournée americana, a Pittsburgh, il 21 aprile 1924. È sepolta nel cimitero di Asolo, secondo la sua volontà. Dopo la sua morte, a suo nome sono stati intitolati numerosi teatri, oltre a scuole e toponimi in varie città italiane. Inoltre, in mostra in importanti musei in tutto il mondo, è stato esposto il guardaroba dell'attrice restaurato da Fausto Sarli. Le è stato dedicato un cratere di 30 km di diametro sul pianeta Venere.
Nel 1882 a Roma incontra per la prima volta Gabriele D'Annunzio: quest'ultimo è un giovane affascinante e pieno di riccioli, sceso da poco dagli Abruzzi ma già con tre opere pubblicate. Compare davanti alla Duse e con melodiose parole le propone, tout court, di giacere con lui. Eleonora lo congeda con sdegno, ma forse anche con un segreto compiacimento (in quel giorno lo descrive: Già famoso e molto attraente, con i capelli biondi e qualcosa di ardente nella sua persona).
Nel 1888 a Roma al teatro Valle, Eleonora, che sul palcoscenico si è appena redenta da traviate gioie e ha preso in faccia manciate di monete false ed è morta di tisi e d'amore nelle vesti della disgraziatissima Signora delle camelie, sta avviandosi ancora in sospiri e lacrime al suo camerino. Ed ecco un giovanotto esile, esile, ma tutto scatti ed eleganza, uscire d'improvviso dalla penombra del corridoio e gridarle con perentorio entusiasmo: O grande amatrice!. Eleonora un po' spaventata, lo guarda per un attimo e prosegue. Il giovanotto è D'Annunzio.
Nel giugno 1892 D'Annunzio scrive una dedica (Alla divina Eleonora Duse) su un esemplare delle sue Elegie romane. Dal libro nasce in Eleonora il desiderio di un incontro con l'autore. E nell'incontro si abbandona alla presa di quegli occhi chiari, si sorprende a dimenticare tutta la sua amara sapienza della vita e a godere della lusinga che essi esprimono.
Il momento fondamentale sia nella vita che nella carriera artistica di Eleonora Duse fu il definitivo incontro a Venezia, nel 1894, con Gabriele D'Annunzio, allora poco più che trentenne. Il tempestoso legame sentimentale ed artistico che si stabilì fra l'attrice e il giovane poeta durò una decina d'anni, e contribuì in modo determinante alla fama di D'Annunzio. Eleonora Duse, già celebre ed acclamata in Europa e oltre oceano, portò infatti sulle scene i drammi dannunziani (Il sogno di un mattino di primavera, La Gioconda, Francesca da Rimini, La città morta, La figlia di Iorio), spesso finanziando ella stessa le produzioni e assicurando loro il successo e l'attenzione della critica anche fuori dall'Italia. Ciò nonostante, nel 1896 D'Annunzio le preferì Sarah Bernhardt per la prima rappresentazione francese de La ville morte.
Periodi di vicinanza e collaborazione fra i due artisti si alternarono a crisi e rotture; D'Annunzio seguiva raramente l'attrice nelle sue tournée, ma nel 1898 affittò la villa trecentesca della Capponcina a Firenze nella zona di Settignano, a Nord-Est di Firenze, per avvicinarsi alla Porziuncola, la dimora di Eleonora. Nel 1900, D'Annunzio pubblicò il romanzo Il fuoco, ispirato alla sua relazione con Eleonora Duse, suscitando critiche vivaci da parte degli ammiratori dell'attrice. Dopo la loro separazione Gabriele visse tutto il resto della sua vita (le sopravvisse quattordici anni) struggendosi nel ricordo dell'attrice. Infatti alla notizia della morte dell'attrice, ormai vecchio, pare abbia mormorato «È morta quella che non meritai».
Nella serie White Collar, accanto allo stipite della porta di ingresso dell'appartamento di Neal Caffrey si trova appesa una storica locandina del Teatro Costanzi che presenta lo spettacolo. La Città Morta di Gabriele D'Annunzio con, come interprete principale, Eleonora Duse. 
 
 

lunedì 25 maggio 2015

La leggerezza dell'essere



Due anni fa, esattamente il 7 giugno, in uno di quei giorni nati imperfetti, se ne andava Gigi, lasciando tutti nel dolore. La madre Franca, è stata mia compagna di scuola e saperla affondata nella sofferenza, la peggiore che possa capitare ad un genitore, mi ha addolorata oltremodo. Così quando mi ha chiesto di aiutarla a rendere manifesto il suo ricordo, non ho esitato a trovare spazio nel mio blog, che so seguito da persone sensibili e capaci di rispetto verso un dolore così infinito.

Gigi era sole, mare, amico, allegria e sana voglia di esserci, eppure non è bastato. Nessun segnale, nessuna piega sulla fronte, ha fatto presagire ciò che poteva aver macerato il suo animo fino a consumarlo. E così imitando la leggerezza di una farfalla ne ha seguito il volo.

Mi piace pensare che sia in cammino e chi lo ha amato e lo ama sopra ogni cosa per sempre, lo segua con amore terreno, intenso, forte, viscerale, come solo una madre può fare. Franca ha fatto di più, se ha raccolto le parole, fino ad ora sepolte dal suo dolore, portandole sulla carta e di lui vergando il tratto. Quel cordone spezzato volontariamente, di nuovo si annoda allacciandosi alla sua vita che con le parole, ancora, lo genera, come un tempo aveva già fatto. Due interminabili anni, per riuscir a portare alla luce il suo dolce profilo, quello che le tenere parole di mamma lo  restituiscono intatto e con commovente devozione. E così Gigi ritorna, perché a conti fatti non se n’è mai veramente andato. Ti vogliamo bene, ragazzo, ora lo sai.

Maria Serritiello


La leggerezza dell'essere

Così sei passato sul mondo. Con passo leggero, con delicatezza hai vissuto sempre col sorriso dolce ma velato da un fondo di malinconia segretata a tutti ... Con leggerezza entravi in casa, con leggerezza ponevi le labbra sulla mia fronte per un bacio  veloce e delicato. Quel bacio mi manca, il suo ricordo mi vela gli occhi di lacrime...

(Mamma)




 
 
 

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Articoli pubblicati

di Maria Serritiello

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Inaugurata la settima edizione del Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno
Giovedì, 26 Febbraio 2015

Ad inaugurare la settima edizione del Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno, organizzato dal Teatro Genovesi, domenica 15 Febbraio, è stata la compagnia "Si riprende a volare" della città di Manfredonia, con il lavoro "Coppia aperta...anzi spalancata" di Franca Rame e Dario Fo. Foltissimo il pubblico intervenuto che, ogni anno, conferma l'interesse per la rassegna di ottima qualità, anzi aumenta in abbonamenti, come ha annunciato un soddisfatto Enzo Tota "Al consenso dei fedelissimi, quest'anno abbiamo 14 abbonati in più". Cresce la manifestazione per la passione e la dedizione impiegata ed è soddisfazione per tutti quelli che si adoperano in tal senso, ma è anche vanto per Salerno se il Teatro Genovesi ospita qualificate compagnie provenienti da tutta Italia, il meglio dell'amatoriale.
"Coppia aperta...anzi spalancata" fu scritto nel 1980, da una delle coppia più affiatate del teatro italiano, la più impegnata politicamente, la più qualificata se si parla di uno dei due, Dario Fo, Premio Nobel del 1997, per la Letteratura. Senza nulla togliere al marito, questa pièce è tutta al femminile e molto risente di Franca Rame, del suo pensiero che si ritrova in ogni battuta, in ogni vezzo, in ogni esagerata reazione.
In scena per due ore di spettacolo, con una sola interruzione, ci sono loro, lei in procinto dell'ennesimo suicidio, chiusa nel bagno, lui che tenta di dissuaderla dall'estremo gesto. La ragione di tanto sconquasso è sempre la stessa: il tradimento. Eh sì che al marito piacciono le donne ed Antonia non può sopportarlo, ma quando lei stessa capovolgerà le regole del gioco, accettando la coppia aperta, magnificata da lui, a giustifica delle sue scappatelle, trovandosi la compagnia in un uomo bello, intelligente, aitante, sportivo e perfino cantante rock, lui riterrà la cosa inaccettabile e rivendicherà il sacro vincolo del matrimonio, sia pure in modo ridicolo e privo di ogni dignità. Questa in sintesi la trama del testo rappresentato, interpretato egregiamente dall'attrice Assunta Radogna, che ne ha curato anche la regia. La brava attrice coadiuvata da Gianni Fatone, credibile nella parte dell'uomo a cui spetta sfarfalleggiare, ha reso una versione molto gradevole, evitando di rifare il verso all'autrice, che pure aleggia in alcuni passaggi. Entrambi dialogano, tirando in ballo il pubblico, nel tentativo di attirarlo ognuno dalla propria parte, quasi si fosse in un ideale salotto, una carineria della regia molto apprezzata. E' stata coraggiosa, Assunta Radogna, ma l'audacia non è forse delle donne(?), nel mettere in scena il lavoro che è marchiato da due mostri sacri, tanto che il richiamo al confronto poteva essere naturale ed anche temeraria nello spolverare la problematica esistenziale della donna secondo canoni sorpassati. Dal 1980 in poi sono stati fatti passi in avanti dalle donne, che suicidarsi o tentare di farlo perché il proprio marito non è fedele, sembra anacronistico, come pure risultano superati alcuni riferimenti, ad esempio "Il Rischiatutto" trasmissione televisiva del 1970, che la regia poteva evitare.
"La coppia aperta ha i suoi svantaggi funziona se è aperta da una sola parte, quella del maschio, perché se è aperta da tutte e due le parti ci sono certe correnti d'aria..." Battuta sarcastica pronunciata da Antonia in cui c'è del vero, gli uomini non hanno rinunciato al possesso della propria donna e vedersela sfuggire non è loro congeniale, anche con conseguenze estreme, se ci si riferisce al fenomeno del femminicidio, ma ciò che differisce dagli anni '80, epoca della creazione del testo, è che allora non vi era piena consapevolezza, il movimento femminista aveva ancora il suo bel da fare.
Nessuna meraviglia se "Coppia aperta quasi spalancata" è la commedia più rappresentata e con successo al mondo, gli uomini si riconoscono, così come descritti, quando sono contrattaccati dalla propria donna, mentre loro s' identificano con l'arte della seduzione e il suscitar gelosia, poste in opera dalla protagonista per mantenersi il proprio uomo. In sostanza il costrutto è semplice se è l' "eterno femminino" a trionfare, in barba ai movimenti di emancipazione. Ciò che è utile attualmente in una scrittura di tal genere è la memoria storica, il ricordare il punto di partenza della liberazione della donna presso i giovani che di memoria, a furia di trovare le cose già belle e fatte, ne fanno senza. E' questo il merito maggiore della scelta fatta da Assunta Radogno, oltre all'impeccabile interpretazione e la cura posta nel dirigere il compagno di scena, senza surclassarlo, Gianni Fatoni.
L'insieme della rappresentazione è tenuto unito da una sobria scenografia e sottolineato dalla musica di un giovane Joe Cocher, Feelin' Alright, che con breve jingle ha avviato, intervallato e concluso lo spettacolo. Una commedia piacevole che va incontro ad un finale rasserenante ad opera di due attori eccellenti, anzi tre, vuoi per la sola presenza scenica, Assunta Radogno, Gianni Fatoni e Raffaele De Feudis. Un buon lavoro come inizio per il seguitissimo Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno.
 
Maria Serritiello
 
  • Al Giullare di Salerno si presenta Scherzi di Cechov

  •  01 Marzo 2015
     
    Tre atti unici di Anton Cechov: I danni del tabacco, l'Orso e La domanda di matrimonio, per una rappresentazione fuori dal comune, firmata Enzo Marangelo, al piccolo Teatro del Giullare di Salerno, fino al 1° marzo prossimo. In 60 minuti di spettacolo, non sono solo gli attori a recitare in maniera eccezionale, ma anche gli oggetti che ruotano intorno a loro, diventando essenziali al pari degli attori, se non di più, come la terra, color fondo di caffè, che occupa tutto il calpestio del palco, le sedie, la farina che l'eccezionale Gaetano Fasanaro impasta con le uova, sgusciate al momento, appiccicandosela addosso, così come ad alcuni spettatori della prima fila, ed ancora cipria sparsa profumata per l'aria, terra che Stepanovna raccoglie nel vestito per indicare il possesso e sedie, sfondate e non, più che per sedersi sono utilizzate come oggetti di rivolta. Uno spettacolo allegro, divertente, giocoso, clownesco, dove il teatro, dall'interno, prova a divertire prima se stesso e poi il pubblico. E si vede questo divertimento negli gli attori che, pur impiegando fatica, nel saltare, rotolare, lottare, spostare oggetti e nel caso del superlativo Andrea Bloise, nel mimare in tic nervosi di ogni genere caratterizzanti Ivan Vasil' evic Lomov, si sentono più che mai soddisfatti. Un divertissement scelto non a caso dal regista per l'efficacia del testo, ma anche per rappresentarlo in modo del tutto originale e personale. Un Cechov alleggerito da ogni scoria strettamente letteraria, che poteva appesantire il testo, come nel caso dei "I danni del tabacco", che Enzo Marangelo ha intelligentemente reso, caricando la caratterizzazione degli attori. Ne sono usciti dei bozzetti clownistici assolutamente piacevoli, come nell'orso, dove è magistralmente rappresentato il passaggio repentino dall'odio all'amore dei due protagonisti, mentre il maggiordomo Carlo Orilia, sparisce alla ricerca della pistola per la sfida al duello tra i due. Anche per "La domanda di matrimonio "a fare scena è la straordinaria bravura di Andrea Bloise, un autentico ginnasta, per come si destreggia sulle sedie e Piera De Piano, il cui movimento delle mani, bene ha reso il montare isterico della sua ansia. Autentico mestiere di attore si rileva in Carlo Orilia, un convulso e confusionario, generoso quanto inefficiente, maggiordomo e in Matteo Amaturo, il quale ben caratterizza il ritrovato orgoglio paterno, al di là del pressante desiderio di accasare sua figlia. Brava, come sempre in ogni parte assegnatale, Amelia Imparato che nell'Orso è la vedova inconsolabile, ma pronta a cambiare status. Lui che la tenta, Rocco Giannattasio, è un'autentica rivelazione nel ruolo di Grigorij Stepanovic Smirnov. Tutti sono apparsi tonici, vivaci, ginnici e divertiti. Notevole è il contributo di Virna Prescenzo, che oltre alla scelta delle musiche insieme a Davide Curzio, presente nonostante il suo essere oltre oceano, si è impegnata nell'assistenza alla regia e a curare le luci.
     
    Maria Serritiello
     
  • “Filumena Marturano” al Teatro delle Arti siglato Gaetano Stella ed Elena Parmense

  •  06 Marzo 2015
     
    La signorilità, come la gentilezza, diventa sempre più merce rara e se si aggiunge la passione immacolata per il teatro e tanta professionalità, i risultati sono eccellenti. Lo spettacolo offerto dalla compagnia "TeatroNovanta" di Gaetano Stella ed Elena Parmense, coppia di teatro e di vita, al Teatro delle Arti di Salerno, il 27 febbraio scorso, ne è' una conferma puntuale, tanto più significativa se si tiene conto che andava in scena la commedia per antonomasia di Eduardo De Filippo "Filumena Marturano". Pochi sapienti tocchi, di pura classe, hanno fatto sì che ci si è commossi e si è riso uscendo dal teatro convinti di aver fatto un pieno, personale, di ottimismo e buoni sentimenti.
    Si comincia con una luce radente sulla testa degli spettatori centrali delle prime file, che fa da sfondo e supporto alla voce calda, forte, vigorosa e napoletana di Tommaso Fichele. Canta, evocativo e magico, "Lu Cardillo" arrangiata dal mago Guido Cataldo, il Maestro salernitano che così lusinghieri successi sta ottenendo in tutta Italia col suo musical "America. La luce si allarga su di una scena d'interno, dominata dal rosso, cui fa da contralto il grigio azzurrino delle pareti ed uno splendido scorcio di paesaggio con case, un vero e proprio quadro! Tale scena rimarrà per tutti i tre atti a testimoniare la scelta, non casuale, di costringere gli spettatori a concentrarsi sulla sceneggiatura magistrale di Eduardo. Varieranno i colori del tavolo in primo piano, della tappezzeria e delle tende, giallo nel II° atto, bianco nel III°. Suggestivo, intenso e possente il prologo di danza classico-moderna del II° atto, come struggente, dolcissimo e di forte impatto emotivo l'uscita di scena della coppia Soriano- Marturano, accompagnata dalla stessa luce radente del I° atto e dalla voce amorosa del giovane Tommaso Fichele che ha riproposto una edizione toccante di "Uocchie c'arragiunate. Pochi interventi, apparentemente minimalisti hanno reso questa edizione di Filumena Marturano, ricordevole. Puntuali, precisi, come da copione, gli interventi dei personaggi di contorno, Chiara de Vita, Antonello Cianciulli, Alessandro Caiazza, Manuel Mascolo, Alfio Battaglia, Elisabetta Condorelli, Lucia Voccia, Francesca Stella, Daniele Nocerino, Valter Aversa. Ottima la prova resa da Elena Parmense, che va ad aggiungersi a quella delle grandi attrici del passato, Regina Bianchi e Regina Senatore, quest'ultima salernitana doc le ha dato consigli per bene interpretare il personaggio. Commovente è stato il monologo della Madonna delle rose ed il pianto liberatorio nel finale. Lei sempre battagliera nel difendere i diritti dei propri figli, di fronte un Domenico Soriano forte, incisivo e deciso a preservare la sua onorabilità di uomo ma altrettanto pronto ad asservirla alla sua anima napoletana. Vale la pena ribadire che la versione approntata da Gaetano Stella è piaciuta moltissimo, la sua anima gentile si è vista tutta, come è piaciuta la decisione di far assistere ad una richiesta di matrimonio, non prevista, da parte di un giovane per la sua amata, salito sul palco tra i sorrisi compiaciuti del pubblico e la benevolenza di Gaetano. Ancora una volta Gaetano Stella, il buon papà della sua compagnia, ha dispensato accoglienza e amorevole sostegno per tutti e quando c'è lui è l'amore a trionfare.
     
    Maria Serritiello
     
  • Dolce cioccolato per tre giorni sul Lungomare Trieste di Salerno

  • 06 Marzo 2015
     
    Tre giorni di cioccolato a gogò, dal 19 al 22 marzo prossimo, bastano per addolcire il palato? Sembrerebbe proprio di sì, se nel gustarlo si ha la visione di uno dei più bei lungomari d'Italia, lungo 1° km e mezzo e largo 30 metri. A possedere questo meraviglioso giardino, arricchito da palme e tamerici, è la città di Salerno, incantevole affaccio sul Mediterraneo, che dopo le luci d'artista, nelle quali era coinvolta la vista, ora ci riprova interessando il gusto. Tre giorni, dunque per assaporare il miglior prodotto artigianale del cioccolato di qualità, presente sul territorio nazionale, senza tralasciare le eccellenti realtà del territorio locale. La manifestazione del Claai Salerno, patrocinata dal Comune e con la collaborazione della Tanagro Legno Idea, si terrà nella Piazza Cavour sul Lungomare di Salerno e aprirà gli stand dalle ore 10,00 alle 22,00. Sarà una buona occasione per godere della bontà di tale prodotto, liberandosi dei pregiudizi che spesso lo demonizzano e conoscerne le innumerevoli qualità che ne giustificano pienamente il largo uso, ancora oggi dalla sua scoperto.
     
    Maria Serritiello
     
    Terra Smossa e La Smorfia Teatro, di Gravina in Puglia, secondo spettacolo al Festival Teatro XS Salerno
    07 Marzo 2015        
      

    E' "La Morsa" di Luigi Pirandello, il secondo spettacolo in gara, al 7° Festival Nazionale "Teatro XS città di Salerno, con le Compagnie: La Terra Smossa e La Smorfia Teatro, di Gravina in Puglia, (Ba), il 28 febbraio scorso.
    Ciò che va detto subito è il coraggio del regista Gianni Ricciardelli di rappresentare un'opera quasi sconosciuta del Nobel italiano, con difficoltà di rappresentazione evidente. "La Morsa" è un epilogo in un atto, dove le parole sono bilanciate al tutto che si poggia su gesti lenti, espressioni intense e drammatiche conclusioni. Il fermo immagine dell'inizio rappresenta una casa, una famiglia: moglie, marito, figli(2), cameriera con grembiule ed una figura maschile di troppo: la stessa sarà la rovina della padrona di casa. La scena si anima e si allontanano prima i figli, poi il marito e la cameriera, per rimanere da sola la moglie che vive il suo bene tra lettere d'amore, l'amico libro, tre sedie e un tavolino, sguardi tristi e preoccupati, ora sognanti ora afflitti, tra moti dell'animo e slanci frenati. Una colonna sonora romantica, drammatica, struggente e bruciante accompagna i gesti dell'attesa di lei. Intrigante, dietro alle sue spalle, la scenografia minimale che punta tutto su di un drappo di colore rosso fuoco, che corre all'interno di una cornice giallo dorata, posta a torreggiare, quale finestra, sul buio tragico della vita. L'apertura spalancata sul nulla farà da testimone, nel tempo, con un gioco di contrasto, tra il nero fondale, il drappo rosso e la cornice, quasi un omaggio al pittore Burri. Anche i vestiti che indossano i vari personaggi e il loro colore hanno una logica che li connota, per cui si parte dal tetro grigio dei maschi di famiglia, al bordò scuro della moglie ed a quello chiaro, ma indefinito dell'amante. Ed eccolo l'incontro con l'innamorato a scolpire un legame fatto di paura e di ineluttabile fragilità, che non lascia presagire niente di buono, più che l'amore può la paura di essere scoperto. Il Vaticinio diventa quasi una certezza al comparire del marito, un intenso, rigido ed impietoso, giustiziere, interpretato da Leo Coviello, peccato per la sua afonia, ne avremmo percepito tutte le sfumature interpretative. Alto, scarnito, il serio cipiglio, sempre più fisicamente incarna da vicino gli autoritratti di Lucian Freud, così adatto, consapevole del tradimento della moglie, ad istigarla al suicidio per poi accusare l'amante di averla uccisa. Epilogo drammatico scritto nell'aria e nei volti che nessuno vuole modificare e forse non lo può fare.
    Un lavoro serio, difficile, impegnativo, degno della tradizione pirandelliana del Teatro Genovesi salernitano, che un superlativo Leo Coviello, il marito, maschera tragica ed inflessibile, ha interpretato con fisicità ed assoluta bravura il ruolo. Anche Giulia che non fa simpatia per la capacità di cambiare pelle, ora con l'amante, ora col marito e per la fragilità emotiva mostrata negli sguardi amorosi, provocatori, disperati accompagnati dai silenzi immensi, meritevolmente sono stati resi da Maria Pia Antonacci. Un buon lavoro svolto va riconosciuto al regista Gianni Ricciardelli che con pochi accorgimenti ha reso rappresentativo il difficile pezzo, di certo il meno significativo di Pirandello. Buona l'inedita interpretazione musicale e simpatica la partecipazione dei bambini.
    Il festival si fermerà per due settimane, così annuncia Enzo Tota, il prossimo spettacolo ci sarà il 22 marzo e già il pubblico si sente orfano dell'incontro settimanale. Già il Festival Nazionale Teatro XS è anche socievolezza, cordialità, comunanza e scambi di giudizi, intensificati, da quest'anno, per il voto che anche il pubblico deve esprimere.
     
    Maria Serritiello
     
    Fuori concorso al settimo Festival Nazionale XS città di Salerno “Quando le donne erano di sinistra”
     18 Marzo 2015
     
    Fuori concorso al settimo Festival Nazionale XS città di Salerno ed in anticipo sulla giornata della donna, il 1 marzo al teatro Genovesi è andato in scena "Quando le donne erano di sinistra" di Marino Zanetti, sua è anche la regia. Ad interpretare il pezzo è stata l' "Associazione Collettivo Terzo Teatro Gorizia", che tranne alcuni spunti suggestivi come la dolcezza della scena d'apertura, la tipizzazione macchiettistica della comunista sindacale, integralista quanto improvvida e la drammatica consapevolezza della bugia ideologica della figlia che torna amareggiata e delusa, si snoda malinconicamente monocorde e inutilmente triste nei discorsi desueti e scontati delle protagoniste.
    "Quando le donne erano di sinistra" e quando erano di moda le ideologie, ovvero tanto ma davvero tanto tempo fa, i lustri si fanno in doppia cifra, è un testo teatrale che non rende giustizia alla condizione della donna in genere e meno che mai a quella politica. La donna rappresentata è una figura perdente, quasi consapevole di non aver alcun diritto ad avere voce in capitolo, ne' di poter sperare in uno slancio di vitalità. Il testo non affronta un'indagine psicologica incisiva ed in esso, non un moto di rivincita, non un anelito di libertà, né un grido d'insurrezione. Ciò che si concedono e si scambiano sono le riflessioni mattutine prima di entrare in fabbrica, ma è più un lamento sulla loro condizione che una consapevolezza di essa e quando vogliono svagarsi le ritroviamo a "ciaccolare", sedute in cerchio a sferruzzare, quasi che la loro operosità non debba mai interrompersi, in attesa dell'ora di cena, dove altro lavoro le attende. Un modo di essere di sinistra non certo illuminato, un tentativo di essere dalla parte delle lavoratrici ma che ne fa unicamente
    delle figure modeste e senza luce. Quelle viste muovere dinanzi ad un fondale nero pece, né luce a rischiararle, neanche l'unica finestra con tendine di merletto a fare da spiraglio e che accettano passivamente la loro condizione più per mancanza di idee che per la bruttura della condizione, sono delle brave massaie, prestate alla fabbrica, al lavoro di braccia non per affermare un diritto ma per essere gregarie al lavoro dell'uomo. Un recital fiacco con dialoghi, monologhi e pezzi cantati, evocativi e di lotta, interpretati e ben modulati, più per rispondere alla liturgia del tempo che per essere incisivi ed emozionali.
    Le considerazioni non propriamente positive sul testo esulano dal giudicare la bravura delle attrici che hanno mostrato buona capacità recitativa, buone voci per il canto, sia singole che corali e soddisfacente caratterizzazione dei personaggi. Le donne viste in scena, grazia a Dio non ci somigliano più, ma ne apprezziamo il sacrificio del cammino, senza il quale noi non saremmo così.
     
    Maria Serritiello
     
    Presentata all’Auditorium Comunale di Pagani la commedia brillante “Vacanze Turche”
    21 Marzo 2015
     
    In un'unica serata, il 14 marzo scorso, nell'elegante Auditorium Comunale "Sant'Alfonso dei Liguori di Pagani, è andata in scena "Vacanze Turche", commedia brillante scritta da Cinzia Mirabella, che ne è anche interprete, assieme a Rosaria De Cicco.
    Due amiche, Lisa e Gioia si ritrovano a dover condividere la stanza d'albergo, per la loro vacanza in Turchia, con un misterioso sconosciuto, avvenente che si rivelerà dai modi rudi. Questa in sintesi l'ossatura del pezzo rappresentato in due tempi, su cui s'innesta il vivacissimo dialogo delle due donne cinquantenni, l'una vedova, l'altra single e non per propria scelta, dal quale emergono desideri, sogni e voglia di dare una svolta alla propria esistenza. Il dialogo serrato, poi, a tratti divertente e a tratti scontato e comunque sempre indicativo di una qualche problematicità nei rapporti con l'altro sesso tra le due protagoniste, distrae, forse volutamente, lo spettatore rendendolo quasi cieco ai sottili giochi di luci che preannunciano spesso, più delle parole, l'arrivo sulla scena del "turco". Il giovane, Mario De Felice, un ex tronista di Maria Di Filippi, ricorda sempre più da vicino un rampante esemplare della fauna napoletana, a ribadire, se ce ne fosse bisogno, la virtualità della sua presenza, un sogno delle due o anche una sua possibile realtà sognata. Su questa sottile linea di demarcazione, tra il sogno desiderato e la virtualità di un'esistenza, si giocano delicati intrecci psicologici e verbali che trovano una loro definitiva consacrazione nella trasformazione mentale e comportamentale del maschio. Infatti a conclusione dello spettacolo, il turco da Neanderthal man si trasforma in un serioso damerino che legge compassato l'Ulisse di Joyce. Nel passo prescelto si chiarisce che spesso la virtualità
    e' più reale della realtà stessa, dal momento che per giochi spesso ignorati della mente, ciò che noi pensiamo sia la realtà, altro non è che un prodotto sofisticato e attendibilissimo della nostra mente. In sostanza, il turco è una figura davvero esistente o è una proiezione mentale delle due donne? Verrebbe da credere che il troglodita quanto il galante lettore di un libro, che non è alla portata di tutti, siano due aspetti di un'unica realtà interiorizzata dalle protagoniste.
    Spigliata, divertente e padrona della scena, Rosaria De Cicco, pacata, ponderata e apparentemente distaccata, Cinzia Mirabella, che ha saputo creare un testo, sì divertente, ma con un certo contenuto che lascia tracce e riflessioni. Soddisfacente la figura del turco, Mario De Felice, che dalla sua ha un fisico statuario che si disvela nei due atti, tra luci ed ombre.
    Vacanze turche verrà presentato a Napoli nel prossimo week-end. Direttore di Produzione: Andre Axel NobileProduzione e Management: Tiziana Beato.
     
    Maria Serritiello
     
  • Salerno. "L'ultima vittoria" di Luigi Lunari, terza pièce, al Teatro XS

  • 10 Aprile 2015
     
    L'ultima vittoria" di Luigi Lunari, terza pièce, nel quadro del VII Festival Nazionale, Teatro XS, Città di Salerno, è stata rappresentata al Genovesi dalla compagnia "I Cattivi di cuore" di Imperia, per la regia di Gino Brusco, il 22 marzo scorso.
    E' l'urlo, seguito da un lungo lamento che stringe la gola ed affanna il respiro dei presenti a colpire di più. Il viso stravolto dalla smorfia di dolore, che lo rassomiglia al noto quadro di Munch, di Chiara Giriboldi, una delle due protagoniste, è il sunto di questo difficile pezzo, per intensità, drammaticità e fatica interpretativa, del drammaturgo vivente Luigi Lunari. Lei, Marta, esuberante, sicura, sfrontata per come approccia la vita, non può reggere alla crudeltà del destino, non lei una campionessa di razza, brava a tirar di scherma, tanto da vincere il podio ogni volta. Di contro, Alice, Giorgia Brusco, sua sorella, mite, religiosa, timorata e schiva, che pur possedendo grosse capacità ha abbandonato la scherma per dedicarsi alla famiglia. Tra di loro un lungo dialogo portato fino alla fine, inframmezzato dallo sport, l'unico praticato da entrambe, che un tempo le ha viste unite. E' la vigilia delle Olimpiadi, Marta è in procinto di partire, accorta Alice le sta intorno, per accudirla, per riempire la valigia di cose utili, tanto si sa che Marta è svagata. Sono felici le due sorelle, ricordano volentieri pezzi della loro esistenza, tutto sembra scorrere nella normalità, ma di lì a poco si compirà la tragedia. Scorrono su di uno schermo montato in fondo alla scena, immagini in bianco e nero che descrivono ciò che succede a Marta in una frazione di secondo per la scelta dolosa di sua sorella. Quando il quadro si spegne appare Marta su di una sedia a rotelle e se ne intuisce la tragedia. Alice le è accanto senza alleviare, pur nella doverosa dedizione, l'infinita pena di Marta. Una sorta di "Che fine ha fatto Baby Jane", un film cult del 1962, di Robert Aldrich, il rapporto conflittuale tra le due sorelle, in seguito all'incidente paralizzante. Podio mancato, anzi per la campionessa Marta, mai più il gradino più alto come si annuncia, nella scenografia costruito ad arte, da una lunga cassapanca senza il basamento apice della vittoria. Marta è stata trafitta dalla sorella, ma è pur sempre una campionessa ed eccola vincere di nuovo e ad Alice, sterile, offre il suo utero per concepirle un figlio. Un'ultima vittoria e questa volta sulla vita, prima che Alice, a cui ha chiesto la fine, compia l'atto finale.
    Testo lucido, duro, paradossale, vince chi perde e perde chi grida alla vittoria. Un dilemma, per l'autore, sul chi siamo, sul ruolo svolto dal libero arbitro nel gioco della esistenza di ognuno e su quanto siamo capaci di controllare le proprie pulsioni più ancestrali, specialmente sotto stress. Su questo dilemma si srotola lo stringente dialogo delle due sorelle che raggiunge tre momenti particolarmente amari soprattutto quando Marta diventa consapevole della sua condizione, quando Alice ammette la propria colpevolezza e quando Marta, a sua volta manifesta la propria gioia per la vittoria sulla sorella ma non sulla vita.
    Bellissimo il monologo di Alice, Giorgia Brusco, come il viso tragico e la recitazione passionale di Chiara Giriboldi. Luigi Lunari, l'autore, ha scritto il testo appositamente per le due eccezionali interpreti che di esso ne hanno fatto un capolavoro interpretativo. Buona la musica di sottofondo che va dagli Abba, alla quinta sinfonia di Sciostokovic e alla quarta sinfonia di Mahler. Suggestiva la scelta della regia di servirsi di colori tenui ed il bianco ed il nero per la scenografia, dove però, spicca ripetuto il colore rosso (la valigia, la copertina dei libri, la coperta, il cappotto di alice ed il giocattolo del bimbo nel filmato), segno che il sangue non della passione ma del sacrificio è annunciato.
     
    Maria Serritiello
     
  • Incontro al salotto letterario di Salerno “Il Papiro”

  • 11 Aprile 2015
    Nel quadro delle iniziative, che il salotto letterario "Il Papiro", da poco sorto, ma ricco della partecipazione di personalità notevoli per ampiezza e lucidità mentale, intende portare avanti, c'è quella di presentare opere poco conosciute, ma non per questo modeste, di autori contemporanei. Il fine è di incoraggiarli ed in qualche modo aiutarli a dare il meglio di sé, continuandone ad accrescere maggiore espressività alla e alle loro passioni, sottolineandone i pregi, chiarendo i passaggi più oscuri, invitando i lettori alla riflessione e coinvolgendo gli autori in chiacchierate alfine di una indagine produttiva ed edificante per tutti.
    A tal proposito la scelta di questo primo incontro è caduto sulla pièce tragica "Il migliore dei mondi impossibili" scritto con grande sensibilità e maestria da Anna Rotunno, scrittrice ed insegnante di latino e greco al Liceo De Sanctis di Salerno. I presenti all'incontro hanno avuto modo di apprezzare il testo visualizzandolo da un dvd, frutto di una rappresentazione, di qualche tempo fa, al Teatro del Giullare di Salerno, per la regia di Andrea Carraro. L'opera si pone nell'ottica di una rilettura prospettica e ad un ampliamento della tematica dell'Antigone di Sofocle.
    Tempi duri per chi ha capacità linguistica superiore dove l'aggettivo fa riferimento alla forza e alla bellezza di un testo tanto elegante quanto di notevole lignaggio letterario, quasi elitario e come tale meritevole di diversa fortuna, per non rischiare di cadere nel dimenticatoio di una società che rifugge qualsiasi problematica esistenziale.
    Tema di grande respiro, urgenza, attualità e pregnanza, nonché ricco di vari spunti, quello scelto dall' autrice. Antigone, rinchiusa in cella, per aver infranto la legge emanata dallo zio Creonte che vietava a chiunque di dare sepoltura al corpo di Polinice, suo fratello, reo di aver scatenato una guerra di potere contro suo fratello Eteocle, esso stesso proclamato eroe e come tale sepolto con tutti gli onori, sceglie di morire pur potendosi sottrarre a tale destino per un tempestiva clemenza del re Creonte!
    A tale decisione Antigone arriva riandando alle sue origini che le riservano una natalità contaminata, per essere figlia di suo fratello, ma anche per le sue scelte di vita come conseguenza della consapevolezza della propria condizione. Antigone, infatti, è figlia e sorella del padre, impura e consapevole della propria aberranza genetica, pur tuttavia incapace di resistere al richiamo della propria carnalità di sorella. In Antigone c'è la determinazione di non volersi allineare, di volersi sottrarre alle etichette ingiuste della società nella quale non si riconosce più. In un rigurgito di resipiscenza la società ammetteva di aver sbagliato e di riconoscere quindi la giustezza rivendicativa di lei, Antigone, dal canto suo riconosce altresì di non poter accettare neanche quel mondo, che prova a migliorare, dal "basso". Una pièce tragica, dunque, che pone sul tappeto problemi seri e come tale costringe lo spettatore a fare sue, le domande della protagonista e provare a comprendere che, alla fine anche quel mondo perfettibile, agognato dall'eroina ante litteram di Sofocle, finisce per essere, per la stessa, solamente il migliore......dei mondi impossibili!
    Verrebbe da chiedere all'autrice che cosa le lascia e che cosa si porta da questa Antigone, La discussione si accende improvvisa tra gli astanti, segno che ognuno da questa tragica figura di Antigone ha da portarsi qualcosa, per ancestrale sentire e lascia in ognuno la consapevolezza di vivere per certi versi, in modo inadeguato.
    Ci si augura un proliferare di autori profondi e preparati, come dimostra di saper fare l'abilissima Anna Rotunno, che del linguaggio colto e raffinato ne fa arma seducente. Futuro gramo per una società che dimentica i suoi numeri primi e ...uno!
     
    Ferdinando Bianco

  • Salerno."Molto Piacere" al settimo Festival Nazionale “Teatro XS”

  • Sabato, 18 Aprile 2015
     
    Molto Piacere" è la commedia presentata il 12 aprile scorso, al Teatro Genovesi di Salerno, IV spettacolo del settimo Festival Nazionale "Teatro XS" Città di Salerno. A portarla in scena è stata la Compagnia Impiria di Verona, per la regia di Andrea Castelletti. Tratta dalla commedia di Reza Yasmine "Il Dio del Massacro", è stata trasferita sul grande schermo da Roman Polanski, col titolo "Carnage"
    Il pezzo mette a nudo le dinamiche relazionali che si sviluppano nell'ambito della coppia e delle coppie quando messe a confronto, sia in modo fortuito, sia in modo programmato, come lo è in questo caso. Ciò che s'immagina all'inizio è un civile incontro tra genitori, i cui figli sono venuti alle mani ed uno di essi, il figliolo dei genitori ospitanti, ha avuto la peggio. Ma non è così, nonostante i buoni propositi delle due parti. Ai convenevoli iniziali, mantenuti al limite della formalità, man mano si sostituiscono, in un crescendo ansiogeno, ingiurie ed offese. Così i quattro genitori si scagliano l'un contro l'altro, a volte anche in modo pesante (il vomito su gli album della padrona di casa o la rottura del porta cipria, ricordo della nonna, della genitrice ospite) e ciò che contribuisce alla vivace bagarre, che monta ogni volta, è il continuo gioco di alleanze fra di loro, sicché la controparte non è mai fissa e destabilizzata porta per mano alla scena finale.
    La commedia, divertente e graffiante, rappresentata in ottanta minuti, senza nessuna interruzione, rinchiude lo spettatore in un ambito ristretto, quale il salotto della casa, costringendolo ad assistere fino alla fine a forsennati battibecchi. Si assiste così, a dialoghi serrati e a tratti a sedute terapeutiche codificate che mettono a dura prova le forze e la bravura degli attori, costretti a stare per lungo tempo all' impedì o seduti su scomodissime sedie giocattolo, come a sancire la regressione infantile, cui vanno incontro i componenti delle coppie, allorquando sono chiamati ad esibire le proprie convinzioni esistenziali e a tirare fuori gli aspetti peggiori della propria personalità. La scelta dei mobili in miniatura non è altro che la materializzazione del disagio avvertito dai genitori che devono scusarsi. L'avvocato, il papà portato per i capelli dalla consorte in quel posto, un pezzo di Marcantonio, ha fatto molta fatica a raggomitolarsi sul divano e ad accomodarsi sulla sedia, per sorbire il caffè. Ecco, anche le tazze sono bricchettini da caffè, la minuteria creata ad arte, necessita, perché l'ego della coppia danneggiata possa essere soddisfatto. Un oggetto, quale il cellullare dell'avvocato, è stato il quinto personaggio in scena, il trillo quasi ininterrotto li ha più volte gettati l'uno contro l'altro, interrompendo il ritmo degli improperi e dell'azione per caricarli di aggressività. Sicché i personaggi si aggregano, si sgregano, si prendono in giro e nei lemmi amorevoli, pronunciati nel discorso, vi è già traccia di battute che, accenderanno la discussione, di lì a poco.
    Una seduta di gruppo, a volte scontata, altre volte irritante e altre volte ancora ironica, iniziata in palcoscenico e finita tra gli spettatori, quando come atto liberatorio il pubblico è scoppiato in un irrefrenabile applauso mentre in scena i protagonisti si sono lanciati di tutto. Ciò non vuol dire che si è applaudito solo per questo, ma nel battere le mani c'è stata anche la liberazione per una situazione conflittuale, caduta addosso allo spettatore, sempre rappresentata ai margini e mai esplosa. Interessanti risultano certe invenzioni sceniche, tra cui il fermo immagine, gli arrivi diversificati dei protagonisti e la scelta di non tergiversare sui comportamenti dei minori.
    L'atmosfera claustrofobica, resa ancor più, nella versione cinematografica del 2011 di Roman Polanski, allora agli arresti domiciliari, per l'accusa di stupro, è ripresa, quasi uguale, nella capacità di penetrazione e nella soffocante sensazione che il salotto della casa rimanda. Bravi gli attori: Laura Murari, Simonetta Marini, Michele Vigilante e Dino Tinelli, a caratterizzare le parti, l'avvocato di grido, il marito bonaccione, la moglie isterica e l'altra perfettina, un bel gruppo, quello dell'Impiria di Verona, una buona rappresentazione che si aggiunge alle altre in concorso per la vittoria del settimo Festival Teatro XS.
     
     Maria Serritiello
    Piccoli crimini coniugali” penultimo spettacolo de La Corte dei Folli al Festival Teatro XS di Salerno
    E’ “Piccoli crimini coniugali” di Eric-Emmanuel Schmitt
    il penultimo spettacolo rappresentato al Teatro Genovesi di Salerno, all’interno del Festival Nazionale XS, curato da “La Corte dei Folli” di Fossano Cuneo, per la regia di Marina Morra.
    A levar di sipario, Gilles e Lisa, i due unici interpreti, si avvitano in un lungo dialogo, durato 100 minuti, in cui ciò che appare non è e viceversa. Sono passati quindici anni di unione e la loro storia si è avviata in un quotidiano stanco, forse perché ripetitivo. Un banale incidente casalingo da parte di Gilles, con conseguente perdita di memoria, mescola le carte tra i due, per portare alla luce, rancori, gelosie e fraintendimenti. Il loro battibeccare si svolge all’interno della casa, rifugio e prigione per tutti e due, ma anche fosco scenario di misfatti coniugali, sia pure piccoli. Ecco la casa, ovvero la stanza che si vede in scena, a parte quello che s’immagina, è un interno, arredato da una poltrona smollata al centro, fastidiosissima per Gilles, ogni volta che va a sedersi e che troneggia impudica al centro del palco, a destra è sistemato un divano a due posti che li riceve a volte da soli, altre volte avvitati ed in procinto di un’unione coniugale. A completare la scenografia messa su da Cristina Viglietta, oltre che interprete, anche sensibile arredatrice dell’ambiente, sono un tavolino spartano, una libreria a vista ed uno sgabello
    girevole e cigolante. Tutte le pareti sono tappezzate da quadri astratti
    di modesta caratura.
    Nell’intento di ritrovarsi come coppia, oltre che far acquisire la memoria a Gilles, Lisa cerca con modi suadenti e collaborativi di aiutare suo marito a ritrovare il bandolo
    della propria identità smarrita, ma nel contempo non trascura di rifiutarsi allo stesso, a testimoniare che problemi irrisolti, navigano sotto
    traccia nel loro inconscio. Tra andirivieni di accuse, smentite e colpi di scena si scopre che
    l'amnesia di Gilles non c'è mai stata, che Lisa beve
    e per questa ragione è affetta da frequenti invasioni
    dell’'amigdala, che la rendono particolarmente vulnerabile a crisi
    di gelosia acute, con spunti impulsivi e compulsivi.  Un bel colpo assestato sulla testa del marito, con una scultura lignea è la ragione della finta perdita di memoria di Gilles. Ma loro due si amano ancora, si passa così da un perdono richiesto ad uno
    concesso, in un susseguirsi di colpi di scena.
    Testo teatrale intenso e talvolta ridondante, ma moderno ed abbastanza
    aderente alla realtà sociale, quella che attualmente ci attraversa. Sapiente la regia di Marina Morra ad utilizzare, per sottolineare momenti salienti, luci soffuse e musica d’atmosfera, come le pregevolissime versioni di “Quizas, Quizas, Quizas,  My Funny Valentine e Secret Garden. Quanto ai due interpreti: Cristina Viglietta e Pinuccio Bellone sono stati impeccabili, non una battuata dimenticata, né un avvolgimento di lingua, 100 minuti sparati a raffica e senza interruzione. Una bella prova di memoria e di elegante recitazione. Si è fatto notare, piacevolmente, un affiatamento di coppia che è andato oltre la performance di scena, Lisa e Gill, nella realtà sono marito e moglie ed un bacio sul divano, ad un certo punto, ne ha suggellato lo stato. Bravi anche per questo! 
    Maria Serritiello

    L’ “Alcesti” del Gruppo teatrale “La Betulla ultimo spettacolo in gara al VII° Festival Nazionale Teatro XS di Salerno

     
    Finale col botto, al Teatro Genovesi di Salerno, in occasione dell' ultima giornata del VII° Festival Nazionale Teatro XS, edizione 2015, con la rappresentazione dell'“Alcesti” o la recita dell'esilio di Giovanni Raboni, per la regia di Bruno Frusca ed il Gruppo Teatrale “La Betulla”: Ester Liberini (Sara), Andrea Albertini (Stefano) e Silvio Lazzaroni (il custode) e Bruno Frusca (Simone). In una fuga a tre, da un regime totalitario, si ritrovano, in un teatro dismesso e con l'aiuto del custode, il vecchio Simone, suo figlio Stefano e Sara la moglie di quest'ultimo. Tutti e tre sono convinti di potersi salvare, ma non è così, solo Stefano sa che i posti a disposizione sul mezzo che dovrebbe liberarli sono solamente due. Chi è l'Alcesti di turno? Chi sarà come la mitica eroina della tragedia di Euripide, che sceglie di morire per salvare suo marito Admeto? Per Stefano non ci sono dubbi, dovrebbe sacrificarsi suo padre, avanti con gli anni e senza troppe aspettative. Sara, invece, crede che nessuno debba sacrificarsi, lasciandosi guidare dall'amore per il teatro, che condivide soprattutto con l’anziano Simone. Ad apertura di sipario, lo spettatore viene, per brevissimo tempo, introdotto in una scenografia, costruita ad arte, arieggiante l'Ade, dal quale la mitica Alcesti confessa i motivi del suo sacrificio. Basta poco, però, per capire che la condizione cambia, infatti, a denunciarlo sono gli abiti moderni indossati e le valigie a mano dei tre, ma anche ciò che riempie la scenografia, ad iniziare dalla sinistra del palco, nel quale campeggia una scultura in polistirolo, con vaste bruciature, raffigurante Cristo, mentre sulla destra un'altra, dello stesso materiale, ricorda "la pietà Rondanini" di Michelangelo, al centro, poi, colonne volutamente in bilico o diroccate, segno del degrado nel quale vive il teatro sotto quel regime. Qua e là, inoltre, qualche seggiola, rimediata all’ultimo momento e di modesta fattura, su cui a turno siederanno i tre personaggi. In una simile condizione di abbandono padre, figlio e moglie, devono esprimersi sulla propria scelta, lo fa egregiamente Simone, il bravissimo Bruno Frusca, con l’ineccepibile monologo, in un crescendo di dolenzìa, fino ad arrivare all'acme, lui sa che la vita, alla sua età, non vale la pena viverla, ma non per questo vuole rinunciarvi, anzi e sceglie di non morire. Con una recitazione nervosa, avvitata e risentita, invece, Stefano, Andrea Albertini, non accetta la condanna a morte di sua moglie. Dal suo canto, la donna, Ester Liverino, pendolo in bilico tra padre e figlio, per quanto tragica sia la sua figura, comunica e sparge, con una limpida recitazione, tranquillità e pensieri positivi, al punto tale da abbondonare la scena quasi inosservata. Il teatro per lei è la sola ragione di vita e per esso è disposta al sacrificio estremo. Il finale dell’originale scrittura di Giovanni Raboni mutuata dalla ben più famosa Alcesti di Euripide, non sarà una sorpresa e sebbene sia rappresentata in tempi moderni, si concluderà come l’antica tragedia. La compagnia de “La Betulla”, presente per terza volta al Festival Teatro XS di Salerno, è una vecchia conoscenza, molto apprezzata dal competente pubblico del Genovesi e dalla giuria del festival, per le produzioni di spessore nelle quali si cimenta, ogni volta, basta ricordare "Il Visitatore" di Eric Emmanuel Schmitte e "Copenaghen" di Michael Frayn, per capire che anche l' “ Alcesti” di Giovanni Raboni, non deluderà le aspettative. La rappresentazione, si consuma con poca musica che pur avrebbe animato la scena, al posto del sinistro sferragliare di chiavi, ad ogni apparizione del custode, messo di notizie. Della bravura degli attori, tutti di consumata esperienza, non si discute, anzi un plauso in più va a Bruno Frusca, per la bella prova, senza trascurare gli altri per la precisa e puntuale interpretazione, ma del testo di Raboni, si. La scrittura molto letteraria evidenzia nella prima parte, assenza o quasi di motivazioni, gli attori sono inchiodati in scena, in dialoghi farraginosi, le emozioni latitano e il ritmo dello spettacolo non lievita, anzi si mantiene stagnante per lunghi tratti, solo quando la scelta incalza, la scena si anima e le emozioni non mancano. Così il dramma si consuma, Sara, sempre più simile ad Alcesti, si allontana inosservata, mentre padre e figlio ancora si arruffano in discorsi egoistici. Si comprende bene che Stefano ha un conflitto irrisolto col genitore e quest'ultimo rivendica tutto per se’ un sentimento innaturale, quello di sopravvivere al figlio. Tutto si è compiuto, padre, figlio e moglie si sono rivelati per quello che sono, con le loro debolezze, i loro sentimenti, i loro egoismi, ma in aiuto accorre la “pietàs” di Raboni, sicché la tragedia si avvia ad un finale più giusto. Come l'Alcesti di Euripide si salva ad opera di Eracle, così Sara-Alcesti di Raboni, lo sarà altrettanto, ma ad una sola condizione: che i superstiti non indaghino sul personaggio femminile che li precede. La conclusione è ancora una volta dall' Ade, per cui torna in scena l'antica Alcesti ad immortalare la partenza dei propri cari, sofferenti nel corpo e nello spirito, dolenzia che ricorda, molto da vicino, in quel loro piegarsi verso la libertà, la tela di Boccioni dal titolo “Quelli che partono"
     
    Maria Serritiello

     
     
    Al Festival Nazionale “Teatro XS” città di Salerno vince lo spettacolo “Piccoli crimini coniugali” de La Corte dei folli di Fossano (CN)
    15 Maggio 2015
     
    Che il Festival Nazionale "Teatro XS" città di Salerno fosse altra cosa dalle kermesse teatrali, spalmate in tutt'Italia, non vi erano dubbi, ma se ne avuta certezza, del successo pieno di questa settima edizione, dall'indice di gradimento del pubblico, 900 spettatori ruotanti nel complesso. Grazie ad un lavoro preparatorio da parte della Compagnia dell'Eclissi, per tutti questi anni passati, la settima edizione si è connotata particolarmente, anche per la qualità buona dei testi e per l'eccellenza delle compagnie ospitate. Ma il Festival Teatro XS è anche altro e cioè: clima di attesa che accompagna ogni inizio, voglia di esserci ad ogni spettacolo, rammarico, invece, per averne saltato qualcuno, atmosfera affettuosamente amicale, tra i presenti, unitamente al desiderio di discutere ogni pezzo, per poi votare, la novità di quest'anno, ed ancora la melanconia nostalgica del tutto finito, ma anche allegria festosa del buffet, con gli attori ospiti, a fine serata. Del Festival teatro XS Città di Salerno si è accorto anche Trenitalia che alla pag 64 ne dà notizia e ciò non può non fare che piacere, riempendo di orgoglio quanti si adoperano per la buona riuscita di esso. E così come da tradizione, anche la serata conclusiva del 10 maggio scorso, ci è stata porta con grazia soave, eleganza e sorriso dolcissimo da Concita De Luca, presentatrice ufficiale di ogni serata ultima del Festival, la cui voce, pasta di zucchero, assieme a quella affaticata e felice di Vincenzo Tota, hanno rivelato i vincitori della settima edizione del Festival Teatro XS.
    Tutti, per aver portato a Salerno il meglio del teatro amatoriale, avrebbero meritato di vincere, non fosse altro per la fatica, l'impegno e la passione profusi, ma la gara ha le sue regole per cui, questi i risultati:
    Vince il VII Festival Nazionale di Teatro XS Città di Salerno – Edizione 2015 lo spettacolo" Piccoli crimini coniugali" di Éric- Emmanuel Schmitt rappresentato dalla Compagnia La Corte dei Folli di Fossano (CN).
    Premio per la migliore regia a Gino Brusco per L'ultima vittoria di Luigi Lunari rappresentato dalla Compagnia I Cattivi di Cuore di Imperia.
    Premio per il migliore attore a Pinuccio Bellone, per l'interpretazione di Gilles in Piccoli crimini coniugali di Éric- Emmanuel Schmitt, rappresentato dalla Compagnia La Corte dei Folli di Fossano (CN).
    Premio per la migliore attrice ad Assunta Radogna per l'interpretazione di Antonia in Coppia aperta, quasi spalancata di Dario Fo e Franca Rame, rappresentato dalla Compagnia Si riprende a volare di Manfredonia (FG)
    Ex equo a Simonetta Marini per l'interpretazione di Margherita in Molto piacere liberamente tratto dal film Carnage di Roman Polanski
    rappresentato dalla Compagnia Teatro Impiria di Verona
    La Giuria tecnica conferisce una speciale menzione di merito a Bruno Frusca interprete del ruolo di Simone in Alcesti o la recita dell'esilio di Giovanni Raboni, messo in scena dalla Compagnia teatrale La Betulla di Nave (BS).
    Premio speciale della Giuria tecnica allo spettacolo Molto Piacere
    il Premio della Giuria dei Giovani Molto Piacere liberamente tratto dal film Carnage di Roman Polanski per la regia di Andrea Castelletti rappresentato dalla Compagnia Impiria di Verona
    Graduatoria PREMIO DEL PUBBLICO
    LA TERRA SMOSSA – LASMORFIA TEATRO (GRAVINA IN PUGLIA, BA)
    La Morsa. Epilogo in un atto
    di Luigi Pirandello - regia di Gianni Ricciardelli
    7,11
    GRUPPO TEATRALE LA BETULLA (NAVE, BS)
    Alcesti o la recita dell'esilio
    di Giovanni Raboni - regia di Bruno Frusca
    8,03
    COMPAGNIA SI RIPRENDE A VOLARE (MANFREDONIA, FG)
    Coppia aperta... quasi spalancata
    di Franca Rame e Dario Fo - regia di Assunta Radogna
    8,49
    I CATTIVI DI CUORE (IMPERIA)
    L'ultima vittoria
    di Luigi Lunari - regia di Gino Brusco
    8,64
    TEATRO IMPIRIA (VERONA)
    Molto piacere
    liberamente tratto dal film Carnage di Roman Polanski
    regia di Andrea Castelletti
    8,75
    LA CORTE DEI FOLLI (FOSSANO, CN)
    Piccoli crimini coniugali
    di Éric Emmanuel Schmitt - regia di Marina Morra
    9,01
    Maria Serritiello

     
    La Compagnia dell’Eclissi con il “Dolore sotto chiave” chiude la rassegna nazionale Festival Teatro XS Salerno
    18 Maggio 2015
     
    Ecco, lo spettacolo che, ad ogni fine Festival Teatro XS Salerno, la Compagnia dell'Eclissi mette in scena, oltre ad essere la raffinata prova teatrale, per il pubblico è un vero e proprio dono. Così il 10 maggio scorso! "Dolore sotto chiave" di Eduardo De Filippo, una chicca poco rappresentata, è stata scelta felicemente dalla Compagnia dell'Eclissi per un'ulteriore celebrazione, dopo "L'arte della commedia" del trentennale della morte del grande drammaturgo italiano. 45 minuti di spettacolo, in cui tutto intorno è sparito per cedere il posto a loro, ai due personaggi di rilievo, Lucia e Rocco, ma anche agli altri due di rincalzo, i vicini-amici. Si apprende, così, che Lucia ha tenuto nascosto a Rocco, in viaggio per lavoro, la morte della moglie. Lui, intanto, per dare vita ad un'esistenza grigia si è nel frattempo innamorato di un'altra, da cui aspetta anche un bambino. Quando Rocco scopre le bugie della sorella e cioè che era vedovo, ma cinicamente libero da tempo, le si scaglia contro, accusandola di avergli negato e il naturale e dovuto cordoglio e la possibilità di un'esistenza diversa accanto alla donna che ama. Dolore sotto chiave nacque come radiodramma nel 1958 e fu portato in scena, tra il 1964 e il 1966, da Franco Parenti e Regina Bianchi, avendo Eduardo rinunciato al ruolo di protagonista. Stranamente, Eduardo non interpretò mai il ruolo di protagonista di questa commedia.
    Due mostri sacri in scena, Vincenzo Tota e Marianna Esposito, la cui bravura va oltre ogni possibile apprezzamento. Perfetta la caratterizzazione di Lei, restituita da una mimica facciale di mobilità unica, per cui recitare con il volto, oltre che con la voce, è stato un suo pregio precipuo. Di contra la foga, la passione, la rabbia, il carattere, le pause ed il malinconico ripensare, tutto per la definizione del personaggio, nella recitazione di Enzo Tota. Che dire di Lui, se non riconoscergli, appunto, la "passione" per ogni personaggio che interpreta, li rende unici e per questo ricordevoli. Bravo Marcello Andria, il regista di questi curati capolavori che mette in scena, così "Dolore sotto chiave", con una precisa regolarità, senza sbagliarne alcuno, con la modestia e la semplicità di chi sa il teatro e lo ama. Un jolly, merito della suo eclettismo nel caratterizzare ogni personaggio affidatogli, è Felice Avella, entra ed esce da ogni personaggio con estrema facilità e professionalità ed anche questa volta la sua performance ha lasciato il segno. Altra figura di rilievo della rappresentazione è stata Angela Guerra, inappuntabile nei suoi vestiti di scena e perfetta nella recitazione, quasi una sottolineatura alle parole. Qualunque sua apparizione è lodevole, tanto che se ne ricorda ogni caratterizzazione. La scena scarna, solo una tavola imbandita, è attraversata da poca luce e dal suono di un mandolino che ne esalta la mestizia, il dolore sotto chiave, per l'appunto.
     
    Maria Serritiello