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martedì 29 gennaio 2013

I Fratelli di Campagna | Lo Speciale di Unis@und

                                                
Fonte: Gli Speciali di Unis@und

A Campagna dal 1940 al 1943 fu attivo uno dei luoghi di internamento per soli ebrei più grandi del Sud, impossibile fare un conto preciso delle persone che in tre anni transitarono nei due ex conventi dell'Immacolata e di San Bartolomeo. Ebrei in prevalenza tedeschi e polacchi, apolidi e slavi. Per molti di loro Campagna era solo un luogo di smistamento per altri campi, come quelli più tristemente famosi del Nord Italia, anticamera dei forni crematori tedeschi. Per molti altri Campagna significò invece la salvezza, grazie al coraggio della popolazione e del vescovo Giuseppe Maria Palatucci. A questi uomini, a queste donne Gli Speciali di Unis@und "'38-'45: La memoria del male" dedica la puntata trasmessa dal Museo dello sbarco di Salerno, in via Generale Clark. Osputi della puntata; Marco Schaffer, figlio di Israel Schaffer; Anna Skall, figlia di Enrico Skall; Sandro Temin, vicepresidente della Comunità Ebraica di Napoli; Roberto Lughezzani, giornalista e autore del libro: "La lunga strada sconosciuta Vita di Enrico Skall"; Alberto Heinmler, docente della Scuola Superiore della PA e nipote di Eugenio Lipschitz; Marcello Naimoli, direttore del Museo della Memoria di Campagna, Vincenzo Salerno, presidente Nuova officina onlus. A Campagna e lavorò il vescovo Giovanni Maria Palatucci, zio del questore di Fiume Giovanni Palatucci, conosciuto come l'"Oscar Schindler irpino" per aver salvato oltre 5000 ebrei istriani dai lager nazisti. Scoperto dai nazisti fu prima allontanato e poi arrestato il 13 settembre 1944; il 22 ottobre dello stesso anno fu condotto nel campo di Dachau e ucciso dai nazisti a soli 36 anni il 10 febbraio 1945. Di Palatucci abbiamo parlato con Angelo Picariello, giornalista de "L'Avvenire" e autore del libro "Capuozzo, accontenta questo ragazzo". Consucono: Salvatore Tancovi, Gianpaolo D'Elia e Rita Di Simone.





 

lunedì 28 gennaio 2013

La storia delle sorelline Bucci scampate all'Olocausto

                                      
                                             
Le sorelline Andra e Tatiana, di 4 e sei anni, nella foto con il cuginetto Sergio, deportate a Birkenau da Fiume, si sono salvate perchè scambiate per gemelle. I tedeschi avevano un forte interesse per questo tipo di  esseri uguale per farne degli esperimenti.


 Le sorelle oggi

Fonte: Massafra Oggi
di Debora Piccolo

«28 Marzo 1944. Quella sera i tedeschi entrarono in casa, insieme al delatore che, per soldi, aveva fatto il nome della nostra famiglia. Noi bambini eravamo a letto. La mamma ci svegliò e ci vestì. Vedemmo la nonna in ginocchio, davanti ai soldati. Li pregava di risparmiare almeno noi».
Comincia così il viaggio nella memoria delle sorelle Andra e Tatiana Bucci, oggi settantenni, sopravvissute alla Shoa.

Di padre cattolico e di madre ebrea, provenienti da Fiume, in Croazia, Andra e Tatiana furono internate con la mamma Mira, la nonna, la zia e il cuginetto Sergio nel “Kinderblok” di Birkenau, dopo il transito alla risiera di San Sabba. Avevano rispettivamente 4 e 6 anni.
«Ci caricarono sul carro bestiame, tutti ammassati - raccontano -. Arrivati a Birkenau ci divisero in due file. La nonna e la zia vennero sistemate sull’altro lato, quello dei prigionieri destinati alla camera a gas. Ci portarono nella sauna, ci spogliarono, ci rivestirono con i loro abiti e ci marchiarono con un numero sull’avambraccio. Ci trasferirono nella baracca dei bambini e lì cominciò la nostra nuova vita nel campo. Giocavamo con la neve e con i sassi, mentre i grandi andavano a lavorare. Quando poteva, di nascosto, la mamma veniva a trovarci ricordandoci sempre i nostri nomi. Questa intuizione geniale ci fu di grande aiuto al momento della liberazione, molti non sapevano più il proprio nome. Un giorno la mamma non venne più e pensammo che fosse morta, ma non provammo dolore, la vita del campo ci aveva sottratto un pezzo d’infanzia, ma ci aveva dato la forza per sopravvivere. Ogni giorno vedevamo cumuli di morti nudi e bianchi. La donna che si occupava del nostro blocco con noi era gentile. Un giorno ci prese da parte e ci disse: “fra poco vi raduneranno e vi ordineranno: chi vuole rivedere sua mamma faccia un passo avanti… voi non vi muovete. Spiegammo a nostro cugino Sergio di fare la stessa cosa, ma lui non ci ascoltò. Da allora non lo rivedemmo mai più». Sergio aveva 7 anni, fu trasferito a Neuengamme vicino ad Amburgo, destinato a una morte atroce, usato come cavia per orribili esperimenti sulla tubercolosi nel campo del dottor Heissmeyer, agli ordini di Mengele, “l’angelo della morte”. «L’ ultimo ricordo di nostro cugino è il suo sorriso mentre ci salutava dal camion che lo portava via insieme agli altri 19 bambini, desiderosi di rivedere la mamma».

Vissero a Birkenau fino al 27 gennaio 1945, giorno della liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa. Dopo due anni passati in orfanatrofi e in case di riabilitazione per ebrei deportati tra Praga e l’Inghilterra, Andra e Tatiana, con l’aiuto del fato, si ricongiunsero al padre e alla madre, anch’ella miracolosamente scampata all’inferno del lager. Mentre la zia Gisella, fino alla sua morte, ha continuato a sperare nel ritorno di Sergio.

Dal giorno del ricongiungimento, stabiliti ormai a Trieste, abbiamo iniziato a vivere, ma nostra madre  - confessano – non ha mai voluto parlare della nostra storia». Una storia di crimini e di orrori, d’infanzia negata i cui ricordi, ancora oggi, ritornano nitidi.  «Chiudendo gli occhi si acuiscono i sensi – raccontano – rivediamo le fiamme e la cenere che uscivano dai camini notte e giorno e i cumuli di cadaveri, avvertiamo ancora la sensazione del grande freddo e l’odore nell’aria della carne bruciata. Le camere a gas e i forni crematori funzionavano di continuo».
«Oggi, andiamo nelle scuole a raccontare ai giovani la verità, affinché la nostra memoria continui attraverso voi».
Nei video, una lunga intervista  di Srgio Zavoli









Oscar Schindler


                                                        
                                                      
    OSCAR  SCHINDLER (cinematografico)


Oskar Schindler (Svitavy, 28 aprile 1908Hildesheim, 9 ottobre 1974) è stato un imprenditore tedesco, famoso per aver salvato, durante la Seconda guerra mondiale, circa 1.100 (secondo altri, come riportato sulla sua lapide, 1.200) ebrei dallo sterminio (Shoah), con il pretesto di impiegarli come personale necessario allo sforzo bellico presso la sua fabbrica di oggetti smaltati, la D.E.F. (Deutsche Emaillewaren-Fabrik), situata in via Lipowa n. 4, nel distretto industriale di Zablocie, a Cracovia.
L'eroica vicenda è pervenuta a noi grazie a un evento casuale: l'incontro tra lo scrittore australiano Thomas Keneally e Leopold Pfefferberg (Poldek), grande amico di Oskar. Keneally entrò nel negozio di Pfefferberg e così i due si conobbero. Raccontò la sua storia a Keneally il quale ne fu colpito e, stabiliti contatti con gli altri Schindlerjuden (gli «ebrei di Schindler»), scrisse il romanzo La lista di Schindler da cui, successivamente, è stato tratto il film Schindler's List (1993), diretto da Steven Spielberg











"Anna Frank". Il diario per non dimenticare


                                      

                                          

" È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo che puo' sempre emergere."
(Diario di Anna Frank)


Il Diario di Anna Frank è il racconto, (in lingua olandese), della vita di una ragazza ebrea di Amsterdam, costretta nel 1942 ad entrare nella clandestinità insieme alla famiglia per sfuggire alle persecuzioni e ai campi di sterminio nazisti. Nel diario da lei tenuto, Anna racconta la vita e le vicende di tutti i giorni, scrivendo le proprie impressioni sulle persone che vivono con lei.
Nell'agosto del 1944 i clandestini vennero scoperti e arrestati; furono condotti al campo di concentramento di Westerbork (lo stesso in cui era stata deportata Helga Deen, giovane studentessa autrice del diario Kamp Vught, poi uccisa nel 1943 assieme alla famiglia nel campo di sterminio di Sobibór); da qui le loro strade si divisero, ma ad eccezione del padre di Anna, tutti quanti morirono all'interno dei campi di sterminio nazisti. Anna morirà di tifo a Bergen-Belsen, campo di concentramento situato in Germania, nel marzo del 1945, insieme alla sorella Margot, dopo essere stata deportata nel settembre 1944 ad Auschwitz.
Alcuni amici di famiglia che avevano aiutato i clandestini riuscirono a salvare gli appunti scritti da Anna all'interno dell'alloggio segreto, consegnandoli poi al padre, che ne curò la pubblicazione avvenuta ad Amsterdam nel 1947, col titolo originale Het Achterhuis (Il retrocasa). Dopo un'accoglienza iniziale piuttosto fredda, a mano a mano che il pubblico veniva a conoscenza dei fatti della Shoah, il libro suscitò un vasto interesse ed ebbe svariate traduzioni e pubblicazioni (ad oggi è pubblicato in più di quaranta paesi) e rappresenta un'importante testimonianza delle violenze subite dagli ebrei durante l'occupazione del nazismo.
Il libro è stato anche oggetto di una riduzione teatrale e di una cinematografica, uscita nel 1959, nonché di un film di animazione nel 1999.
Nel 2009 l'UNESCO ha inserito il Diario di Anna Frank nell'Elenco delle Memorie del mondo.














giovedì 24 gennaio 2013

Due poesie simbolo per ricordare

                                            


                                          

La bambina dalle scarpette rosse
di Joyce Lussu





C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chissà di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti
non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole".


Joyce Lussu


                                                   

Se questo è un uomo

di Primo Levi

 

 

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

 




 

Per non dimenticare mai














27 Gennaio - giorno della memoria


                                       
 
 
 
Ass. Daltrocanto, Ass. Senza Periferie, Ass. Art.tre. ArciGay Salerno, ANED (Ass. Naz. Ex Deportati nei campi nazisti)
...
Presentano:
Dovere di memoria è diritto di futuro

25, 26 e 27 gennaio 2013
Mostra “I ragazzi ebrei di Villa Emma”
Bar G. Verdi, Piazza Matteo Luciani 28, Salerno

Istallazioni d’arte a cura di Luca Pastore
Caffé letterario Ipazia, Via Di Marino, Cava de’ Tirreni – SA

Istallazioni d’arte a cura di Maria Chiara Pisapia e Francesca Apicella
Capri Jazz Bar, Via Pastore 42, Battipaglia – SA

Spazio tematico dedicato alla deportazione
Libreria Guida, Corso Gaibaldi 142, Salerno

27 gennaio 2013, ore 18.00-21.00
Mostra “Disegni e poesie dei bambini di Terezin”
Spazio Ribush Ass. Art.Tre, Vicolo San Bonosio 7, Salerno

Con la legge 211 del 2000 che istituisce il Giorno della Memoria la Repubblica italiana ha riconosciuto il ricordo della tragedia della deportazione come parte integrante della coscienza civile del nostro Paese.
Ma non altrettanto si è radicato, purtroppo, nel comune sentire di tutti gli Italiani, i quali avvertono questi eventi per lo più come estranei alla loro vita reale o legati a un ambito esclusivamente scolastico e di studio.
Conoscere la storia, la genesi, lo sviluppo, i meccanismi e le drammatiche conseguenze di quel progetto politico nazifascista, la cui logica di feroce annientamento ha distrutto prima la dignità e poi la vita di milioni di persone, è fondamentale non solo per comprendere correttamente il passato ma soprattutto per costruire un futuro di liberi e uguali nel rispetto di tutte le differenze.
Ma la vera conoscenza è mossa sempre da uno stimolo personale all’approfondimento, a qualunque età e qualsivoglia condizione sociale.
Il senso dell’iniziativa è proprio questo: portare un “segno di memoria” a chi difficilmente entrerebbe in contatto con un tema così complesso e impegnativo, sollecitandone la sana curiosità e affermando nel contempo che il Giorno della Memoria, al di là di mere celebrazioni spesso fini a se stesse, può e deve vivere in tutti i luoghi dove vive e si ritrova la gente, anche al di fuori di musei e di spazi più o meno convenzionalmente deputati.
info@daltrocantoweb.org fb: evento Dovere di Memoria è diritto di futuro
338 6908756
Dovere di memoria è diritto di fuuro (4 foto)
Mostra "I ragazzi ebrei di Villa Emma" al Bar G. Verdi, Piazza Matteo Luciani 28, Salerno
 


 

Attraverso lo sceneggiato televisivo ho letto in seguito Théophile Gautier

Attraverso lo sceneggiato televisivo ho letto in seguito Théophile Gautier

Ma se i cani non vi picciono perchè ve li prendete?



Fonte: All 4 Animals

Natalina tenuta in una gabbia per uccelli.

È assai probabile che la piccola Natalina abbia trascorso tutta la sua vita rinchiusa in una gabbia per volatili che ha finito con l’accartocciarle il corpo.
È questa la conclusione alla quale sono giunti i suoi soccorritori, i volontari dell’associazione Legalo Al Cuore Onlus, intervenuti ad una fermata dell’autobus di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, su segnalazione di alcuni cittadini.
Natalina era stata abbandonata lì, con il suo corpo troppo debole per consentirle una posizione normale, le membra ripiegate su se stesse, il capo chino e gli occhi tristi.
Gli stessi segnalatori avevano riferito agli attivisti che l’animale abbandonato era “strano”.
Natalina non è “strana”. È un cucciolo di segugio di cinque mesi di età che, per tutta la sua breve esistenza, è stato sottoposto ad una violenza e ad un’incuria senza precedenti: ci sono pochi dubbi che la reclusione perpetua in una microscopica gabbia abbia ridotto il suo corpo nello stato in cui si trova.
Dopo l’emergenza iniziale, durante la quale i volontari temevano che la cucciola non potesse sopravvivere, le condizioni di Natalina (così ribattezzata perché soccorsa durante le festività natalizie) sono lentamente migliorate e con esse anche la postura. Non si muove come un cane qualunque e fatica enormemente a sedersi, ma è un passo avanti.

A Natalina è stato diagnosticato lo schiacciamento delle vertebre e malformazioni ossee.
Oltre che della reclusione in un luogo particolarmente angusto, la cagnolina è stata vittima anche della fame e, infatti, è stata ritrovata in condizioni di denutrizione. Ad oggi, nonostante il miglioramento delle sue condizioni generali, la situazione non è ancora così stabile da poter definire il cane come fuori pericolo. La piccola, tra le altre cose, deambula caricando il peso sui polsi.
C’è però la speranza che la giovane età e la risoluzione dei danni più gravi possano portarla, piano piano e con le cure adeguate, ad avere una vita normale e, in futuro, a trovare una famiglia che la ami e la tratti con rispetto.
Ci sono invece poche probabilità di individuare chiunque l’abbia prima ridotta in quello stato e poi (fortunatamente) abbandonata. Nel caso di Natalina, l’abbandono è stato quasi una benedizione. Diversamente, non avrebbe avuto la benché minima chance di sopravvivere