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lunedì 30 settembre 2013

Prima Nazionale al teatro del Giullare di Salerno con Gli Altri Fantasmi” di Maurizio de Giovanni. Regia Brunella Caputo.


Fonte :www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Il 5 ottobre prossimo, il  Piccolo Teatro del Giullare di Salerno, Via Incagliati 2,  darà inizio  alla stagione teatrale 2013-2014 con una Prima Nazionale  “Gli altri fantasmi” di Maurizio de Giovanni, per la regia della bravissima Brunella Caputo che ha dato la sua chiave di lettura al testo integrale dell’autore  napoletano che tanto successo  ha ottenuto ed ottiene con i suoi noir d’introspezione. Le sue trame, infatti, non sono intessute da  uccisioni efferate o schizzi di sangue, consuetudine di gialli della tradizione, ma  personaggi che si muovono all’interno della loro stessa anima, del loro vissuto particolare, quasi gente normale, a cominciare dal tormentato commissario Ricciardi.

Nelle note di regia  della stessa Brunella Caputo si legge: “   Vi racconteremo una storia, con protagoniste altre storie. Una storia di uomini e donne, forse anime. Si muovono inconsapevoli e persi nel caos di una "triste città urlante". Raccontano la loro vita, o forse solo un loro sogno.

Raccontano. La luce del ricordo li obbliga a raccontare. O forse è la luce della ragione, o solo una volontà superiore. Respirano a fatica nel loro ricordo, nel loro racconto, nella loro triste verità. La verità li ucciderà? Sono già morti? Non sappiamo. E se l'anima non muore? Possiamo "raccontare, solo raccontare". Ed è quello che faremo, racconteremo una storia ancora, e ancora, e ancora...”

Uno spettacolo intrigante da non perdere, come tutta la programmazione  del Piccolo Teatro.

“Gli altri fantasmi” sarà in cartellone  dal 5  al 27 ottobre  ( i sabati alle ore 21,00 e le domeniche alle ore 18,30)

In occasione delle repliche de "Gli altri fantasmi", al Teatro del Giullare dal 5 al 27 ottobre, presentando il biglietto dello spettacolo alla Feltrinelli di corso V. Emanuele è riservato il 10% di sconto su tutti i libri dell’autore

Maria Serritiello

Il Cast
Con:
Cinzia Ugatti
Caterina Micoloni
Augusto Landi
Michele Landi (voce fuori campo)
Rocco Giannattasio
Mimma Virtuoso
Teresa di Florio
Andrea Bloise

Luci e musiche Virna Prescenzo
Selezione musicale Brunella Caputo e Virna Prescenzo
Registrazioni Alfredo Micoloni
Scenografia Michele Paolillo
Coreografie Virna Prescenzo

Biglietto 10 euro
Info e Prenotazioni: 3347686331 / / 089 220261
compagniadelgiullare@hotmail.it








domenica 29 settembre 2013

Due caimani e due bande di camerieri




Fonte: la Repubblica
di Eugenio Scalfari



Il Caimano. Debbo dire che Moretti aveva capito prima e meglio di tutti chi fosse il personaggio Silvio Berlusconi. E lo capì altrettanto bene Roberto Benigni scrivendo su di lui una ballata citata ieri sul nostro giornale da Gianluigi Pellegrino: "Io compro tutto dall'A alla Z / ma quanto costa questo c... di pianeta. / Lo compro io. Lo voglio adesso. / Poi compro Dio, sarebbe a dir compro me stesso".


Quanto a me, poiché siamo in tema di ricordi, in un articolo del 1992 scrissi e titolai: "Mackie Messer ha il coltello ma vedere non lo fa". E poi D'Avanzo e la "dismisura" del Capo e proprietario di Forza Italia denunciata da Ezio Mauro come una sorta di lebbra che infetta e uccide la nostra democrazia. 



Per dire chi è il Caimano la vena satirica e il giornalismo vedono talvolta più lontano della politica. La magistratura che ha il potere di controllo sulla legalità, è più lenta ma poi, quando arriva all'accertamento della verità, le sue sentenze definitive non consentono salvacondotti di sorta, il Caimano e il Mackie Messer di turno finiscono, come è giusto, in galera. Salvo difendersi con l'eversione.



Le dimissioni di tutti i deputati e i senatori del Pdl, chieste ed anzi imposte da Berlusconi e raccolte dai capigruppo Brunetta e Schifani, sono eversione vera e propria e così l'ha definita il presidente della Repubblica.



Non sono in nessun caso paragonabili all'Aventino messo in atto novant'anni fa dai deputati antifascisti. Loro avevano quella sola risposta possibile contro il regime dittatoriale che aveva calpestato e distrutto la democrazia; questi di oggi hanno la democrazia nel mirino e sperano che con questa trovata possano travolgere lo Stato di diritto che è la base sulla quale la democrazia si fonda.



Questo è l'obiettivo principale che il Caimano e i suoi sudditi ci propongono. Un obiettivo però difficilmente raggiungibile per due ragioni. La prima è procedurale: le assemblee parlamentari non possono funzionare se per qualche ragione viene a mancare non occasionalmente ma in permanenza il numero legale. Ma le dimissioni dei parlamentari del Pdl non incidono sul numero legale. Alla Camera il Pd da solo ha la maggioranza assoluta; in Senato la maggioranza è di 161 membri mentre i senatori del Pdl, della Lega e degli altri loro alleati raggiungono i 117. Quindi il Parlamento può continuare a funzionare.



Ma c'è un secondo elemento non procedurale ma politico: una parte dei sudditi forse non è più disposta sopportare la sudditanza quando essa sconfina nell'eversione. Qualche segnale in questo senso c'è. Forse si aprirà qualche faglia nel Pdl che potrebbe innescare una vera e propria implosione. Si tratta di problemi di coscienza e di coraggio. Non ci metterei la mano sul fuoco per affermare che avverranno ma certo il tempo per verificarlo è molto breve.



L'altro bersaglio del Caimano è quello di abbattere il governo Letta o - peggio - di lasciarlo in vita paralizzato e logoro ogni giorno di più come già è stato tentato con qualche successo nei mesi scorsi e come si è platealmente verificato nella seduta del Consiglio dei ministri di venerdì, portando Letta alla conclusione di spezzare questo circuito nefasto e presentarsi alle Camere chiedendo la fiducia su un programma concreto e vincolante per tutti i parlamentari di buona volontà, quale che ne sia il colore e la provenienza. 



Il Capo dello Stato è d'accordo su questo percorso, ricordando che i primi adempimenti con tempistica obbligatoria debbono essere la riforma elettorale che modifichi il "porcellum" in modo adeguato abolendo i suoi aspetti chiaramente anticostituzionali e l'approvazione della legge finanziaria senza di che il primo gennaio andrebbe in vigore l'esercizio provvisorio con la conseguenza di portare al fallimento la nostra finanza pubblica e al suo commissariamento da parte dell'Unione europea, della Banca centrale e del Fondo monetario internazionale.



A questa catastrofe che peserebbe sulle spalle di tutti gli italiani il Caimano e quelli che gli danno man forte ci possono arrivare e vogliono arrivarci. Il paese e gli elettori dovrebbero risvegliarsi e farsi sentire. Capiranno? Lo faranno? O una parte rilevante di loro mangerà ancora una volta la minestra avvelenata della demagogia? Sarebbe la sesta volta in diciannove anni di berlusconismo. Il pericolo è questo.


Enrico Letta si presenterà alle Camere domani e dopo domani (meglio prima che dopo) con un programma concreto delle cose da fare.

Le prime due (riforma elettorale e approvazione delle legge finanziaria) le abbiamo già dette. Ma il contenuto di quest'ultima sarà aggiornato e integrato da decreti che tengano conto degli impegni già indicati cinque mesi fa, sui quali allora il governo ottenne l'ampia fiducia del Parlamento. Fermi restano quelli presi con l'Europa di mantenere il deficit sotto la soglia del 3 per cento per evitare la ripresa della procedura di infrazione da parte dell'Ue, tutti gli altri sono dedicati alla crescita, agli sgravi delle imposte che pesano sui lavoratori e sulle imprese e sulle relative coperture finanziarie, credibili e non inventate.
La cifra totale delle risorse che è necessario reperire oscilla tra i 5,5 e i 7 miliardi, necessari soprattutto per evitare l'aumento dell'Iva, incentivare l'industria e i lavoratori e aumentare entro quest'anno il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione creando in tal modo una liquidità preziosa per le imprese e per le banche.

Un programma al quale hanno lavorato nelle scorse settimane lo stesso Letta e Saccomanni. Ma il Caimano ha fiutato il pericolo ed ha emesso ieri pomeriggio un ultimatum rivolto questa volta ai suoi ministri: debbono dimettersi immediatamente perché l'aumento dell'Iva ci sarà. Doveva essere impedito dal Consiglio dei ministri di ieri, ma sono proprio i suoi ministri ad aver congelato quel Consiglio impedendo che prendesse qualunque deliberazione. Adesso il Caimano, sfoderando l'ennesima bugia, rovescia le responsabilità per mandare all'aria il governo prima ancora che si presenti alle Camere.

Resta ora da vedere se i suoi ministri si piegheranno all'ultimo ordine del boss. Tutti o solo alcuni? Tutti, capitanati da Alfano. Non ministri, ma camerieri che antepongono gli ordini del padrone agli interessi del paese.

Così l'Iva aumenta, la seconda rata dell'Imu dovrà esser pagata, le erogazioni destinate a pagare i debiti dell'amministrazione saranno bloccate e lo "spread" tornerà irrimediabilmente a salire. Il tutto senza curarsi dello sfascio del paese pur d'allontanare l'applicazione d'una sentenza che punisce un congenito evasore fiscale e creatore di fondi neri destinati alla corruzione.

Ci auguriamo che Letta vada fino in fondo e attendiamo anche di vedere come si comporteranno in questo caso Vendola e la sinistra che guarda le stelle (cinque che siano) e metta invece finalmente i piedi per terra.
Quanto a Grillo sappiamo che cosa vuole perché lo dichiara un giorno sì e l'altro pure. Può sembrare strano, ma vuole le stesse cose di Berlusconi: la caduta del governo, le elezioni anticipate col "porcellum", le dimissioni di Napolitano e un governo di grillini e di chi la pensa come loro (Berlusconi?) per una politica che si disimpegni dall'Europa e dall'euro e spenda e spanda per far contenti gli italiani.

Ma in che modo li farà contenti? Il risultato sarà lo sfascio totale, peggio della Grecia che comunque dall'Europa e dall'euro non è uscita e non vuole uscire.

La Grecia è irrilevante per l'equilibrio europeo; l'Italia no. Il fallimento dello Stato italiano, una democrazia etero-diretta da due caimani, una spesa pubblica alle stelle (molto più di cinque) e i mercati all'assalto del nostro debito, del tasso di interesse e di quello dell'inflazione, sarebbe più d'una catastrofe. Finiremmo come il Mali o il Kazakistan o la Somalia, nelle mani di due bande dominate da due irresponsabili.

Questa è la posta in gioco e ormai è questione di giorni.












sabato 28 settembre 2013

Crisi di governo




FONTE:Blogo

Crisi di governo: chi sono i 5 ministri del Pdl dimessi


Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo. Ecco gli esponenti dell'esecutivo Letta che hanno rassegnato le dimissioni. E' crisi di governo extraparlamentare.

La crisi di governo si è aperta dopo l’annuncio di Angelino Alfano che i ministri del Pdl avevano rassegnato le loro dimissioni da ogni incarico governativo. L’annuncio di Alfano è stato dato per il suo ruolo di segretario del Pdl, ma non passa in secondo piano il fatto che l’ex delfino del Cavaliere è anchevicepresidente del Consiglio e ministro degli Interni. Uno dei cinque ministri Pdl che si sono dimessi. Ecco il loro profilo.
Angelino Alfano (vicepremier e ministro degli Interni). Siciliano di Agrigento, classe 1970, era il delfino designato da Silvio Berlusconi per prendere le redini del partito in quel periodo, che oggi sembra lontano anni luce, in cui il Cavaliere sembrava volersi ritirare. Il suo ruolo nel governo Letta era, politicamente, quello di collante tra il governo e il leader del Pdl. Un ruolo che in questi mesi ha svolto, nonostante le tante fibrillazioni, stringendo anche un buon rapporto con il premier Enrico Letta. Nonostante tutto questo, ha subito reagito alla richiesta di Berlusconi di chiedere le dimissioni dei ministri. Nella Forza Italia che sarà, però, non sembra destinato ad avere un ruolo di primo piano.
Gaetano Quagliariello (ministro per le Riforme costituzionali). Nato a Napoli il 23 aprile 1960, senatore dal 2006, un passato nei Radicali, Quagliariello è considerato uno dei “costituzionalisti” del Pdl, ragion per cui è stato inserito nei 40 a cui è stato dato l’incarico di riformare la Costituzione. Considerata una “colomba governativa”, era decisamente il ministro più recalcitrante a mollare gli ormeggi dell’esecutivo Letta. Per il momento sembra aver seguito il gruppo senza protestare, ma è da lui - oltre che da Cicchitto - che ci si possono attendere mosse a sorpresa.
Nunzia De Girolamo (ministro dell’Agricoltura). De Girolamo, nata a Benevento il 10 ottobre del 1975 e laureata in Giurisprudenza, incarnava in un certo senso lo spirito bipartisan di questo governo di larghe intese, non fosse altro per il suo essere sposata con il deputato del Partito Democratico Francesco Boccia. Al di là del gossip, il ministro (o ex ministro) è una fedelissima berlusconiana la cui fedeltà al capo non si può certo mettere in discussione.
Maurizio Lupi (ministro alle Infrastrutture e trasporti). Esponente di punta di Cl, Maurizio Lupi è nato a Milano il 3 ottobre 1959, città in cui ancora vive, si è laureato nel 1984 alla Facoltà di Scienze Politiche ad indirizzo economico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è sposato e ha tre figli. Anche lui berlusconiano di provata fedeltà e tra gli esponenti Pdl più presenti in televisione, non poteva che seguire il gruppo senza tentennamenti.
Beatrice Lorenzin (ministro della Salute). Classe 1971, romana, è il ministro Pdl meno noto (nonostante anche lei non disdegni qualche apparizione nei talk show). Nel 2013 è inizialmente proposta come candidata alla presidenza della Regione Lazio, ma, in seguito, lascia il posto a Francesco Storace, già presidente della regione Lazio dal 2000 al 2005. Alle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 viene riconfermata alla Camera dei Deputati nelle liste del PDL.

peccate, povero guaglione...







 





Le 4 giornate di Napoli



Fonte Vikipedia

 ""Dopo Napoli la parola d'ordine dell'insurrezione finale acquistò un senso e un valore e fu allora la direttiva di marcia per la parte più audace della Resistenza italiana""
(Luigi Longo, Un Popolo alla macchia, Editori Riuniti, Roma, 1974,, pag. 102)

Le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) furono un episodio storico di insurrezione popolare avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale tramite il quale, i civili, con l'apporto di militari fedeli al cosiddetto Regno del Sud, riuscirono a liberare la città partenopea dall'occupazione delle forze armate tedesche.

L'avvenimento, che valse alla città di Napoli il conferimento della medaglia d'oro al valor militare, consentì alle forze alleate di trovare al loro arrivo, il 1º ottobre 1943, una città già libera dall'occupazione nazista, grazie al coraggio e all'eroismo dei suoi abitanti ormai esasperati ed allo stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima, tra le grandi città europee, ad insorgere con successo contro l'occupazione nazista

Antefatto storico

Per tutto il primo quadriennio di guerra 1940-1943, Napoli fu sottoposta a durissimi bombardamenti da parte delle forze alleate, che causarono ingenti perdite in termini di vite umane anche tra la popolazione civile. Si calcola che oltre 25.000 furono le vittime di questi attacchi indiscriminati alla città, per non menzionare i danni ingentissimi al patrimonio artistico e culturale (il 4 dicembre 1942 fu semi-distrutta la Basilica di Santa Chiara, mentre solo nel bombardamento del 4 agosto 1943 perirono oltre 3.000 persone; circa 600 morti e 3.000 feriti si ebbero invece per lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto, il 28 marzo 1943)[3][4].
Con l'avanzata degli alleati nell'Italia meridionale, gli esponenti dell'antifascismo partenopeo (tra cui Fausto Nicolini e Adolfo Omodeo), iniziarono a stabilire più stretti contatti con i comandi alleati richiedendo la liberazione della città.
A partire dall'8 settembre 1943, giorno dell'entrata in vigore dell'Armistizio di Cassibile con la lettura alla radio da parte del Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio del suo famoso "proclama", le forze armate italiane, come in tutto il paese, a causa della mancanza di ordini dei comandi militari si trovarono allo sbando anche a Napoli.
In città la situazione, già difficile per i bombardamenti subiti e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20.000 tedeschi a fronte di soli 5.000 italiani, in tutta la Campania), ben presto divenne caotica per la diserzione di molti alti ufficiali, incapaci di assumere iniziative se non addirittura conniventi con i nazisti, cui seguì lo sbando delle truppe, incapaci a loro volta di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche.
In particolare ci fu la fuga, in abiti borghesi, dei Generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, cui era affidata la responsabilità militare della provincia di Napoli. Gli ultimi atti di Ettore Del Tetto furono proprio la consegna della città all'esercito tedesco e la stesura di un manifesto che, vietando gli assembramenti, autorizzava i militi a sparare sulla folla in caso di inadempienza.
Sporadici ma cruenti tentativi di resistenza si ebbero tuttavia alla Caserma Zanzur, alla Caserma dei Carabinieri Pastrengo ed al 21º Centro di Avvistamento di Castel dell'Ovo.

Sin dai giorni immediatamente seguenti l'Armistizio di Cassibile, in città si andarono intensificando gli episodi di intolleranza e di resistenza verso l'occupante nazista e le azioni armate, più o meno organizzate, fecero seguito alle manifestazioni studentesche del 1º settembre 1943 in piazza del Plebiscito ed alle prime assemblee nel Liceo Classico Sannazaro al Vomero.
Il 9 settembre verso le ore 16, in via Foria soldati e agenti di pubblica sicurezza catturarono una ventina di soldati tedeschi a bordo di autoblindo. Nazisti e autoblindo saranno liberati più tardi, per ordine del comando militare italiano. Gli agenti di pubblica sicurezza verranno addirittura legati alle colonne della caserma Bianchini per punizione.
Il 9 settembre 1943 alcuni cittadini si scontrarono con le truppe tedesche al Palazzo dei Telefoni, mettendole in fuga, e in via Santa Brigida. Quest'ultimo episodio vide coinvolto un carabiniere che fu costretto a sparare per difendere un negozio dal tentato saccheggio da parte di alcuni soldati.
Il 10 settembre 1943, tra piazza del Plebiscito e i giardini sottostanti, avvenne il primo scontro cruento, con i napoletani che riuscirono ad impedire il transito di alcuni automezzi tedeschi; nei combattimenti morirono 3 marinai e 3 soldati tedeschi. Gli occupanti ottennero la liberazione di alcuni uomini fatti prigionieri dagli insorti anche grazie all'ingiunzione di un ufficiale italiano che intimò ai suoi compatrioti la riconsegna degli ostaggi e di tutte le armi. La rappresaglia per gli scontri di piazza del Plebiscito non tardò ad arrivare: i nazisti, infatti, appiccarono un incendio alla Biblioteca Nazionale ed aprirono il fuoco sulla folla intervenuta.
Il 12 settembre 1943 furono uccisi decine di militari per le strade della città, mentre circa 4.000 persone tra militari e civili furono deportate per il "lavoro obbligatorio".

Lo stato d'assedio [modifica | modifica sorgente]

Lo stesso giorno, il colonnello Walter Schöll, assunto il comando delle forze armate occupanti in città, (con il documento qui allegato in foto) proclamò il coprifuoco e dichiarò lo stato d'assedio con l'ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso.
Seguì altro proclama, apparso sui muri della città, la mattina di lunedì 13 settembre:
« 1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d'assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche.
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.
Napoli, 12 settembre 1943 firmato Schöll Colonnello »
Lapide all'ingresso del Palazzo della Borsa che ricorda l'uccisione di quattro marinai e finanzieri, il 12 settembre 1943, ad opera di soldati tedeschi
Dopo la fucilazione di 8 prigionieri di guerra avvenuta in via Cesario Console e gli spari di un carro armato contro gli studenti (che stavano iniziando a riunirsi nella vicina Università[5]) e contro alcuni marinai e finanzieri italiani in piazza Bovio, davanti al palazzo della Borsa[6], vi fu un episodio che scosse particolarmente il sentimento popolare: sulle scale della sede centrale dell'Università avvenne l'esecuzione di un giovane marinaio, cui migliaia di cittadini furono costretti ad assistere dalle truppe tedesche che a forza li condussero sul Rettifilo, la strada antistante il luogo della fucilazione.
500 persone, lo stesso giorno furono parimenti condotte con la forza a Teverola, nel Casertano, e costrette ad assistere alla fucilazione di 14 carabinieri, "rei" di aver resistito con le armi prima di arrendersi all'occupante nazista. A loro memoria è posta una lapide in via Marchese Campodisola, a pochissimi passi da piazza Bovio.

Le premesse dell'insurrezione

Uno «scugnizzo» armato; anche persone molto giovani, come ragazzi o bambini, presero parte all'insurrezione
Ormai la rabbia e l'esasperazione dei napoletani, in seguito alle esecuzioni indiscriminate, ai saccheggi, ai rastrellamenti della popolazione civile, alla miseria e alle distruzioni della guerra che mettevano in ginocchio la città intera, stava montando spontanea, priva di un fattore esterno organizzativo che non fosse altro che il desiderio di liberarsi dell'invasore tedesco.
Si cominciò a pensare all'approvvigionamento delle armi: il 22 settembre gli abitanti del Vomero riuscirono ad impadronirsi di quelle che erano appartenute alla 107ª Batteria; il 25 settembre 250 moschetti furono prelevati da una scuola; il 27 settembre caddero nelle mani degli insorti alcuni depositi di armi e munizioni.

Il 23 settembre intanto, una nuova misura repressiva adottata dal colonnello Walter Schöll prevedeva lo sgombero (entro le ore 20 dello stesso giorno) di tutta la fascia costiera cittadina sino ad una distanza di 300 metri dal mare; in pratica circa 240.000 cittadini furono costretti ad abbandonare in poche ore le proprie case per consentire la creazione di una "zona militare di sicurezza" che sembrava preludere alla distruzione del porto.

Quasi contemporaneamente, un manifesto del prefetto intimava la chiamata al servizio di lavoro obbligatorio per tutti i maschi di età compresa fra i diciotto e i trentatré anni, in pratica una deportazione forzata nei campi di lavoro in Germania.

Il risultato sperato dai nazisti non fu però ottenuto e alla chiamata risposero soltanto 150 napoletani sui previsti 30.000, il che determinò Walter Schöll a decidere di inviare ronde militari per la città per i rastrellamenti e la fucilazione immediata degli inadempienti. Fu affisso in città un nuovo proclama del Comando Militare Germanico.
« Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno risposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone.
Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano.
Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati.
Il Comandante di Napoli, Scholl »

L'insurrezione popolare fu allora inevitabile, i cittadini furono chiamati a scegliere tra la sopravvivenza e la morte o la deportazione forzata in Germania ed ormai, spontaneamente in ogni punto della città, persone di ogni ceto sociale e di ogni occupazione, andavano riversandosi nelle strade per organizzarsi ed imbracciare le armi. Si unirono a loro anche molti dei soldati italiani che solo pochi giorni prima si erano dovuti dare alla macchia. Già dal 26 settembre una folla disarmata e urlante si scatenò contro i rastrellamenti nazisti, liberando i giovani destinati alla deportazione.

27 settembre 

Il 27 settembre, dopo un'ampia retata dei tedeschi che catturarono in vari punti della città circa 8.000 uomini, 400, forse 500 uomini armati aprirono i combattimenti.
Una delle prime scintille della lotta scoppiò al quartiere Vomero dove, in località Pagliarone, un gruppo di persone armate fermò un'automobile tedesca uccidendo il maresciallo che era alla guida.
Durante l'intera giornata, aspri combattimenti si susseguirono in diverse zone della città tra gli insorti e i soldati tedeschi che ormai stavano per iniziare le operazioni di sgombero, anche per le notizie (poi rivelatesi false) riguardo ad un imminente sbarco alleato a Bagnoli.
Un tenente del regio esercito italianoEnzo Stimolo, dopo essersi posto a capo di un gruppo di 200 insorti, si distinse particolarmente nell'operazione di assalto all'armeria del Castel Sant'Elmo, che cadde soltanto in serata, non senza spargimento di sangue; i tedeschi infatti, asserragliati, tra l'altro sia all'interno della Villa Floridiana sia al Campo Sportivo del Littorio (nel cuore del Vomero), intervennero in forze a dar battaglia.
Un gruppo di cittadini si diresse nelle stesse ore verso il Bosco di Capodimonte dove, secondo alcune voci che giravano in città, i tedeschi stavano conducendo a morte alcuni prigionieri. Fu messo a punto un piano per impedire ad un gruppo di guastatori tedeschi di minare il ponte della Sanità per l'interruzione dei collegamenti con il centro della città, cosa che fu realizzata con successo il giorno successivo ad opera di un drappello di marinai.
In serata, venivano assaltati e depredati i depositi d'armi delle caserme di via Foria e di via Carbonara.

28 settembre 

Il 28 settembre, andando ad aumentare con il passare delle ore il numero dei cittadini napoletani che si univano ai primi combattenti, gli scontri si intensificarono; nel quartiere Materdei una pattuglia tedesca, rifugiatasi in un'abitazione civile, fu circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all'arrivo dei rinforzi: alla fine 3 Napoletani persero la vita.
Porta Capuana un gruppo di 40 uomini si insediò, con fucili e mitragliatori, in una sorta di posto di blocco, uccidendo 6 soldati nemici e catturandone altri 4, mentre combattimenti si avviarono in altri punti della città come al Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto.
I tedeschi procedettero ad altre retate, questa volta al Vomero, ammassando numerosi prigionieri all'interno del Campo Sportivo del Littorio, cosa che scatenò la reazione degli uomini di Enzo Stimolo, che diedero l'assalto al campo sportivo, determinando, dopo aver dovuto fronteggiare un'iniziale reazione armata, la liberazione dei prigionieri, il giorno successivo.

29 settembre 

   
Distruzioni in città
Al terzo giorno di feroci scontri per le vie di Napoli, l'organizzazione dell'insurrezione rimaneva ancora lasciata ai singoli capipopolo di quartiere, mancando del tutto i contatti con le forze strutturate dell'antifascismo come il Fronte Nazionale (diretta emanazione del CLN).
Andavano intanto emergendo figure locali che assunsero il comando delle operazioni nei vari quartieri della città, come il Prof. Antonio Tarsia in Curia (Vomero), il tenente colonnello Ermete Bonomi (Materdei), il capitano Carmine Musella (Avvocata), Carlo Bianco, medico Aurelio Spoto(Capodimonte), il capitano Stefano Fadda (Chiaia), il capitano Francesco Cibarelli, Amedeo Manzo, Francesco Bilardo (Duomo), Gennaro Zenga (Corso Garibaldi), il Magg. Francesco Amicarelli (Piazza Mazzini), il Cap. Mario Orbitello (Montecalvario), il Magg. Salvatore Amato (Museo), il Ten. Alberto Agresti (Via Caracciolo, Posillipo), Raffaele Viglione (Via Sant'Anastasio) e l'Imp. Tito Murolo (Vasto); mentre tra i giovani si distinse Adolfo Pansini[7], studente del liceo vomerese  Sannazaro.
Nella Piazza Giuseppe Mazzini, presso l'edificio Scolastico "Vincenzo Cuoco", i tedeschi attaccarono in forze con i carri armati (i Panzer "Tigre") e non più di 50 ribelli tentarono strenuamente di opporsi ma dovettero subire il pesante bilancio di 12 morti e più di 15 feriti.
Anche il quartiere operaio di Ponticelli subì un pesante cannoneggiamento, in seguito al quale le truppe tedesche procedettero ad eccidi indiscriminati della popolazione penetrando sin dentro le abitazioni civili. Altri combattimenti si ebbero nei pressi dell'aeroporto di Capodichino e di Piazza Ottocalli, dove morirono 3 avieri italiani.
Nelle stesse ore, presso il quartier generale tedesco al corso Vittorio Emanuele (tra l'altro ripetutamente attaccato dagli insorti) avvenne la trattativa tra il Col. Walter Schöll e il Ten. Enzo Stimolo per la riconsegna dei prigionieri del Campo Sportivo del Littorio; Walter Schöll ottenne di aver libero il passaggio per uscire da Napoli, in cambio del rilascio degli ostaggi che ancora erano prigionieri al campo sportivo. Per la prima volta in Europa i tedeschi trattavano alla pari con degli insorti civili.

30 settembre

Mentre le truppe tedesche avevano già iniziato lo sgombero della città per il sopraggiungere delle forze anglo-americane provenienti da Nocera Inferiore, in città il professor Antonio Tarsia in Curia si autoproclamò, presso il Liceo "Jacopo Sannazaro", capo dei ribelli assumendo pieni poteri civili e militari ed impartendo, tra l'altro, precise disposizioni circa l'orario di apertura degli esercizi commerciali e la disciplina.
Tuttavia i combattimenti non cessarono e i cannoni tedeschi che presidiavano le alture di Capodimonte colpirono per tutta la giornata la zona tra Port'Alba e Materdei. Altri combattimenti si ebbero ancora nella zona di Porta Capuana.
Gli invasori in rotta lasciarono dietro di loro incendi e stragi; clamoroso fu il caso dei fondi dell'Archivio di Stato di Napoli, che furono dati alle fiamme per ritorsione nella villa Montesano di San Paolo Belsito, dove erano stati nascosti, con incalcolabili danni al patrimonio storico e artistico, e la perdita degli originali membranacei della Cancelleria Angioina].

Napoli è libera

   
Festeggiamenti dopo la liberazione della città
Il 1º ottobre alle 9:30 i primi carri armati alleati entrarono in città, mentre alla fine della stessa giornata, il comando tedesco in Italia, per bocca del maresciallo Albert Kesselring, considerò conclusa la ritirata con successo.
Il bilancio dei tremendi scontri delle "Quattro Giornate di Napoli" non è concorde nelle cifre; secondo alcuni autori, nelle settantasei ore di combattimenti, morirono 168 partigiani e 159 inermi cittadini; secondo la Commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155 ma dai registri del Cimitero di Poggioreale risulterebbero 562 morti.
È da notare che la gran parte dei combattimenti si ebbero esclusivamente tra italiani e tedeschi. A differenza di altri episodi della Resistenza furono infatti relativamente rari gli scontri con fascisti italiani, che probabilmente non avevano avuto il tempo di riorganizzarsi efficacemente dopo l'8 settembre (ricordiamo infatti che la Repubblica Sociale Italiana fu proclamata il 23 settembre, ovvero solo quattro giorni prima dello scoppio della rivolta).
Facendo un bilancio, oltre l'importantissimo risultato morale e politico dell'insurrezione, le "Quattro Giornate di Napoli" ebbero senz'altro il merito di impedire che i tedeschi potessero organizzare una resistenza in città o che, come Adolf Hitler aveva chiesto, Napoli fosse ridotta «in cenere e fango» prima della ritirata. Parimenti fu evitato che il piano di deportazione di massa organizzato dal Colonnello Schöll avesse successo. Nel breve periodo di occupazione tedesca, ci saranno circa 4000 deportati. A ciò si giunse non soltanto grazie ai 1.589 combattenti ufficialmente riconosciuti, ma anche per la resistenza civile e non violenta di tanti napoletani, fra cui preti e giovani operaie, «scugnizzi» e professori, medici e vigili del fuoco, «goliardi» e disoccupati.

Circa un anno dopo, il 22 dicembre del 1944, i generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, che avevano abbandonato la città nelle mani dei tedeschi all'indomani dell'8 settembre, furono condannati dall'Alta Corte di Giustizia a 20 anni di reclusione militare, condanna in seguito ridotta per condoni e provvedimenti di grazia. Anche l'avvocato Domenico Tilena, che aveva retto la federazione fascista provinciale durante gli scontri, fu condannato a 6 anni e 8 mesi




Aveva 83 anni, lo scrittore Carlo Catellaneta



Fonte :Wikipedia

Carlo Castellaneta (Milano, 8 febbraio 1930Palmanova, 28 settembre 2013) è stato uno scrittore italiano

Nato da padre pugliese e madre milanese, primo di quattro fratelli, inizia giovanissimo a lavorare, prima in una galleria d'arte poi alla Arnoldo Mondadori Editore come correttore di bozze. Nel 1958 Elio Vittorini, consulente della casa editrice, legge il manoscritto di Viaggio col padre e ne approva la pubblicazione. Inizia così una lunga e prolifica carriera di narratore (con romanzi tradotti in inglese, francese, spagnolo e tedesco), ma anche di giornalista, come collaboratore del Corriere della sera e di Storia illustrata, di cui fu anche direttore. Buona parte della sua opera è dedicata alla città di Milano. Castellaneta è stato anche presidente del Museo teatrale alla Scala. Dal suo romanzo Notti e nebbie è stata tratta l'omonima miniserie televisiva diretta da Marco Tullio Giordana su sceneggiatura dello stesso Castellaneta.
E' morto il 28 settembre 2013 all'ospedale di Palmanova in seguito alle complicanze di una polmonite.





Per altri video, ne sono 12 in tutto, vi rimando a YooTube


Addio ad Aldo Reggiani, l'eroe della Freccia Nera.


Fonte :Ansa.it

Fu il protagonista dello sceneggiato televisivo con Loretta Goggi

 E' morto l'attore Aldo Reggiani. Ne dà notizia il figlio Primo, attore anche lui. Nato a Pisa il 19 dicembre '46, è scomparso ieri. I funerali si svolgeranno a Roma lunedì alla Chiesa degli artisti alle 15.

Tra film, teatro e un'intensa attività di doppiatore, Aldo Reggiani conobbe una grande notorietà alla fine degli anni '60 protagonista dello sceneggiato La freccia nera, a fianco di Loretta Goggi.

Aldo Reggiani (Pisa, 19 dicembre 1946Roma, 26 settembre 2013)

GiunSE  alla celebrità nel 1968, interpretando il ruolo di Dick Shelton nello sceneggiato La freccia nera a fianco di Loretta Goggi. Intensa anche l'attività di doppiatore. Si è anche cimentato con successo in una regia lirica della Norma di Vincenzo Bellini, con protagonista Maria Dragoni.
Il 26 giugno 2013, durante una vacanza in Sardegna, viene colto da un'ischemia e ricoverato all’ospedale di Lanusei; trasferito a Roma, qui muore il 26 settembre successivo, all'età di 66 anni.

Per saperne di più

La freccia nera  è un romanzo storico avventuroso scritto da Robert Louis Stevenson nel 1883.
La prima pubblicazione fu in diciassette puntate settimanali sulla rivista Young Folks, un periodico rivolto ai giovani. Il romanzo uscirà in volume soltanto nel 1888.

Trama 

Il deutsch è ambientato nell'Inghilterra del XV secolo (durante la Guerra delle Due Rose e sotto il regno di Enrico VI d'Inghilterra|Enrico VI). Il giovane Richard Shelton (detto Dick) scopre che il responsabile della morte di suo padre è il suo tutore Sir Daniel Brackley che, dopo aver capito che Dick sospetta di lui, decide di farlo uccidere. Dick si unisce allora ad una banda di fuorilegge, abitanti della Foresta di Tunstall, chiamata la Freccia Nera e guidata da Ellis Duckworth, un tempo amico del padre di Dick e ingiustamente accusato del suo omicidio. La Freccia Nera ha l'obiettivo di liberare il territorio dall'oppressione dei tiranni che per troppo tempo hanno angariato con le loro malefatte gli abitanti di Tunstall. Dick cercherà di vendicare suo padre e, al contempo, di salvare la donna di cui è innamorato, Joanna Sedley, rapita da sir Daniel per darla in sposa a un altro uomo. Al termine delle sue peripezie, il giovane sarà nominato cavaliere dal futuro re d'Inghilterra Riccardo III d'Inghilterra|Riccardo III e, prima di sposare finalmente Joanna, vedrà Sir Daniel cadere in disgrazia con la disfatta del suo esercito. Malgrado l'occasione di vendicarsi sia finalmente arrivata, Dick decide di risparmiare Sir Daniel e lasciarlo fuggire ma una freccia nera scoccata da Ellis Duckworth segnerà la resa dei conti e la morte del tiranno. Sarà poi lo stesso Duckworth a sciogliere per sempre la Freccia Nera, ritenendo ormai ristabilita la pace a Tunstall.