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venerdì 3 agosto 2012

Gli Astrali. La musica degli anni '60 a Salerno


FONTE: IL BLOG DI SALERNO SU VIRGILIO A CURA DI MASSIMO VECCHI0
DI MARIA SERRITIELLO

'Qualche anno fa ho scritto questo pezzo sui miei amici 'Astrali', il complesso che, più di ogni altro, ha fatto ballare, negli anni ‘60 tanti giovani salernitani, me compresa. Insieme al loro profilo è tratteggiato uno spaccato dei giovani di allora, oggi tutti signore e signori maturi e di come trascorrevano le ore del divertimento. Un “amarcord” senza eccessiva nostalgia ma come testimonianza del passato.
Gli anni, ormai, della loro carriera insieme, sono tanti e baldanzosi gli Astrali si avviano, fra quattro anni, a celebrare, sia pure con qualche serata e con la formazione ridotta, i 50 anni di professione. Detto così fa un certo effetto ma vederli ogni tanto, quando riescono ad incontrarsi per combinare qualche serata, si cambia opinione. Sono inossidabili, come i Pooh e come una certa generazione che non si arrende e resta giovane dentro e a dispetto del tempo, per i più, anche fuori, con l’aspetto stigmatizzato nell’eterna giovinezza. Così ricordare gli Astrali, è come ripercorrere all’indietro un pezzo di storia della città, tanto hanno segnato con la loro melodia ogni momento passato di intere generazioni.
Ed erano proprio gli anni ’60, quelli favolosi, anni in cui la guerra dei padri era del tutto archiviata, in cui l’Italia si andava industrializzando ed il boom era dietro le porte, insieme alle ventate buone del ’68, quando alcuni ragazzi, con la musica come unica passione, diedero vita ad uno dei più prestigiosi complessi musicali, con un nome che, già nel suono, si proiettava verso le alte mete degli astri ed astrali, davvero, furono per tutti perché il cielo si toccava con mano, quando le loro note si elevavano dai vari strumenti. Si erano incontrati per caso, come succedeva un tempo, rincorrendo e calciando un pallone ed era stato facile fare amicizia, manifestare le proprie preferenze, confessare i sogni nascosti. Alla chetichella per non farsi scorgere dai genitori, che ritenevano quello svago una perdita di tempo, anzi ore sottratte allo studio, ognuno di loro strimpellava uno strumento preferito e, una volta incontratisi, fu naturale pensare alla formazione di un complesso. Erano gli anni in cui anche la musica seguiva la voglia dei giovani di riunirsi, di fare esperienza nel gruppo e in gruppo di indirizzare la propria vita nel sociale, di considerare la casa solo un ricovero e i genitori che l’abitavano dei “matusa”. Ma gli “Astrali” erano innanzitutto dei bravi ragazzi, rispettosi della volontà delle famiglie, che era in quei tempi non mediatici, il desiderio legittimo di assicurarsi prima un pezzo di carta per l’avvenire e poi la passione per la musica e così lo studio non fu trascurato, tanto che tutti riuscirono in seguito a laurearsi e ad essere affermati professionisti. Non furono, però, solo i genitori ad ostacolare il volo oltre la città natia, che per la bravura poteva essere possibile ma fu anche e soprattutto la trascuratezza di ognuno verso quel successo che nulla avrebbe aggiunto a quanto già avevano. Ed eccoli oggi, come un tempo, ad essere divisi in due, di giorno impegnati seriamente nel lavoro ma la sera tutti dedicati alla passione musicale e anche se il tempo è passato, ognuno di loro per proprio conto continua a fare serate, a rallegrare, suonando, quanti non si sono stancati di ascoltare la loro musica. Vecchie e nuove armonie perfette si amplificano dai loro strumenti, trascinandosi dietro inevitabili ricordi, quelli di quando tutti insieme in pedana davano il meglio al nome di Germano Cosenza (basso e canto), Michele Avagliano (chitarra), Cosimo Palumbo (piano) Michele Mattei (batteria e canto), Guido Cataldo (sassofono) ed in seconda formazione Bartolino Cataldo al piano e Gennaro Carbone alla chitarra e ancora quando nel’68, ma già sono in testa alle preferenze dei giovani di Salerno, arriva a dare più successo al complesso la voce di Nello Buongiorno, il barbuto musicista, più volte apparso in tv, quale ospite, tra i più graditi, di Mara Venier e sarà in seguito anche l’unico del complesso a spiccare il volo. Spaccati di memorie si sommano e “Gli Astrali” appaiono i giovincelli sbarbati, dai capelli appena allungati, come vuole la moda dei capelloni, con jeans e stivaletti tralasciati in favore di completi scuri, doppio petto e cravatta, rigorosamente indossati ancor oggi, che rimandavano un’immagine da seri orchestrali e adatta ai night della costiera. Già, la divina costiera di quegli anni, frequentata bene dai personaggi che allora contavano, sia nella politica che nello spettacolo o solo intellettuali, imprenditori e ricchi che si ritrovavano là come in un’ apartheid privilegiata e che rispondevano al nome di Kennedy, Nureyev, Eduardo, Zeffirelli, Gore Vidal, Mastroianni, la Loren, De Sica, Loy, tanto per citarne alcuni e dove i ragazzi perbene chiamati “Astrali” potevano figurare e accontentare i loro gusti musicali. Il repertorio messo appunto, infatti, spaziava dai brani sussurrati ed uno in particolare Fenesta Vasce riscoperto e portato al successo, ai ritmi più sfrenati. In quegli anni gli Astrali, con insolita bravura, arrangiavano con la loro sensibilità di artisti, la musica dei più grandi complessi: Beatles e Rolling Stones, non escludendo quella ritmata, vertiginosa e nera di Wilson Pickett, James Brown, Joe Tex, Otis Redding e così Marco Lenza con la chitarra si proiettava in svisate magiche alla Jimi Hendrix, mentre i fiati, la tromba di Pasqualino Moretti, il trombone di Giuseppe Carabella e i sassofoni di Guido Cataldo e di Vincenzo Senatore scuotevano ogni parte del corpo con vibrazioni mai più provate, in seguito, così intense. La musica di allora, più che adesso, raccoglieva tutte le istanze giovanili e serviva a ribellarsi, ad affermarsi, ad amoreggiare, ad essere, infine, se stessi e le note degli “Astrali” hanno alla meglio traghettato i giovani all’età matura. Ora ricordiamo con tenerezza le pomeridiane danzanti ma quanta fatica per arrivarci, per esserci dalle 18 alle 21 e ritornare a casa in tempo utile per la cena di mamma e papà. Con gli Astrali vengono in mente tante abitudini, perse ormai in quarant’anni, ma ancora vive nella memoria di tanti, per averle vissute con l’intensità giusta e l’entusiasmo dovuto. Una fra tutte, il MKP 100, ovvero cento giorni che precedevano gli esami di stato, la festa più desiderata dagli studenti che, almeno per un giorno, allentava la spirale della tensione, dimenticava le formule matematiche, tralasciava i ragionamenti filosofici e non avviava la svogliata traduzione dei classici greci e latini. Non si proclamava festa studentesca se a suonare non era la band degli “Astrali” e loro sulle note lente di “Tre settimane da raccontare” alla Fred Buongusto o di “E la chiamano estate”, alla Bruno Martino o ancor di più sulle note martellate, portate al successo dai complessi beat dei Primitives, Corvi, Rokes, Ribelli, Fuggiaschi e Nomadi, ma dai nostri Astrali arrangiate in modo personale, hanno dato svago, spensieratezza e avviato l’inizio di tanti ma proprio tanti amori. Perciò, per aver scritto con tanta bravura e semplicità la colonna sonora dei nostri anni giovanili che, fuori retorica, resteranno sempre i più belli, siamo grati a questi ragazzi.
La musica, in quegli anni dagli “Astrali” veniva diffusa da tutti i locali della città: Copacabana, Stiva, Capannina e da quelli delle due coste, Hotel Luna di Amalfi, La Fregata di Postano, Il Lanternone di Palinuro, la Taverna dei Monaci di Agropoli e per la loro bravura erano chiamati ad essere complesso d’appoggio ad artisti prestigiosi quali Peppino di Capri, Fred Buongusto, Patty Pravo, Lelio Luttazzi, Ricchi e Poveri, Giganti e tanti altri.
Mi sia consentito l’amarcord personale per i fratelli Cataldo. Il primo: “Bartolino”, impeccabile nel suonare il piano, mio compagno di banco nell’ultimo anno di scuola superiore, ora affermato giornalista oltre oceano, rivisto una sola volta e per caso, in tutti questi anni trascorsi. Il secondo “Guido” l’ottimo collega di classe e di viaggio nel raggiungere quotidianamente la sede scolastica di Oliveto Citra. Io e Guido, insieme, su di un testo “O cunte e Cicerenella” scritto dal padre e da lui musicato, a fine anno, riuscimmo a far recitare e cantare tutti gli alunni della scuola. Peccato non ci sia traccia visiva di questa performance, siamo negli anni ’80 e ancora non era scoppiata la mania del telefonino fotografo, ma nella mente, nel mentre scrivo, sono là, nel cortile assolato della scuola, con accanto il Maestro Cataldo che mi accompagna con la sua chitarra, e canto felice, si perché la musica mi rende felice, con tutti i nostri alunni.
Con la musica” dice Germano Cosenza (basso e canto) “ho avuto tutto quello che un giovane di allora non poteva permettersi e pure se la fatica era tanta, (si suonava senza intervallo dalle 22 alle 3), non l’ho mai sentita, anche per la giovialità che circolava tra noi”. “La musica fa parte della mia vita”continua “come un braccio , una gamba, le mie figlie, la vivo e l’ascolto senza tregua. Certo il repertorio che preferisco ricalca quello degli anni ’70, le mie giornate sono imperniate di rhythm and blues, di pezzi orchestrali ma anche, per curiosità, di tanto Eminem, Jovanotti o dj Francesco”. Non si penserebbe mai, per averlo fissato nella mente con in spalla la tracolla del basso, che Germano Cosenza nasce musicalmente suonando la fisarmonica, lo strumento che allora appassionava per la sua possibilità di essere tastato ovunque e anche perché, dalle prime televisioni accese, un maestro come Gorni Kramer, con una buffa intensità facciale ci rimandava una passione da imitare.
Oggi gli “Astrali” non suonano più insieme, l’hanno fatto, per una volta qualche anno fa e con una formazione ridotta, anche perché qualcuno non c’è più, alla Rassegna Estiva del Teatro dei Barbuti, un dono pregiato per gli ex giovani che, tutti ma proprio tutti, si sono ritrovati là a guardare, nel tempo della musica, quello trascorso per ognuno. Voce spiegata a cantare sulle note uscite dal sassofono di Guido Cataldo, il “Maestro” e pensieri fluttuanti sostenuti dalla melodia dolce o ritmata di tutti gli altri, che il pubblico non si è più trattenuto e ha “fatto orchestra” con loro. Tutti i presenti, se pure per una volta, mentre la musica innalza note al cielo stellato dei Barbuti, hanno avuto la gioia di ritrovare le atmosfere giovanili, i sapori genuini, le tradizioni incontaminate e l’ingenuità di una generazione che mentre loro cantavano è andata sulla luna!'
Maria Serritiello









1 commento:

  1. li ascoltai negli anni70 in costiera,successivamenti li ho tenuti per lunghi periodi a suonare nel mio locale valleverde di avellinoriscuotendo un grosso successo di publico che apprezzava molto le loro melodie

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