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martedì 26 giugno 2012

E’ morto Lonesome George, la tartaruga più famosa. Era l’ultimo della sua specie


E’ morto ieri Lonesome George, la tartaruga più famosa del mondo e soprattutto l’ultimo della sua specie. Insieme a lui il mondo perde la Chelonoidis nigra abingdoni, la sottospecie delle tartarughe giganti delle Galapagos tipica dell’isola di Pinta.

E’ morto Lonesome George, la tartaruga più famosa. Era l’ultimo della sua specie

E’ morto ieri Lonesome George, la tartaruga più famosa del mondo e soprattutto l’ultimo della sua specie. Insieme a lui il mondo perde la Chelonoidis nigra abingdoni, la sottospecie delle tartarughe giganti delle Galapagos tipica dell’isola di Pinta.

L’osservazione delle tartarughe delle Galapagos aiutò Charles Darw...
in ad elaborare la teoria dell’evoluzione. George fu trovato nel 1972, quando già le tartarughe dell’isola di Pinta erano credute estinte. Donde il soprannome Lonesome, “Solitario”. Si ritiene che avesse circa 100 anni.

Non si conoscono le cause della morte. Un comunicato stampa del Parco Nazionale delle Galapagos dice che ieri mattina il custode, entrando nel suo recinto, ha trovato George senza vita.

Dal 1972 Lonesome George abitava nel centro di conservazione e riproduzione delle tartarughe annesso al Parco.

Per tentare di dargli una discendenza furono vanamente immesse nel suo recinto femmine delle sottospecie di tartarughe delle Galapagos più vicine alla sua, quelle dell’isola Isabela. George si accoppiò nel 2008 e nel 2009 ma le uova – seppur messe in incubatrice e trattate con tutti i riguardi – non si schiusero.

Lo sterminio delle tartarughe giganti delle Galapagos (una differente sottospecie su ognuna delle isole dell’arcipelago) iniziò poco dopo la scoperta del Nuovo Mondo. I marinai catturavano i bestioni e li portavano a bordo delle navi, dove potevano sopravvivere anche un anno senza cibo nè acqua fungendo così da riserva di carne fresca.

Con ogni probabilità alcuni individui furono abbandonati su un’isola diversa da quella natale: è l’ipotesi più plausibile per spiegare la presenza sull’isola Isabela di ibridi della Chelonoidis elephantopus (altra sottospecie ritenuta estinta) che era tipica dell’isola Floreana.

Sempre sull’isola Isabela è stata scoperta nel 2007 una tartaruga ibrida di prima generazione della sottospecie cui apparteneva il defunto George: significa che il padre (o la madre) era una Chelonoidis nigra abingdoni come l’illustre estinto.

Forse allo zoo di Praga vive una tartaruga della specie del defunto George. Femmina, perdipiù. Non si è fatto tuttavia in tempo a completare i riscontri indispensabili per non rendere vano già in partenza lo stressante trasloco necessario per ricongiungere due animali.

Il Parco Nazionale delle Galapagos onorerà la memoria di George organizzando in luglio un convegno internazionale sulle strategie di gestione opportune per salvare e far crescere numericamente le popolazioni delle superstiti tartarughe delle Galapagos.


lunedì 25 giugno 2012

Lina Olivieri, la "Signora"del mare di Salerno

FONTE:IL BLOG DI SALERNO SU VIRGILIO

Lina Olivieri, la "Signora"del mare di Salerno
di Maria Serritiello

Il cancello di ferro, ritinteggiato di fresco, è lo stesso da più di mezzo secolo ai bagni del 'Lido di Mercatello'. Fino a 4 anni fa era condotto da Lina Olivieri, di quella famiglia Olivieri, che della conduzione balneare, per oltre mezzo secolo, ne ha fatto un’arte. La “Signora”, ogni mattina, attraversava la piazza Monsignor Grassi con la sua camminata ferma, l’innata eleganza e i passi decisi per arrivare all’interno del “Lido” ed avviare il comando dello stabilimento. Era lei a dare il via ad ogni estate, col rito d’inizio uguale e fissato inequivocabilmente al 15 giugno, lei che con garbo istintivo e sana energia aveva saputo conservare, nel suo lido, le buone regole dell’educazione, così lontane da ogni dove. Eppure non era portata per la conduzione dello stabilimento che con successo al “porto” le sorelle Anna Maria e Dora portavano avanti da tempo, anzi ne aveva un rifiuto netto, anche perché la sua vita girava altrove e in tutt’altra direzione. Fu solo nel 1970 che rispose con una sorta di “obbedisco” iniziale al richiamo familiare, ma che in seguito si tramutò in orgoglioso e puntiglioso impegno. E comincia bene la giovane “Lina”, nella sua conduzione, infatti, si confermano vecchie regole e se ne affermano di nuove che daranno buon nome, al “Lido”, l’unico, in questa zona, assieme al vicino Miramare, attualmente ristrutturato elegante, ad avere tradizione alle spalle e a sollevarsi in tanta spiaggia libera, affollata e consueta in quegli anni. Così per essere sicura che nelle sue larghe e spaziose cabine non vi fossero più persone di quante dichiarate, non esitava a contare le paia di scarpe, otto, dovevano essere per l’esattezza e se nella conta risultavano in più, prontamente venivano caricate su di una carriola e portate via. Certo un metodo impopolare ma necessario per mantenere il controllo sui presenti. Sabbia sottile e dorata per 350 metri di spiaggia e panorama non ancora del tutto affossato dalle brutte costruzioni intorno, il “Lido” offriva ai bagnanti, un clima da vero soggiorno balneare, da vivere per l’intera giornata a due passi dalla comodità della propria casa, invidiato da chi già cominciava a comprare nella Calabria selvaggia, per via del mare poco pulito. Siamo nel ’73 ed ecco apparire al “Lido” la piscina, una costruzione impensabile per vecchi salernitani che col mare hanno avuto da sempre un rapporto carnale, ma necessaria per sopportare la decadenza del nobile specchio d’acqua e la trascuratezza dei governanti. Così la moderna struttura la si colloca in disparte, in un ristretto recinto di 42 cabine ma accanto ai due quadrati di destra e sinistra, su di un benevolo trono dal quale vigila il piccolo quartiere, divenuto ormai un parentado, tant’é la familiarità con la quale i clienti si ritrovavano ogni anno. Tutte le mattine d’estate Lei era là, disegnata da sobri vestiti, ornata da spille e collane, una più bella dell’altra e mai in eccesso, col sorriso dell’accoglienza stampato sul viso e con l’occhio attento, vigile a chi entrava. Un feudo il “Lido” e come tale aveva una sua struttura che lo connotava e lo distingueva allora. Doveva essere bello un tempo arrivarci e ben lo comprese Attilio Olivieri, padre, spostandosi dal porto in questo luogo, spinti dal profumo immenso, inebriante degli aranceti e dei mandarineti, giunto fino al mare per congiungersi indissolubile all’invasiva e attaccaticcia salsedine, nei giorni di bonaccia. Un profumo ormai perso nella zona ma che i nostalgici ancora trovano, nella fioritura di maggio, rincantucciato nei pochi alberi sfuggiti al macete del “Parco del Mercatello” Sì, doveva essere proprio bello prendere i bagni nel mare discosto di una città che estendeva la sua tranquilla lunghezza da Piazza ferrovia al Teatro Verdi. Arrivare fin qui per i salernitani di allora era come fare un viaggio, così la filovia che sferragliava tra il verde disteso degli ombrosi giardini e l’azzurro inquieto del mare aveva un confine naturale nella ristretta piazza tenuta a cerchio da palazzotti a due piani che non occupavano la vista come adesso ma nei quali ferveva e l’attività commerciale di don Nicola, il salumiere, che tra una “spicciata” e l’altra si godeva il fresco dell’estate sotto il pergolato, cresciuto ombroso dinanzi al comodo esercizio e il fervore industriale della fabbrica. Oggi non si crederebbe ma in una delle due case che ancora conservano la bassa struttura del tempo, sforzandosi di distinguersi dalla cementificazione selvaggia e irriverente dell’habitat, vi era una fabbrica di caramelle, gli “champagnini”, una golosità di cui con rammarico non si ha più la memoria del loro sapore. Vecchio Lido, con i ricordi di guerra sul groppone, gli inglesi lo requisirono per stanziarvi il proprio esercito e lo lasciarono a malincuore solo nel ’46 e ancora fu, il vecchio Lido, a far da mensa agli allievi ufficiali che ebbero il privilegio di gustare gli inimitabili piatti di un cuoco d’eccezione “Carminuccio” della “Rosetta”, per anni storico ristorante della città che ancora si rimpiange, tanto da far intendere ormai la sua rinomata cucina, come sinonimo del mangiare gustoso e raffinato. Vecchio Lido con la buona società imprenditoriale e non del tempo che rispondeva al nome degli Scaramella i D’Amico, i Moscato, i Morese, i De Roberto i Quagliariello e ai tanti altri che nell’ambiente appartato trovavano il riposo ma anche il benessere del mare. Solo più tardi ci fu il ricambio ed ad invaderlo, furono gli intellettuali e la fascia della borghesia. Il tempo al Lido scorreva uguale e se qualche impercettibile cambiamento avveniva era cosa lieve tanto da non essere rilevato, così, la signora Lina e la sorella Anna Maria, malgrado il passar degli anni, erano sempre le stesse ed anche i loro i bagnanti, fissati come in un’elegante immagine di “belle epoque”. Ogni tanto, però, a dispetto dell’immortalità della signorile stazione balneare, qualcuno se ne andava per sempre ed era da tutti accusata la mancanza, perché il Lido era appartenenza e per esserci da così tanto tempo è stata la storia di tutti noi, una storia che è durata per gli Olivieri dal 1936, così come è scritto sul cuneo d’ingresso. L’aristocrazia del mare, senza esagerare e senza piaggeria la si trovava solo qui grazie all’icona “Lina Olivieri” che seppe con garbo naturale trasfondere il suo stile elegante di vita in questa sua creatura marina, alla quale è restata attaccata come ad un giovane amore. Ora Lina Olivieri, giustamente si è ritirata per beneficiare della meritata pensione, ha qualche ruga di troppo e ci sorprende per questo, perché le sirene del mare non hanno età e Lei è stata, per l’appunto, la sirena che per oltre 60 anni con il mito del Lido ebbe a custodire e a governare il lento trascorrere sotto il sole delle ore spensierate dell’estate.'
Maria Serritiello


Una serata con Maurizio de Giovanni, al Teatro del Giullare di Salerno

Una serata con Maurizio de Giovanni, al Teatro del Giullare di Salerno

mercoledì 13 giugno 2012

PAESTUM
 
SABATO 23 GIUGNO 2012 ORE 20,00
 
 Nel piazzale antistante il Museo Nazionale
per ammirare i templi dell'antica Grecia più belli e meglio conservati al mondo i magici suoni degli strumenti tradizionali della musica popolare...
e tanti tanti musicisti.....


 
...anche quest'anno torna, immancabile, l'appuntamento con la Festa della Musica!

La Festa della Musica, che rappresenta uno degli appuntamenti annuali più importanti di cultura e spettacolo in Europa, si celebra ufficialmente il 21 Giugno, giorno del solstizio d'estate,... ma estende, ormai, il suo raggio di influenza anche nei giorni immediatamente precedenti e successivi alla data ufficiale.

Un appuntamento ormai consolidato anche per la Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta che da quattro aderisce alla Festa organizzando, in collaborazione con enti e associazioni locali, eventi musicali gratuiti nei propri luoghi di interesse, al fine di maggiore promozione degli stessi e, complessivamente, dei territori sui quali insistono.

Nel 2008 l’attenzione è stata posta sul Museo narrante del santuario di Hera al Sele (Capaccio - SA); il 2009 è stata la volta del Parco Eco Archeologico dell’Antica Picentia (Pontecagnano - SA), nel 2010 il Parco Archeologico di Elea Velia (Ascea - SA) ha fatto da affascinante scenario a un’edizione particolarmente seguita e coinvolgente, mentre nel 2011 a fare da cornice ai concerti e ai festeggiamenti è stato il Chiostro degli Eremitani di Sant’Agostino Museo Archeologico Nazionale di Volcei (Buccino - SA).
per l'occasione, festeggeremo anche la chiusura del laboratorio annuale "Danzare Insieme a tambur battente e ciaramella squillante", con tutti gli amici che ci hanno accompagnato nel corso di quest'avventura.

Seguite gli aggiornamenti per conoscere in tempo reale tutte le info su luogo e ospiti dell'edizione 2012.


Associazione Daltrocanto
direzione: 328 72 548 31
organizzazione: 338 69 o87 56
comunicazione: 328 85 967 78
www.daltrocantoweb.org

domenica 10 giugno 2012

Io, che vivevo a Crevalcore colpito al cuore dal terremoto



Fonte: La Repubblica Bologna, domenica 4 giugno 2012.

Il racconto

Io, che vivevo a Crevalcore colpito al cuore dal terremoto

Andrea Segrè

Vivo a Crevalcore. O forse sarebbe meglio dire, vivevo a Crevalcore. Fin che non ci sei dentro, proprio dentro, il terremoto è qualcosa di astratto. Un altrove, vicino o lontano che sia non cambia: è fuori da te. Ma quando ti fa vibrare anche le corde dell’anima, allora la prospettiva cambia e improvvisamente ti pervade. E anche parole come evacuato, sfollato, terremotato – una volta distratti titoli di giornale - assumono un peso diverso. Ti appesantisci, appunto. Come a riempire quel vuoto momentaneo (?) della terra. Questa terra che ti violenta, e che tu hai violentato, noncurante. Tutto questo cemento: colate infinite, spesso inutili. O meglio utili speculazioni, per qualcuno. Cubature impermeabili, che tutto fanno scorrere: l’acqua e il danaro. E che poi, a un certo punto, ti cadono addosso. Sporcandoti, se va bene. Seppellendoti, se invece va male. Quando lavori, per giunta. Solo perché manca un giunto: incredibile perdere la vita così. Incredibile perdere la vita, quando molto si potrebbe fare per prevenire. Non si fa perché, a monte, abbiamo perso il rapporto con la Natura, invertendolo. Le nostre Eco - l’ecologia e l’economia - si sono scambiate di posto. Abbiamo pensato che la buona gestione della casa piccola, letteralmente l’economia, potesse contenere la casa grande: l’ecologia. Non riconosciamo i limiti ecologici della terra, figurarsi se accettiamo il suo essere naturale e viva. Cambiamo – adesso – le posizioni e le proporzioni. Non sapremo prevedere i terremoti, ma saremo più pronti.
Non può essere questo il lato positivo della catastrofe che ha sconvolto le nostre vite e i nostri lavori? Contabilizziamo pure i danni alle persone, alle abitazioni, all’agricoltura, industria e servizi: ma non potremmo anche pensare a una vera occasione di cambiamento? Uscire da quella crisi continua che ci impedisce di capire e agire per cambiare qualcosa di un modello, sistema, paradigma – insomma il nostro essere cittadini di un mondo in crisi?
Eppure, queste corde dell’anima che vibrano tutte all’unisono ci trasmettono qualcosa. Quegli sguardi attoniti e interrogativi nella piazza buia dopo la prima scossa. Gli occhi dei vicini che scopri per la prima volta profondi e che si domandano insieme a te: ma cos’era? Quel parlarsi di continuo della continuità del tremare scaricando angoscia e tensione. Quella zona rossa che dopo la seconda scossa perimetri assieme ai nuovi compagni valutando insolite pendenze e fresche aperture, foriere di possibili abbattimenti. Quella gioia di entrare nella tua casa e prendere qualche oggetto sotto gli occhi, vigili per definizione, dei pompieri. Capaci non solo di darti l’elmetto ma anche di spingere il tuo carrello, non più ricolmo di generi alimentari, ma delle tue cose prese a caso in attesa di un improbabile rientro. Quel tuo essere evacuato al mare – un perfetto bilanciamento – dove ti dicono: ma lei è nostro ospite. Assieme a tanti ignari turisti tedeschi, ignari di un altrove che è sempre lontano. Quell’offerta di case, aiuti e assistenza da amici e anche sconosciuti. Quei container calati sulle stalle degli allevatori che devono mungere due volte al giorno. Quegli imprenditori che non si lasciano abbattere ma continuano a pensare al futuro. Quel riempire i conti correnti spuntati come funghi pensando che gli aiuti non scaricano più una coscienza distratta, ma presente, necessaria. Piena di volontà di ripartire, ricostruire, rifondare una società malata e stanca. Opulenta ma povera. Eppure ricca nel momento del bisogno. Una povertà che si fa ricchezza, anima delle persone.
Questo è il terremoto dell’Emilia visto dal di dentro. Nella bassa che si è abbassata. Sputando sabbia e melma. Ma dove rispunta quel gene antico e robusto della cooperazione e della solidarietà. Per troppo tempo silente, come fosse distratto da altro. Ora bruscamente risvegliato nelle corde della sua anima più profonda e più autentica.
E quella frase antica che ti ricorda il liceo in una terra di altri terremoti, il Friuli: “gli alberi non crescono fino in cielo”. Come dire: basta con questo modello legato alla crescita infinita. Cui va aggiunto un detto della nuova sapienza emiliana, sempre più convinta: “e le mucche non mangiano cemento”. Uno stimolo per l’Italia intera.


Andrea Segrè (Trieste, 5 febbraio 1961) è un accademico, economista e saggista italiano, docente di politica agraria, politiche dello sviluppo agricolo, e agricultural policies presso la Facoltà di Agraria e di Statistica dell'Università di Bologna





Al Museo “Città Creativa” di Rufoli di Ogliara, tre mostre fino al 30 giugno

Al Museo “Città Creativa” di Rufoli di Ogliara, tre mostre fino al 30 giugno

martedì 5 giugno 2012

Il degrado di Paestum. Che vergogna!


C’è la stazione ferroviaria chiusa e i parcheggi pubblici mai utilizzati e vandalizzati, rifiuti abbandonati in tombe dell’età del rame e scavi mai completati sotto capannoni di fabbriche chiuse negli anni 80. Lo spettacolo che si presenta ai visitatori fuori dalle mura antiche di Paestum è desolante. Ma all’interno della città antica le cose non vanno meglio: dei 120 ettari considerati dall’ Unesco patrimonio dell’umanità, solo poco più di venti sono di proprietà dello Stato. Tutto il resto è in mano ai privati, che da decenni coltivano sulle rovine della città della Magna Grecia. E’ per recuperare quel patrimonio che Legambiente ha lanciato Paestumanità, un progetto di azionariato sociale finalizzato ad acquistare e salvaguardare i terreni compresi all’interno delle mura. “Si tratta di un patrimonio che appartiene al mondo – dice Lucio Capo, della Legambiente locale – e al mondo chiediamo di venire qui a Paestum a rendersi cosciente di avere questo tipo di proprietà”  di Andrea Postiglione


INDIGNIAMOCI E PROPONIAMO

COSI' FRANCESCO AGRESTI, POETA E SCRITTORE EBOLITANO MA RESIDENTE A ROMA SCRIVE AL SINDACO DI PAESTUM

Al Sindaco di Capaccio Italo Voza
>
> Gentile dottor Voza,
>
> ho appreso con sgomento che l'area prospiciente i Templi e
> la stazione ferroviaria di Capaccio sono da tempo
> completamente abbandonati all'incuria e al degrado.
> Inutile ricordarLe ciò che i Templi rappresentano per la
> storia della Civiltà occidentale e ,se voglioamo, per la
> stessa economia del Suo territorio.
... > Pretendere che la stazione ferroviaria funzioni al meglio e
> che tutta l'aera dei Templi possa godere di una pulizia e di
> una manutenzione all'altezza della loro unicità, presumo,
> sarà il suo massimo impegno affinché la situazione ritorni
> ad essere quella di un tempo e quella che la sacralità dei
> luoghi deve pretendere.
> L'unica vera risorsa del Paese è rappresentata dai nostri
> giacimenti culturali. Mandarli in rovina vorrebbe dire,
> senza enfasi, o demagogia,
> mandare completamente allo sfascio la nostra stessa
> appartenenza alla civiltà occidentale.
> Se serve mobilitare la Cultura per darLe una mano, sono
> prontissimo a sensibilizzare i nostri più importanti poeti
> contemporanei per accendere i riflettori sul Suo territorio.
>
> Lei, comunque, non sarà lasciato solo nella Sua grande
> battaglia civile.
> Suo,
> Francesco Agresti
> tel. 338/1686201
                            IO CI SONO PER QUESTA INCOMPARABILE BELLEZZA.



lunedì 4 giugno 2012

Bologna: cane ritrovato scuoiato vivo, è in gravi condizioni

stato ritrovato scuoiato vivo dal servizio di accalappiamento bolognese, il cane padronale individuato in via Cristoforo Colombo.
Si tratta di un cane meticcio di proprietà, microchippato, il cui padrone è stato immediatamente informato dei fatti. Sembrerebbe essere estraneo al brutale episodio.
L’animale è stato subito soccorso e trasportato alla clinica veterinaria Portoni Rossi di Zola Predosa, dove è stato sottoposto ad un delicatissimo intervento chirurgico.
Si trova in gravi condizioni, in terapia intensiva.
Dichiara ENPA Bologna: “Non ci sono lesioni agli organi vitali, quindi se non intervengono infezioni potrebbe salvarsi. Vediamo spesso situazioni gravi, ma come questa mai”.
La denuncia contro ignoti è stata immediatamente sporta e le investigazioni sono in mano ad una sorta di task force composta da Guardie Zoofile, Polizia Giudiziaria della Municipale e Carabinieri.
Seppure il proprietario del cane sembri estraneo ai fatti, le forze dell’ordine hanno valutato di richiedere al PM il sequestro dell’animale e l’affido al canile municipale, che, nel caso dovesse salvarsi, si occuperà di una nuova adozione. Per ora, infatti, il proprietario è comunque colpevole del reato amministrativo di “malgoverno dell’animale”.
Quanto accaduto a Bologna è di una gravità difficile da descrivere. Chi va in giro di notte scuoiando vivi gli animali? Se anche si fosse trattato di una vendetta personale nei confronti del proprietario del cane, chiediamo ai cittadini di prestare particolare attenzione e di segnalare alle forze dell’ordine qualunque movimento sospetto.


18 Anni, orfani di te, Massimo

                                                  MASSIMO TROISI

San Giorgio a Cremano, 19 febbraio 1953 – Roma, 4 giugno 1994




CHI TI HA AMATO NON  DIMENTICA

domenica 3 giugno 2012

Quando il cane resta da solo




Fonte: Ti presento il cane cultura cinofila online

Vorrei un cane, ma lavoro tutto il giorno…
Il mio cane, se lo lascio solo per qualche ora, mi distrugge la casa!
Il mio cane ha a disposizione un grande giardino, ma sembra sempre triste e annoiato…
Questi ed altri problemi, di cui tutti sentiamo spesso parlare, sono legati al fatto che il cane è un animale sociale…e l’uomo anche: ma purtroppo non è sempre possibile vivere nella stessa società.
E’ raro che sia possibile portarsi dietro il cane sul posto di lavoro; in alcuni casi è proprio vietato (se per esempio abbiamo un negozio di commestibili), in altri magari potremmo, ma ci tocca dividere lo stesso ufficio con persone non cinofile.
In altri casi ancora siamo noi a doverci spostare,visitare persone, vedere gente sempre diversa che potrebbe non apprezzare le effusioni di un cane esuberante.
Così, mentre gli americani hanno addirittura inventato “la giornata del cane in ufficio”, nel nostro Paese il nostro orario di lavoro coincide spesso con lunghe ore di solitudine per il cane di casa.
Che fare, allora?
Rinunciare alla sua compagnia?
No, non è necessario.
Vediamo di rispondere alle più frequenti domande su questo tema.
Si può prendere un cane se si lavora fuori casa otto ore al giorno?
Si può, purché si scelga il cane in base alle sue caratteristiche e non solo in base al nostro gusto estetico. Se ci piace il dobermann, per esempio, scordiamoci di prenderne uno da lasciare molte ore da solo, perché morirebbe di malinconia. Un husky, al contrario, troverà mille cose da fare in nostra assenza e quasi non noterà che non ci siamo (pur essendo felicissimo di rivederci al nostro ritorno).
Vanno evitate tutte le razze note per il loro morboso attaccamento al padrone (come dobermann, boxer e molossoidi in generale, cani da pastore conduttori del gregge), scegliendone una più indipendente (cani nordici e primitivi, levrieri, terrier, segugi, cani da pastore difensori del gregge).
Il comportamento del singolo soggetto non è prevedibile, ma la scelta della razza giusta è il primo passo per evitare i problemi.
Nonostante questo, tutti i cani sono animali sociali (anche se non tutti sono “socievoli”), quindi la solitudine assoluta li mette tutti in crisi. Come risolvere il problema?
Per esempio, offrendo loro la compagnia di un altro animale!
Ad alcune razze (per esempio quelle custodi di greggi e mandrie) può bastare un gattino o un criceto: loro si convincono che il loro compito sia vegliarlo e accudirlo in assenza del padrone, quindi si sentono “al lavoro”, sono perfettamente realizzati e non subiscono stress da separazione.
Altre razze (specie quelle molto predatorie) non legano con gli animali di specie diversa: possono imparare a conviverci pacificamente, ma la loro presenza non allevia la solitudine.
Invece tutti i cani si sentono perfettamente “socializzati” se hanno un compagno della loro stessa specie.
E qui mi sembra già di sentire le reazioni: “DUE cani?!?!? Sono già in ambasce all’idea di prenderne uno, e mi si parla addirittura di DUE??? Ma stiamo scherzando?
No, non stiamo scherzando affatto.
Il compagno a quattro zampe è sicuramente la soluzione ideale per tutti i problemi di solitudine, e dal punto di vista umano, che ci si creda o meno, tra avere uno e due cani non c’è quasi nessuna differenza…se non dal punto di vista economico, perché le spese ovviamente raddoppiano.
Per quanto riguarda invece l’impegno e le cure, la vera, sostanziale differenza c’è tra “nessun cane” e il primo cane: dopo, perché cambi davvero qualcosa, bisogna superare il numero di tre.
Naturalmente anche in questo caso dipende dalla razza: tra uno e due sanbernardo un filino di differenza di noterebbe, sia se cerchiamo di “stivarli” in un miniappartamento, sia se cerchiamo di portarli fuori al guinzaglio in coppia. Quando si tratta di cani di taglia piccola o media, invece, l’unica cosa che raddoppia è il divertimento. Provare per credere.
A questo punto, però, ricordiamo che le otto ore di lavoro sono solo una parte della nostra giornata: il resto dovremo dividerlo DAVVERO con il nostro cane, non limitandoci a portarlo fuori e a dargli da mangiare, ma lavorando con lui, giocando con lui, creando un rapporto con lui.
Un po’ come accade con i bambini, la qualità del tempo passato insieme è più importante della quantità: quindi prendiamo un cane solo se le famigerate otto ore rappresentano l’UNICA cosa che ci divide da lui. Per il resto (week end compresi) dovremo essere un binomio…o un “trinomio”, se abbiamo scelto la soluzione della coppia, indivisibile: altrimenti è meglio rinunciare e comprarsi un peluche.
Potrei anche pensare di prendere una coppia di piccoli cani: ma non ho il giardino. Anche se si fanno compagnia, chi li porta fuori a sporcare?
I cani (non da cuccioli, ovviamente) sono perfettamente in grado di trattenersi per otto ore senza subire alcun trauma fisico né psichico. Si può benissimo portarli fuori con questo intervallo di tempo. Se l’assenza del padrone supera le otto ore, o se comunque si desidera dare più possibilità di uscite ai nostri cani, ci si può avvalere del servizio di dog-sitter che ormai è reperibile in quasi tutte le città (e se non c’è un servizio “ufficiale”, ci si può sempre accordare in privato con una persona amante dei cani.
Per quanto riguarda i cuccioli, meglio acquistarli in un periodo di vacanza: non solo per avere il tempo di abituarli a non sporcare in casa, ma anche per poter dare loro i primi fondamentali elementi di socializzazione e di struttura gerarchica del branco-famiglia.
Avendo un ampio giardino posso farmi meno problemi? Il cane soffrirà meno la solitudine?
Assolutamente NO!  I problemi sono gli stessi. Certo, restare chiusi tra quattro mura è più noioso che passare le ore all’aperto, con distrazioni e giochi a disposizione…ma quello che fa soffrire il cane che vive solo NON è la mancanza di spazio: è la mancanza di contatto con altri esseri viventi con cui interagire.
E’ utile lasciare al cane giocattoli e ossa da rosicchiare per fargli sentire meno la solitudine?
L’osso di pelle di bufalo, i biscottoni duri e via dicendo sono quasi sempre compagni graditi e discreti antistress: i giocattoli, solitamente, no. A meno che il cane non sia un cucciolo piccolissimo, ignorerà palline e salsicciotti se non c’è il padrone a giocare con lui (mentre, sempre come antistress, potrebbe trovare interessante mangiarsi la gamba del divano).
Che cosa serve realmente al cane per sentire meno la solitudine?
Oltre alla compagnia di un altro animale, che continuiamo a raccomandare caldamente, al cane servono soprattutto dei punti di riferimento.
In generale: la sua cuccia tenuta sempre allo stesso posto, le sue ciotole (possibilmente piene, e di un cibo che conosce bene), un’atmosfera fatta di rumori e odori a cui è abituato lo aiutano ad sentirsi più sicuro e quindi a non fare drammi se deve stare da solo per qualche ora.
In particolare, quando si deve uscire per poco tempo, può essere utile insegnare al cane esercizi come la guardia all’oggetto, e lasciargli un qualsiasi oggetto da “sorvegliare” finché non torna il padrone.
Sentirsi utile, sentirsi “al lavoro” e sapere che ci fidiamo di lui per un compito preciso fa sentire il cane realizzato e sicuro di sé, e il tempo gli passa più velocemente.
Ma il cane ha davvero un “senso del tempo”?
A questa domanda, studiosi diversi rispondono in modo molto diverso. C’è chi sostiene assolutamente di no, c’è chi è convinto del contrario: la verità, per ora…la sanno solo i cani!
Alcuni soggetti (specie quelli molto ansiosi) effettivamente sembrano non notare la differenza tra dieci minuti e dieci ore, tant’è vero che quando usciamo di casa e rientriamo subito dopo si festeggiano come se non ci vedessero da secoli: ma questo è un po’ poco per stabilire che il cane non sa quanto tempo è passato. Potrebbe significare semplicemente che anche un solo “secondo” senza di noi gli sembra un’eternità, il che è sinonimo di amore e non si incapacità di contare i minuti.
D’altro canto è innegabile che i cani abbiano un “orologio biologico” precisissimo. Il mio cane (e decine di migliaia di altri) si alza ogni giorno dalla sua brandina esattamente tre minuti prima dell’ora in cui mio figlio torna da scuola: ci potrei bollire le uova alla coque senza bisogno di timer.
La domanda, però, è la seguente: “sa” che è l’ora giusta in cui rientra Davide, o “sente” qualcosa che gli annuncia il ritorno di Davide (per esempio il rumore del motore del pullman) molto prima di quanto possiamo sentirlo noi?
Io non conosco la risposta.
Quello che so – perché questi casi sono stati studiati e monitorati – è che i cani che soffrono di ansia da separazione (vedi prossima pagina) manifestano i sintomi entro la prima mezz’ora di assenza del padrone, e mai dopo.
Che poi il padrone rientri dopo mezz’ora e un minuto, oppure dopo dieci giorni, il risultato non cambia.
SPECIALE: ANSIA DA SEPARAZIONE

Il mio cane, quando lo lascio solo, distrugge tutto
Questo NON E’ il normale comportamento di un cane lasciato solo in casa: di solito questo atteggiamento è sintomo di una vera e propria patologia comportamentale, scoperta solo in tempi recenti e divenuta sempre più frequente in questi ultimi anni, che si chiama ANSIA DA SEPARAZIONE.
SINTOMI E CAUSE
L’ansia da separazione è un problema psicologico che si manifesta con reazioni di vario tipo: all’inizio può trattarsi di semplici segnali di disagio (pianti, mugolii), che poi diventano agitazione vera e propria (depressione o iperattività, abbaio incessante ecc.) e che possono sfociare in un comportamento aggressivo-distruttivo che può ripercuotersi sul cane stesso (autolesionismo), sulla casa (sporcare in casa o…demolire letteralmente la casa) e talora sullo stesso padrone (mordere per impedirgli di uscire).
Le cause prime dell’ansia da separazione sono l’insicurezza e la mancanza di autostima: questo si riscontra spesso nei cani tenuti come “bambini di casa”, in cui è il padrone a proteggere il cane e non viceversa. Il cane vive sotto una campana di vetro e quindi non ha alcuna possibilità di acquisire coscienza dei propri mezzi.
Insicurezza ed eccessiva dipendenza dal padrone sono vere e proprie “fabbriche” di ansia da separazione.
Un’altra causa predisponente all’ansia da separazione è il distacco troppo precoce dalla madre, che causa un trauma nel cucciolo: questo stato d’animo ritorna quando il cucciolo, che si è legato al padrone, si sente “abbandonato” anche da quest’ultimo.
Per questo motivo molti dei cani di importazione venduti tramite grossisti e negozi, che per arrivare in negozio a un’età “appetibile” per il cliente devono essere staccati dalla madre troppo presto, manifestano la patologia.
Infine, talora l’ansia da separazione può essere causata dall’arrivo di un neonato o (più sporadicamente) di un nuovo membro adulto della famiglia (padrone che si sposa, madre anziana che viene a vivere con figlio padrone di dobermann ecc.). Molte delle manifestazioni descritte come “gelosia” dai proprietari spesso altro non sono che sintomi di ansia da separazione.
NON causa, invece, ansia da separazione l’arrivo di un altro cane: la “gelosia”, se c’è, è solo antagonismo gerarchico, e l’ansia non c’entra nulla.
Anzi, in diversi casi l’ansia da separazione si può curare dando un compagno (o una compagna) al cane che ne è affetto.
Ma perché questa patologia è diventata così frequente negli ultimi anni?
Semplice: perché l’uomo ha capito che il cane si esprime meglio, e sviluppa al meglio le proprie doti caratteriali, se vive in famiglia.
La conseguenza è che i cani vivono a contatto sempre più stretto con l’uomo, e quasi sempre abitano “dentro” casa, a differenza di quanto accadeva fino a qualche anno fa.
Quando i cani “stavano fuori”, in cortile o in giardino, e con l’uomo passavano solo i momenti di lavoro (che rappresentavano, nella stragrande maggioranza dei casi, anche l’unico motivo per cui l’uomo prendeva un cane!), il rapporto era sicuramente incompleto, e lo stesso addestramento dava risultati assai modesti rispetto ai metodi attuali: in compenso l’ansia da separazione era un problema praticamente sconosciuto.
La semplice constatazione storica dovrebbe far capire ai padroni la differenza tra un cane “sociale” e un cane “appiccicaticcio”, incapace di gestirsi autonomamente.
Infatti, se è giustissimo vivere insieme al cane per la maggior parte del tempo, è altrettanto importante abituare il cane a non considerarci una “stampella” senza il cui appoggio l’animale “frana” psicologicamente.
SINTOMI PREOCCUPANTI
- quando il cane capisce che il padrone sta per uscire lo segue passo passo, uggiolando e piangendo;
- appena il padrone è uscito, il cane raspa contro la porta sperando di aprirla per seguirlo;
- il cane si attacca morbosamente a un oggetto che appartiene al padrone (vecchio calzino, ciabatta ecc. e manifesta un comportamento aggressivo/possessivo se qualcuno cerca di toglierglielo.
- il cane rifiuta il cibo in assenza del padrone
- il cane saluta il rientro del padrone con manifestazioni esagerate, pianti, gemiti ecc
PREVENZIONE
Il cucciolo deve capire che il padrone è una presenza “sicura e costante”, ma non “perenne”: quindi, fin dai primissimi mesi di vita, ogni tanto dovremo lasciarlo solo.
Inizialmente bastano cinque-dieci minuti, perché è fondamentale che il padrone rientri appena il cucciolo comincia a manifestare segni di ansia: in lui deve prendere piede, e diventare solida come una roccia, l’assoluta certezza che non l’abbiamo abbandonato e che torneremo sempre.
Una volta instaurata questa certezza, però, il cucciolo dovrà anche capire che “sempre” non significa necessariamente “subito”: quindi dovrà essere progressivamente abituato ad assenze di dieci minuti, un quarto d’ora, e infine anche di due-tre ore.
Creiamo appositamente queste situazioni, lasciando il cane a casa anche in alcune occasioni in cui potremmo portarlo con noi: non è una crudeltà, ma un passaggio obbligato della sua educazione e un passo indispensabile per ottenere buoni risultati in addestramento.
Per controllare se ci sono sintomi di ansia da separazione si può attuare il seguente metodo:
1 – consegnare al cucciolo oggetti “antistress”, per esempio un osso di pelle di bufalo da rosicchiare;
2 – accendere un registratore nella stanza in cui si trova il cucciolo;
3 – al rientro, valutare se il cucciolo:
a) ha utilizzato l’”antistress”, e in quale misura;
b) ha sfogato lo stress su altri elementi della casa (sedie rosicchiate, cuscini sventrati ecc.);
c) si è sfogato abbaiando (ascoltando la registrazione).
Se si notano anche i minimi sintomi di ansia da separazione, sarà bene:
1 – raccorciare i periodi di solitudine, ma senza eliminarli completamente: quando il cane non mostrerà più sintomi si potranno nuovamente allungare i tempi;
2 – durante la giornata, ignorare completamente il cane per un certo periodo di tempo (per esempio mezz’ora al giorno, estendibile fino a un’ora), anche se venisse a cercare coccole o gioco;
3 – insegnargli i primi esercizi di obbedienza, cosa che aiuta a stabilire una gerarchia precisa riequilibrando un rapporto male impostato e aiutando il cucciolo a trovare l’autocontrollo;
4 – appena avrà capito il significato di ordini come “seduto” e “terra”, ottenere che resti seduto in una stanza mentre noi ci spostiamo in un’altra, inizialmente non uscendo dal suo campo visivo, e più avanti sì.
Quando torneremo lo premieremo e loderemo se avrà obbedito, mentre lo ignoreremo completamente (anche se venisse a festeggiarci) se avrà lasciato la posizione.
5 – può essere utile abituare il cane a stare per un certo periodo nella cuccia o meglio ancora in una gabbia (o vari kennel) in cui lui dovrà passare un po’ di tempo mentre noi rimarremo in vista, ma ignorando qualsiasi suo tentativo di richiamare la nostra attenzione.
MAI PUNIRE un comportamento legato all’ansia (da separazione e non), perché questo peggiorerebbe lo stress e di conseguenza la manifestazione patologica che ne deriva.
L’IMPORTANZA DI CAPIRE CHE ESISTE UN PROBLEMA
Chi pensasse che l’ansia da separazione in fondo è un segno d’amore per il padrone, e che non c’è motivo di prevenirla né di curarla perché intanto “nessuno ci dividerà mai”…be’, deve rendersi conto che l’amore è una cosa, e la possessività un’altra.
Purtroppo l’ansia da separazione è legata assai più alla possessività che all’amore, e questo mette in discussione anche i rapporti gerarchici all’interno della famiglia.
Un cane convinto che noi “gli apparteniamo”, e che può disporre di noi a suo piacimento, non potrà certo assumere il giusto ruolo di “sottoposto” nel nostro “branco” familiare, ma tenderà diventare sempre più dominante.
Molte persone provano una sorta di “autocompiacimento” che gli impedisce addirittura di ammettere che il loro cane abbia un problema di comportamento (anzi, credono che quello di totale dipendenza, comprensivo di ansia da separazione, sia l’unico tipo di rapporto corretto tra cane e padrone!).
Inutile dire che questo porta inevitabilmente a ritardare l’azione terapeutica…almeno fino al momento in cui il problema diventa davvero grave e di difficile soluzione.
TERAPIA
Se il cucciolo ai primi sintomi di ansia da separazione può essere “curato” esattamente come abbiamo visto per la prevenzione, il caso del cane adulto diventa più difficile, specie nei casi in cui le manifestazioni diventino apparentemente aggressive.
Conosco due dobermann adulti che impediscono letteralmente ai padroni di uscire di casa, afferrandoli con i denti: il primo proprietario ride del problema (considerandolo un “segno d’affetto”, vedi box) e quindi chiede semplicemente alla moglie di trattenere il cane quando lui deve uscire dal cancello. Il secondo proprietario è una donna, che ha ormai un vero e proprio terrore delle reazioni del suo cane quando lei esce di casa: per questo inizialmente ha risposto alle richieste del cane cercando di portarlo sempre con sé, poi ha finito per uscire di casa meno possibile…infine si è ritrovata alle prese con un esaurimento nervoso che l’ha spinta a prendere in considerazione l’idea di disfarsi del cane.
Prima di ridursi in questo modo, ovviamente, è bene intervenire contattando un buon comportamentista che possa aiutarci a risolvere il caso, tenendo presente che ogni cane avrà reazioni diverse e che quindi non c’è una “regola fissa” uguale per tutti.
Una cosa che comunque bisognerà sempre fare è controllare le reazioni del cane quando il padrone si allontana: si solito le manifestazioni ansiose si scatenano quasi subito, nella prima mezz’ora di assenza.
I possibili metodi di controllo consistono o nell’utilizzare una persona di famiglia che (restando nascosta) annoti tutti i comportamenti del cane, o una videocamera che inquadri la stanza in cui il cane rimane solo, mentre il padrone può vedere dall’esterno cosa succede.
Il padrone dovrebbe sempre rientrare (avvisato dal familiare, o messo in allarme dalla videocamera) ai primissimi sintomi di ansia del cane.
Altro punto importante: il padrone non deve mai dilungarsi troppo in “saluti” e rassicurazioni (mi raccomando, stai bravo, torno subito ecc.) nella speranza di tranquillizzare il cane: in realtà otterrebbe l’effetto contrario.
Anche i rientri in casa devono essere tranquilli e “normali”, senza accentuare troppo le attenzioni verso il cane.
Tutti i soggetti con ansia da separazione dovrebbero essere addestrati, sia per ripristinare un rapporto corretto (che non dev’essere morboso), sia per acquisire fiducia in se stessi.
Qualora la terapia comportamentale da sola risulti inefficace o solo parzialmente efficace si potrà ricorrere a farmaci (ansiolitici) che possono “aiutare” la soluzione del problema, ma che non dovrebbero mai essere considerati l’unica soluzione.
L’ansia da separazione non guarisce MAI da sola: inutile illudersi.
Il miglior metodo è sempre la prevenzione, ma ai primi sintomi bisogna correre ai ripari, perché un cane che subisce troppo a lungo queste situazioni di stress può anche ammalarsi fisicamente.
In casi particolarmente gravi esistono centri specializzati per la terapia, dove il cane viene curato in coppia o in gruppo per riabituarlo al concetto di “branco” e “disumanizzarlo” almeno in parte, ridandogli la sua dignità di cane e insieme la tranquillità che viene dall’autostima

E’ nata a Salerno l’associazione “Scriptorium”, tutto quanto fa scrittura ed arte

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“…L’Emozione è Donna”, personale di Tullio Colucci a Palazzo Genovesi di Salerno

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Quando il gioco del calcio alimenta razzismo



Non è indispensabile raccontare del Sigor (?)Mandorlini, allenatore della squadra del Verona Hellas, nè sottolineare il tifo acceso (puro eufemismo) dei veronesi ma registrare il  "Razzismo" sì, vale la pena diffondere che il gioco del pallone non ha più nulla a che fare con le regole dello sport. Ora il Verona Hellas è stato eliminato, Mandorlini non è più tanto scorrettamente baldanzoso come lo fu a Salerno nello stadio Arechi "O MUNNE E' NA ROTA...GIRA"caro il mio allenatore degli stivali e se non capisci la lingua(perchè di lingua si tratta quando è napoletana o  salernitana, indifferentemente) ti consiglio di sfogliare qualche libro tra un calcio al pallone e l'altro, per superare il deficit intellettivo a cui sei interessato. Ora più delle parole i video.AI SALERNITANI NON TOCCARE MAI LA SALERNITANA, RICORDALO NON E' UNA MINACCIA, MA SOLAMENTE UNA DICHIARAZIONE D'AMORE.





Un provocatore che con il suo stupido ed inutile coro alla presentazione di campionato  della sua squadra, poteva scatenare gravi incidenti sul campo della squadra e della città offesa, o pensava di giocare solo in casa?. Un uomo che allena sportivi deve essere innanzi tutto Maestro di vita e lui questo sereno equilibrio non ce l'ha....

Una battuta ...una goliardata dice lui....allora è ancora peggio, non conosce il risvolto che potrebbe avere in alcuni casi



Intanto tutto viene per chi sa aspettare e noi salernitani abbiamo saputo attendere: il Verona Hellas è stato battuto ai play offe perde la serieB...

TORNEREMO...
IO TIFO SALERNITANA PER SEMPRE E ANCHE OLTRE...





MANDORLINI  TI SEI IMBATTUTO NELLA STORIA E NON TE NE SEI ACCORTO PECCATO... MA LA STORIA CONTINUA LO SO....

sabato 2 giugno 2012

Il primo singolo dei Rei Momo dall'album i "Demoni"




E' uscito il primo singolo dei Rei Momo tratto dall'album i " Demoni": Voragini profondamente estese



 Rei Momo sono una rock-band italiana composta da Ennio Cavuoto (voce e basso), Michele Criscuolo (chitarra) e Pasquale Riccio (batteria). Il nome “Rei Momo”, letteralmente “Re del carnevale”, è tratto dal titolo di un album di David Byrne, storico membro dei Talking Heads, ed è in armonia con lo spirito del gruppo. Nel senso più profondo, infatti, il carnevale non è altro che uno spettacolo senza ribalta e senza divisione tra esecutori e spettatori, nel quale sono abolite le norme della vita sociale, viene meno qualsiasi distanza tra le persone e v'è combinazione tra sacro e profano, tra sublime e infimo, tra grandioso e meschino, tra saggio e stolto. E' un simbolo di libertà, un mondo al contrario nel quale si assiste al rito dell’incoronazione e scoronazione del Rei Momo, un uomo qualunque che, nella vita rovesciata, è tutto l'opposto di un vero re. Ad oggi la band ha all’attivo numerosi brani inediti e concerti live in diverse città italiane. Per alcuni anni ha collaborato con il cantante Mango, partecipando, come Special Guest, ai tour 2009 e 2010 dell’artista lucano e suonando in alcuni tra i più importanti teatri italiani, tra cui il Gran Teatro di Roma (16 febbraio 2009 e 5 marzo 2010), il Teatro Smeraldo di Milano (23 febbraio 2009), il Teatro Augusteo di Napoli (9 marzo 2009 e 15 marzo 2010) e il Teatro Verdi di Firenze (30 marzo 2010). Il primo singolo estratto dall'album di Mango "Gli amori son finestre" porta la firma dei Rei Momo e si intitola "Contro tutti i pronostici". Attualmente  è in uscita il primo album della band "Demoni".

Commento
Il gruppo ha un'eccezionale competenza strumentale e la voce di Ennio Cavuoti è il quarto strumento di cui dispone il gruppo. La musica eseguita, rok in evoluzione, è quella che i giovani preferiscono ed ascoltano nelle cuffie, nelle discoteche e nei concerti. Armoniose le assonanze prodotte, anche se fin dall'inizio è il distorsore a fare da padrone  e a sottolineare, con ritmo ripetuto, le parole. In quanto ad esse risentono di "Franco Battiato" a cominciare dal titolo per continuare con le " mani gotiche"ma ciò non dispiace.
(Maria Serritiello)